Sanremo, perché criticarlo?

È iniziato il Festival. Come ogni anno si officia il sacro rito di metà inverno degli italiani: una kermesse che si autocelebra. La Canzone Italiana è il contorno, servito da San Algoritmo.

Ieri sera nel mio quartiere sembrava ci fosse il coprifuoco, nessuno in giro tranne qualche umano con quadrupede al seguito per le esigenze fisiologiche di quest’ultimo. I dati appena diffusi dicono che ha avuto una media di ascolti di 10 milioni 561mila telespettatori con il 65.1% di share. Ho visto il Festival, perché non puoi criticare, discutere, giudicare se non vedi. E quello che ho visto è uno show rodato – in realtà un po’ “stanchino” per dirla alla Forrest Gump – ben fatto (e ci mancherebbe, mamma Rai si gioca una buona fetta di introiti), e trenta canzoni che sono la prova evidente che la musica, tranne rarissime eccezioni, non è di casa all’Ariston. Continua a leggere

Milano: cultura e inclusione con il festival della danza Urban

Annamaria Onetti di DANCEHAUSpiù – Centro Nazionale di Produzione della Danza

Parte oggi al Parco delle Cave di Milano il MUD (Milano Urban Dance) festival, una quattro giorni di workshop, spettacoli ed eventi legati al mondo della danza Urban. Non voglio invadere campi altrui, ma prendo a spunto quest’arte, che ha un rapporto stretto con la musica, per approfondire un tema che mi sta particolarmente a cuore, e cioè l’integrazione sociale attraverso la cultura. Continua a leggere

Furio Di Castri al Genius Loci di Firenze, musica e accoglienza

Parte il 28 settembre a Firenze Genius Loci: alla scoperta di Santa Croce, due notti e un’alba di musica, incontri e performance nello storico complesso francescano, organizzati da Associazione Controradio Club, Opera di Santa Croce e Controradio in collaborazione con associazione culturale La Nottola di Minerva. Si tratta di un festival “anomalo”, giunto alla sesta edizione. Il tema 2023 è di un’attualità imbarazzante: ospitalità e accoglienza, due parole su cui le arti, soprattutto la musica, hanno tanto da dire.  Continua a leggere

I dieci anni di Francavilla è Jazz: la cultura della buona musica

Alfredo Iaia, direttore artistico di “Francavilla è Jazz”

L’estate dei festival sta finendo. In tutta la Penisola quest’anno è stato un fiorire di appuntamenti, molti di questi interessanti, altri un po’ meno, comunque la dimostrazione che la musica a prescindere dai grandi eventi, ha tanto da dire. Su Musicabile ve ne ho presentati alcuni, quelli che mi sembravano più intriganti sia per i musicisti sia per i luoghi. 

Domani e fino al 10 settembre si tiene uno degli ultimi appuntamenti della stagione: il Francavilla è Jazz. Siamo nel Salento, a Francavilla Fontana grosso centro commerciale e culturale della regione. Il festival accende le sue prime dieci candeline, un appuntamento importante soprattutto per una manifestazione gestita interamente da un’associazione culturale senza scopo di lucro. Una decina di persone, capitanate da Alfredo Iaia, 65 anni, avvocato di professione, una passione smisurata per il jazz e chitarrista per passione. Continua a leggere

Piano City Palermo, nuova edizione in corso fino a domani

Ricciarda Belgiojoso, direttrice artistica di Piano City Palermo

È iniziata ieri la quinta edizione di Piano City Palermo, tre intensi giorni di musica dedicati allo strumento per eccellenza, quell’arpa, come mi disse un artista, racchiusa in uno scrigno di legno che riesce sempre a incantare e catturare, indispensabile per ogni musicista. Molto spesso le partiture, anche se per altri strumenti, vengono composte al pianoforte. 

Sto scrivendo questo post mentre ascolto uno degli album – secondo me, ovviamente – più intensi dedicati a questo strumento, You must belive in Spring di Bill Evans, con Eddie Gómez al contrabbasso ed Eliot Zigmund alla batteria. B Minor Waltz, The Peacocks, We Will Meet Again sono opere d’arte. Nel disco, rimasterizzato proprio quest’anno, c’è anche una versione del classico Without a Song davvero strepitosa.

