Milano: cultura e inclusione con il festival della danza Urban

Annamaria Onetti di DANCEHAUSpiù – Centro Nazionale di Produzione della Danza

Parte oggi al Parco delle Cave di Milano il MUD (Milano Urban Dance) festival, una quattro giorni di workshop, spettacoli ed eventi legati al mondo della danza Urban. Non voglio invadere campi altrui, ma prendo a spunto quest’arte, che ha un rapporto stretto con la musica, per approfondire un tema che mi sta particolarmente a cuore, e cioè l’integrazione sociale attraverso la cultura.

L’organizzazione artistica è di DANCEHAUSpiù – Centro Nazionale di Produzione della Danza, progetto nato nel 2011 dalla fusione di tre realtà presenti nel capoluogo lombardo, la DanceHaus di Susanna Beltrami, l’Associazione ContART diretta da Matteo Bittante e l’Associazione ArtedanzaE20 di Annamaria Onetti. Il festival è a Baggio, nella periferia Ovest di Milano, ai confini con il Parco delle Cave. Paese inglobato nella città, Baggio (Municipio 7) è oggi un esperimento di convivenza e multiculturalità. Per completare il quadro, il MUD è uno dei progetti inclusi nella programmazione Milano è Viva 2023 del comune di Milano e ha il sostegno di Regione Lombardia e del Ministero della Cultura.  

Visto il mio digiuno in materia ho chiamato Annamaria Onetti per farmi raccontare l’operazione. Ne è uscita una bella chiacchierata che vi propongo. 

Dunque, Annamaria, la danza come strumento di libertà e di riscatto sociale. Voi lavorate da molto tempo nell’arte contemporanea, com’è nato il progetto MUD?
«Faccio una premessa: con Susanna Beltrami e Matteo Bittante abbiamo fondato il Centro di Produzione Nazionale con la missione di produrre e ospitare la danza. Abbiamo una sede in via Tertulliano e siamo finanziati dal Ministero, dalla Regione e dal Comune di Milano. Per questo abbiamo partecipato al bando Milano è viva (bando indetto dal Comune di Milano e dal Ministero della Cultura) per dare visibilità alle periferie e portare in quei luoghi delle azioni di danza o comunque di cultura. Abbiamo proposto il nostro progetto sulla danza Urban, legata all’hip-hop, alla breakdance, al voguing, al waacking e a quel genere di cultura, che pensiamo possa essere più interessante in una zona periferica».

Quattro giorni a Baggio, in strada, vicino al Parco delle Cave…
«Abbiamo previsto numerose iniziative tutte gratuite: laboratori durante la giornata aperti a tutti e alla sera performance e jam session con musica e danzatori. Il fulcro del festival è una fontana in disuso che ha un anfiteatro, in via Cancano angolo via Forze Armate. Abbiamo scelto questo luogo d’accordo con il Comune anche per segnalare il prossimo restauro della fontana. Qui abbiamo creato il nostro angolo di mondo. Domenica ci sarà un picnic partecipativo con pubblico, artisti, proprio per favorire il dialogo. Il 29 sera, invece, saremo in via Tertulliano 68, nella sede di DANCEHAUSpiù per Vibing Room spettacolo a cura di La B. Fujiko, evento fusion di stili underground, con gli show di guest artist e un dance party esclusivo (è l’unico a pagamento, 10 euro, per prenotazioni cliccate qui, ndr)».

Queste iniziative non sono ancora troppo poche? Come vengono recepite dalle periferie?
«Di cultura non ce n’è mai abbastanza, ed è fondamentale per cambiare lo stato sociale, ma anche per garantire anche la sicurezza delle città, punto su ci abbiamo dialogato moltissimo con il Comune e la Regione. Portare cultura in una periferia vuol dire non abbandonare i cittadini, essere presenti, dare la possibilità di vedere qualcosa di bello. Sono molto romantica, lo so! Per me cultura e bellezza salvano il mondo. Se si dà la possibilità di vedere con i propri occhi la bellezza e di poter comunicarla allora tutto funziona. Poi, non so se sia sufficiente in generale quello che viene fatto. Milano è viva è un palinsesto molto ricco, ci sono otto grandi festival finanziati per le periferie. Speriamo che vengano confermati anche al di là dei fondi del Ministero».

Nel mondo della musica lo Urban nazionale, da controcultura sì è omologato diventando un pop leggero e banale. Non credo sia così nella danza…
«È un po’ diverso. Abbiamo un’esperienza più che trentennale nella danza contemporanea (linguaggio diverso dall’Urban), realtà che sta vivendo un momento di crisi generazionale. Mi ha stupito molto – ed è il motivo per cui ho proposto ai miei partner il MUD: il 60 per cento di chi fa danza pratica Urban, le nuove generazioni sono interessate a quel genere di cultura e di musica. Dopo vent’anni che organizzo un festival di danza contemporanea mi sono detta: “Anna è il momento di fare un passo oltre, dove sono gli altri spettatori, cos’hanno voglia di vedere?”, quello che programmo non deve piacere a me ma a chi assiste, deve essere utile. In questo momento, con umiltà, sebbene da anni siamo esperti di Urban nella formazione professionale dei danzatori, vogliamo essere inclusivi. Non ti porto qualcosa di cui non puoi capire, ma ti offro un dialogo. Lo Urban è più nelle corde dei giovani, ed è un discorso che va al di là delle periferie».

Lo dimostra il fatto che avete scelto l’esibizione di artisti solidi da Mr. Byron a Muhammed Kaltuk, La B. Fujiko, Sly, Rada…
«Hanno tutti una formazione internazionale, il loro utilizzo della musica sarà molto variegato. La questione è andare a scavare e non accontentarsi di quello che si trova facilmente sul territorio. Portare scelte di qualità artistica in una periferia è importante. Mi auguro che in questi quattro giorni si fermino ad assistere il nonno con il nipote, il giovane adulto, ma anche tutte le comunità, perché Baggio è un quartiere estremamente vivace, con un senso di comunità profondo».

È un paese inglobato nella città…
«Infatti, e in questo essere paese c’è tutta quella generosità di accogliere chiunque». 

Il concetto di inclusione è più che mai necessario in questo momento…
«La danza rispetto a tantissime altre discipline è un settore inclusivo, perché si guarda, e tutti guardano. Solo la musica può competere allo stesso livello. Sono due sentire profondi, linguaggi condivisi». 

Sono connettori efficaci, che possono contribuire a cambiare abitudini e modi di pensare…
«Abbiamo la piccola ambizione di pensare che in questi quattro giorni quell’angolo di piazza non sarà funestato da bottiglie rotte e da persone che bivaccano ubriacandosi. Mostriamo che si può fare altro oltre a sedersi in un bar e bere una birra, e per di più, lo si può fare gratuitamente. Milano è una città molto complessa per chi non ha denaro e credo che lo sforzo del Comune di offrire proposte gratuite e dare la possibilità a noi operatori di organizzarle grazie a dei fondi, sia un passo importante per l’inclusività».

 

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