Tre dischi per la settimana firmati Waters, Iggy e Price

Gennaio si apre con buone prospettive per la musica. Quest’anno, per esempio, vedranno la luce i nuovi lavori di Peter Gabriel e dei Metallica. Sono in tanti ad aspettare un disco da Gabriel, previsto entro la prima metà dell’anno: è dal 23 settembre 2002 con Up che l’ex frontman dei Genesis non pubblica più un lavoro di inediti. La band metal, invece, il 14 aprile rilascerà 72 Seasons. Dell’album si può ascoltare un solo brano Lux Æterna, un ritorno al metallo grezzo di gran valore delle origini.

Per questa settimana vi propongo tre uscite. Si tratta di tre artisti visionari. Due vecchie guardie, monumenti viventi del rock, e un’artista che si sta affermando come la nuova regina del country formato punk rock quando a tenacia e ribellione. I loro nomi? Roger Waters, Iggy Pop e Margo Price.  Continua a leggere

Disco del mese/ Here It Is: A Tribute to Leonard Cohen

Fra le tante uscite di ottobre mi ha colpito un lavoro che, dalla sua pubblicazione, è diventato per me un ascolto quotidiano. Si tratta di Here It Is: A Tribute to Leonard Cohen, edito dalla Blue Note Records e dato all’ascolto il 14 del mese scorso. 

Non sono un amante dei dischi che in qualche modo sfruttano il lavoro di artisti scomparsi. Ma qui, accidenti, siamo davanti a ben altra cosa. Un vero tributo, un omaggio in punta di piedi ma potente, ricco e fedele, dove non prevale l’identità del singolo artista che interpreta ma dell’autore. Che risponde all’immenso nome di Leonard Cohen, uno dei più grandi cantautori che hanno calcato questo pianeta, ammirato, imitato, seguito. 

L’idea del disco – come probabilmente avrete già letto – è di Larry Klein, bassista stranoto, vincitore di Grammys, compositore e turnista d’eccellenza (da Bob Dylan a Peter Gabriel, da Herbie Hankock a Joni Mitchell (della quale è stato anche marito), amico di Cohen fin dai primi anni Ottanta. Il quale ha pensato a un parterre di artisti da brivido: Norah Jones, Peter Gabriel, Gregory Porter, Sarah McLachlan, Luciana Souza, James Taylor, Iggy Pop, Mavis Staples, David Gray e Nathaniel Rateliff.  Continua a leggere

Hip Hop: Denise Chaila e Pan Amsterdam, due artisti fuori dal coro

Oggi vi voglio parlare di hip hop. O meglio, di un certo tipo di hip hop, non propriamente di largo consumo e appiattito su canoni commerciali. Me ne hanno dato l’occasione due album usciti lo stesso giorno agli inizi di ottobre. Si tratta di due artisti molto diversi tra loro, per provenienza e formazione, ma che, seppure con tutte le dovute e rispettabili differenze, hanno in comune quel certo modo di sentire e interpretare un genere, riportandolo alla sua essenza primordiale con freschezza e coscienza musicale.

Passiamo ai nomi. La prima è una giovane zambese naturalizzata irlandese. Si chiama Denise Chaila. Nata a Chicankata, Zambia, da anni residente in Irlanda, a Limerick, dove vive tuttora. Padre neurologo, madre radiologa, lei una laurea in sociologia, anche se la madre, come ha dichiarato la stessa artista recentemente in un’intervista, la vedeva un avvocato di successo. Denise s’è avvicinata al rap nel 2012, collaborando con i Rusangano Family, crew di Limerick e con altri artisti irish.