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Michele Macchiagodena, Termoli Jazz e le derapate

Michele Macchiagodena – Foto Paolo Lafratta

In quest’estate strana e bollente, mentre i giornali sono impegnati nel narrare la sostanziosa “political crime” accaduta proprio nel Quintilis Iulius romano, mese dedicato a Giulio Cesare, con tanti possibili colpevoli e colpi di scena “splatter” degni del miglior Joe R. Lansdale, su Musicabile vi sto raccontando alcuni dei numerosi festival musicali che la stagione estiva per fortuna mette a disposizione. Scelti perché a parlare è la musica prima degli artisti, e questo, ormai avete imparato a conoscermi, mi attira particolarmente. Continua a leggere

Sanremo 2021 e il Gioco dell’Oca…

Scrivo questo post mentre sto ascoltando l’ultimo lavoro di Paolo Simoni, Anima, uscito il 5 febbraio scorso, giorno del 36esimo compleanno del musicista di Comacchio. Simoni non pubblicava un album dal 2016. S’era dato da fare componendo per Gianni Morandi e Loredana Bertè e anche con la letteratura, pubblicando Un pesce rosso, due lesbiche e un camper per la Compagnia Editoriale Aliberti (2018), e facendo l’ospite dell’Infinito Tour di Roberto Vecchioni, due anni fa.

Lui e il pianoforte per dieci canzoni, la prima L’Anima Vuole, con un intervento proprio di Vecchioni, che raccontano speranze, sogni, amori, ansie, con ironia e una vena di drammatica verità. Paolo Simoni è uno dei tanti cantanti che ha visto il palco dell’Ariston a Sanremo, nel suo caso, nel 2013, con Le Parole.

Ieri sera, uno dei tanti, mi sono visto la prima serata del Festival edizione 2021. Sala per forza vuota, varietà allo stato puro – e non poteva essere altro – con il gran mattatore Fiorello, con Amadeus “soggiogato” da Ibrahimovic, con la brava Matilde De Angelis. Format impeccabile. La musica? Sonnolenta, fatta eccezione per pochi casi. Insomma niente di nuovo, nonostante i critici si affrettino a dare voti, fare classifiche, raccontare le esibizioni, sempre freddine per assenza di pubblico, cercando di tirar fuori il meglio anche dove il meglio non c’è.

È curioso come Sanremo sia da sempre un gioco di società, una sorta di Gioco dell’Oca, dove vai avanti e indietro ma sempre su un percorso ben definito. Disprezzato, amato, criticato, forzato, per certi versi innaturale, ma evidentemente in sintonia con il Paese.

A maggior ragione in questo momento, tra nuovi Decreti della Presidenza del Consiglio, scandalo mascherine, persone sollevate dagli incarichi, nuovo governo, chiusure e mezze chiusure, vaccini chissàquando, smart working, scuole chiuse, aperte, dipende dai contagi, Dad a manetta…

Sanremo è il buonismo, un mix dove trovano posto la denuncia per i femminicidi, le violenze contro le donne e la liberazione di Patrick Zaki, con l’esibizione della Bertè, che a 70 anni ha ancora una grinta da rocker mai in pensione, e le mise di Achille Lauro che a forza di stupire, non stupisce più. Cose talmente preoccupanti e dure passano tra un applauso, una canzone e un sorriso, lampi di vita reale citati in pochi secondi ma necessari allo spettacolo. Il tanto abusato The show must go on qui è d’obbligo.

«Non sono altro che un artista, un giocoliere di altre vite, con un fiato da centravanti e un cuore a dinamite…» canta Paolo Simoni in Non sono altro che un artista. L’Ariston è un palco difficile, lo dicono tutti quelli che lo hanno calcato. Eppure anche Laura Pausini, recente vincitrice di un Golden Globe come Miglior Canzone Originale per Io sì (Seen), brano tratto dal film La vita davanti a sé di Edoardo Ponti con protagonista Sofia Loren, ha fatto carriera grazie a Sanremo, edizione 1993 cantando La Solitudine. E prima di lei, Vasco Rossi, nel 1983 con Vita Spericolata: arrivò penultimo, brano non da Sanremo, che però contribuì a fare la fortuna del rocker di Zocca. O, ancora prima, nel 1971, un ventottenne Lucio Dalla cantò 4 marzo 1943: Lucio si classificò al terzo posto con un testo “ammorbidito” perché troppo audace… A dirla tutta, Dalla si trovava a suo agio a Sanremo: aveva partecipato giovanissimo all’edizione del 1966 con Pafff…Bum, brano troppo avanti per il tempo, all’edizione maledetta (quella della morte di Tenco) del 1967 con Bisogna saper perdere, e nel 1972 con la splendida Piazza Grande.

