Il mare visto da un’isola. Inteso come elemento fisico, è magnifico e pericoloso, l’autostrada che fa muovere da sempre commerci, popoli e culture – ne parlavo giusto settimana scorsa con Patrizia Laquidara. Il mare visto da un’isola parla di solitudine, impossibilità di relazionarsi, paura di lasciare un luogo sicuro per l’incertezza della vita.
Delle nostre insicurezze e di molto altro ancora parla il secondo album dei Fil Rouge Quintet (il primo, L’inconnue, autoprodotto, è uscito nel 2016) intitolato L’île Noir. Musica crossover, mediterranea, che sa essere leggera e struggente, ricca di spunti e di richiami jazz, da cui tutti i componenti provengono, ma con forti incursioni nella World Music, africana, mediorientale, latino americana e in quella classica, soprattutto la romantica Ottocentesca dei grandi pianisti dell’est Europa. Continua a leggere