Giusto aprire un inciso: l’Irlanda sta vivendo un buon momento quanto a hip hop. La versione irlandese vanta buoni nomi, Costello, Ophelia McCabe, Lethal Dialect (al secolo Paul Alwright), Mango X Mathman, Kojaque, e ora anche Chaila. In un bell’articolo su The Journal of Music di qualche settimana fa Andrea Cleary, l’autrice, sintetizzo, scrive che può apparire un ossimoro che il paese di Joyce, Beckett, della giovane Sally Rooney e di Yeats si stia spostando nella metrica hip hop. Eppure non è così: l’Irlanda ha i suoi nuovi poeti, «il prossimo, logico passo per la nostra nazione di parolieri», scrive la Cleary. E Denise Chaila con il suo primo album pubblicato il 2 ottobre dal titolo Go Bravely contenente il brano Chaila, diventato l’hit dell’estate irlandese, è certamente su questa strada.

Testi ricercati, sfrutta la sua identità multietnica per intrecciare storie che racchiudono culture e modi di vedere diversi, che parlano della sua esperienza, del razzismo, dell’integrazione… in Chaila rappa: «Sono di parola/E il mio nome è la mia parola/ L’anima del mio mondo (e)/ Non è Chillay/ Non è Chilala/ Non un boccone amaro da mandare giù/ Chailie o Chalia/ Chia, Chilla, Dilla/ Quello non è il mio nome/ Dì Il mio nome/ Chaila/ Chaila/ Chaila/ Chaila/ Chaila…». In Go Bravely, brano che chiude il disco, interpretata con il rapper MuRLI va oltre: «Sii l’intrepido esploratore di ciò che è sconosciuto, ignora le persone che non riescono a capire che sei molto di più, più del tuo dolore, più del tuo trauma, più delle persone che conosci, delle cose che fai o del modo in cui sei cresciuta. Prenditi del tempo per studiare la tua anima, osserva e vedi, punta in alto e pensa intensamente, vai e basta, coraggiosamente!». Con Denise Chaila le parole vengono prima della musica, a costo di rendere quest’ultima un etereo ma efficace e solido scheletro su cui appoggiare i concetti che le interessa sostenere.

Lo stesso giorno dell’uscita di Go Bravely, vedeva la luce anche HA Chu, nuovo lavoro di Pan Am (che sta per Amsterdam). E qui entriamo in un altro mondo. Pan Am è l’alter ego di un musicista jazz, un trombettista, adocchiato agli inizi del Duemila come una delle promesse del jazz newyorkese, Leron Thomas. Molto critico con le label jazz ed evidentemente deluso da un mondo che non immaginava così, ha deciso di vivere una vita parallela, fondendo stili, sperimentando, usando l’hip hop come filo conduttore. Quello che ne è uscito (Pan Am è in attività da un paio d’anni) è «un’altra musica», come l’ha definita lui stesso, «collisioni a ruota libera di generi e collaborazioni». Nello specifico, HA Chu è il frutto di una tournée che il trombettista ha fatto con Iggy Pop lo scorso anno. L’Iguana, lo aveva chiamato per scrivere e produrre il suo album Free, pubblicato il 6 settembre del 2019.

Si tratta di registrazioni catturate, molti vocali di amici che ha incontrato durante i concerti. Un album strano, dark, con inevitabili accenti jazz, trombe nostalgiche. Ascoltate Carrot Cake, costruita su una base tipicamente afro-disco anni Settanta, dove “rappa”: «Trying to control my fate?/ Have a talk with your mom after I’m done with carrot cake», «Stai cercando di controllare il mio destino? Parla con tua madre dopo che ho finito la torta di carote». Molto bello il breve intervento di tromba che chiude il pezzo.

Probabilmente è stato un caso, ma sempre il 2 ottobre Leron Thomas ha pubblicato un altro disco, questa volta con il suo vero nome, per l’inglese Lewis Recordings dal titolo More Eevator Music. Anche qui grandi contaminazioni e la collaborazione con musicisti di molte estrazioni, dal rocker Iggy Pop al rapper poeta Malik Ameer Crumpler, dal jazzista Florian Pellissier, al bassista Kenny Ruby e al batterista Tibo Brandalise sezione ritmica che ha suonato con Iggy. Se non lo conoscete, ascoltatelo, ne vale la pena.