Ci sono anch’io dentro questo Gioco dell’Oca, visto che ne scrivo. Avrei potuto evitarlo? Può darsi. Ma il Festival è notizia e la notizia va data, nel mio caso, commentata. Guarderò anche stasera? Sì. Come diceva Francesco De Gregori – che non ha mai voluto partecipare come concorrente al Festival (anche se scrisse come autore Mariù, su musica di Ron, per Gianni Morandi, 1980) – nella sua La Leva Calcistica del ’68: Ma Nino non aver paura/ di sbagliare un calcio di rigore/ Non è mica da questi particolari/ che si giudica un giocatore… Andrò fino in fondo. In fin dei conti mi voglio vedere tutta la partita!

Sanremo2020/ Morgan, Bugo e l’essenza dell’imprevedibilità

Il coup de théâtre alla fine è arrivato. E lo spettacolo ha raggiunto uno dei momenti più lirici e drammatici, l’apice di tensione fisica e mentale, lo stress perfetto, prima dell’ultima parte che porterà, questa sera, alla fine dell’opera omnia.

Il 70esimo festival di Sanremo come una poderosa tragedia greca. L’uscita di scena col botto di Morgan e Bugo di questa notte, iniezione di vita vera nella finzione scenografica, è stata la ciliegina sulla torta di un festival che s’è rivelato, di fatto, uno dei migliori degli ultimi anni.

Le cronache raccontano di morsi e sputi, offese e parolacce da veri duri volate tra l’ex Bluevertigo e il cantautore/attore novarese. Sprazzi punk, incursioni da rocker, follia seminata a beneficio della folla e dell’ego dei contendenti. Roba già vista, per carità.

Dal mitico pugno stampato da Charlie Watts, batterista dei Rolling Stones, sulla faccia di Mick Jagger in una camera d’albergo, alle snervanti frecciatine e offese tra Kurt Cobain, leader dei Nirvana, e Axl Rose dei GNS (Guns N’ Roses), il mondo del rock ne ha viste di ogni. Ricordate i fratelli Gallagher? Dopo anni di litigi, Noel e Liam, nel 2009 a Parigi, prima di salire sul palco del Rock en Seine, hanno lo “scazzo” definitivo: volano chitarre e urla, Noel se ne va, il concerto salta e gli Oasis si sciolgono. E ancora, memorabile, a Las Vegas,  durante gli MTV Video Music Awards edizione 2007, il destro del gelosissimo Kid Rock, allora marito di Pamela Anderson, che colpisce Tommy Lee, ex consorte della Anderson, con cui lei ritornerà insieme…

Ma torniamo a Morgan e Bugo: nonostante il pedegree dei rispettivi artisti, la loro canzone era debole e l’esibizione, anche peggio, poco amalgamati, due particelle di sodio nella stessa bottiglia, mentre l’interpretazione di Canzone per te, fatta nella terza serata, sempre parere personale, è stato un atto poco gentile nei confronti del pubblico e dell’autore, il mitico Sergio Endrigo. E qui nulla c’entra l’artista, la sua libertà d’interpretazione e la follia del compositore… Comunque, a squalifica avvenuta e conferenza stampa annunciata dai due ex amici per oggi pomeriggio, resta un fatto: c’è sempre una prima volta, anche nella macchina perfetta e immutabile di Sanremo. Quell’imperfezione che renderà la 70esima edizione indimenticabile…

Memento/ Febbraio 1970: oltre Sanremo, tre dischi storici

Mentre sul palco dell’Ariston lo spettacolo va avanti come previsto tra il twerking di Elettra Lamborghini (la voce non si può ricordare…), l’esibizione dei Ricchi e Poveri, di diritto gli Abba del pop italiano, e il duetto Ranieri-Ferro sulle note di Perdere l’amore, vale la pena riportare le lancette del tempo indietro di 50 anni.

Il 1970 è stato un grande anno per la musica. Furono pubblicati, infatti, molti dischi che fecero la storia del rock e pop internazionale (avremo modo di parlarne in altri post). Oggi ci concentriamo su febbraio, con una divagazione –  doverosa – a fine gennaio.

Tanto per inquadrare il periodo storico, dal 26 al 28 febbraio a Sanremo al Salone delle Feste del Casinò si stava tenendo la ventesima edizione del festival. Vinsero Adriano Celentano e Claudia Mori, con Chi non lavora non fa l’amore. Al secondo posto si classificarono i Ricchi e Poveri con La prima cosa bella di Nicola di Bari, mentre al terzo, Sergio Endrigo con un altro brano che, più o meno tutti, hanno fischiettato per anni, L’Arca di Noè.

Iniziamo con la “doverosa divagazione temporale”: il 26 gennaio 1970 la Columbia Records rilascia Bridge Over Troubled Water, quinto e ultimo album del duo Simon/Garfunkel. Disco fortunato, 25 milioni di copie vendute nel mondo, 11 tracce, tre delle quali scolpite nella memoria collettiva, Bridge Over Troubled Water, The Boxer, El Condor Pasa (If I Could), oltre a Cecilia, Bye Bye Love

Veniamo a noi: il 1 febbraio James Taylor pubblica Sweet Baby James, secondo album in studio e primo con l’etichetta Warner Bros. Un disco scritto quando il ventiduenne James, in preda all’eroina e alla disperazione, si barcamenava per sfondare nel mondo della musica, inventandosi quel genere rock folk, con quel modo gentile di pizzicare la chitarra in fingerpicking e quella voce nasale che tanto piaceva alle fan, vista anche la prestanza del ragazzone, 1 metro e 90 d’altezza, lunghi capelli e sguardo perso… Oltre al brano che dà il titolo all’album, una sorta di ninnananna folk dedicata al nipote, il disco contiene anche  Fire and Rain uno dei suoi più grandi successi. L’ultimo brano dell’album, Suite for 20 G, è una canzone composta da tre abbozzi di canzoni, uniti da James per avere i 20mila dollari di bonus promessi alla chiusura dell’album.

Il 9 febbraio esce un altro lavoro, considerato “spartiacque”. È Morrison Hotel dei Doors, quinto e penultimo album del gruppo con Jim Morrison (morirà a Parigi il 3 luglio del 1971). Il disco annuncia il ritorno della band californiana a quel garage blues degli inizi che culminerà nell’ultimo album con Jim, L.A. Woman. Roadhouse Blues, canzone che apre il disco, è un classico blues bello e potente, mentre Peace Frog, brano più politico, attacca con una chitarra acida su cui si inserisce la batteria, quindi il basso, il Vox Continental di Manzarek e infine la voce arrabbiata di Jim:

There’s blood in the streets, it’s up to my ankles
She came
Blood in the streets, it’s up to my knee
She came
Blood in the streets in the town of Chicago
She came
Blood on the rise, it’s following me
Think about the break of day…

Il 13 febbraio, invece, arriva sugli scaffali il primo album di una band inglese che farà parlare molto di sé. Il titolo porta il nome della band: Black Sabbath. Inizia l’avventura di Geezer Butler, Bill Ward, Ozzy Osbourne e di Tony Iommi, amico/nemico di Ozzy. In un’intervista di qualche giorno fa Ozzy ha dichiarato che ancora oggi Tony gli mette soggezione. Torniamo al disco: non accolto benissimo dalla critica (Rolling Stone lo troncò di brutto) ha trovato invece il favore del pubblico. Disco e band sono stati l’ispirazione per numerosi gruppi, soprattutto di doom metal. La campana e la pioggia sulla prima traccia Black Sabbath, sono diventate famose… Piccola nota: tra pochi giorni, il 21 febbraio, uscirà il nuovo disco di Ozzy, Ordinary Man. Ma questa è altra storia…