Disco del mese/ Here It Is: A Tribute to Leonard Cohen

Fra le tante uscite di ottobre mi ha colpito un lavoro che, dalla sua pubblicazione, è diventato per me un ascolto quotidiano. Si tratta di Here It Is: A Tribute to Leonard Cohen, edito dalla Blue Note Records e dato all’ascolto il 14 del mese scorso. 

Non sono un amante dei dischi che in qualche modo sfruttano il lavoro di artisti scomparsi. Ma qui, accidenti, siamo davanti a ben altra cosa. Un vero tributo, un omaggio in punta di piedi ma potente, ricco e fedele, dove non prevale l’identità del singolo artista che interpreta ma dell’autore. Che risponde all’immenso nome di Leonard Cohen, uno dei più grandi cantautori che hanno calcato questo pianeta, ammirato, imitato, seguito. 

L’idea del disco – come probabilmente avrete già letto – è di Larry Klein, bassista stranoto, vincitore di Grammys, compositore e turnista d’eccellenza (da Bob Dylan a Peter Gabriel, da Herbie Hankock a Joni Mitchell (della quale è stato anche marito), amico di Cohen fin dai primi anni Ottanta. Il quale ha pensato a un parterre di artisti da brivido: Norah Jones, Peter Gabriel, Gregory Porter, Sarah McLachlan, Luciana Souza, James Taylor, Iggy Pop, Mavis Staples, David Gray e Nathaniel Rateliff.  Continua a leggere

Tre dischi per il ponte/1 – Tony Allen, Moby e Charles Lloyd

Il ponte che ci porta alla festa della Repubblica, il 2 giugno, è l’occasione per ascoltare nuova musica. Ho pensato, quindi, di condividere con voi sei dischi in due post, tutti di recente o freschissima uscita, che hanno catturato la mia attenzione. Come sempre, questione di gusti. Non pretendo di imporre, ma piuttosto di condividere quello che mi piace mettere in cuffia…

1 – There Is No End – Tony Allen

Partiamo forte, con un disco pubblicato il 30 aprile scorso. Un lavoro postumo, quello di Tony Allen, morto a Parigi lo scorso anno, il 30 aprile, appunto, per un aneurisma. Il disco era quasi ultimato, lo aveva già più che imbastito. Per il padre dell’Afrobeat, assieme a Fela Kuti con il quale ha suonato per anni prima nei Koola Lobitos e quindi nei mitici Afrika 70, questo lavoro è la conferma  di come Allen ha concepito la musica e la batteria, strumento che suonava con una devozione e una conoscenza unica. Negli oltre sessant’anni di carriera Tony Allen ha messo a disposizione il suo incredibile know how ad artisti famosi e a quelli alle “prime armi”. Se credeva a un progetto, statene certi, lui c’era. Come nel supergruppo The Good The Bad and the Queen insieme a Damon Albarn (Blur e Gorillaz), Paul Simonon (Clash) e Simon Tong (Verve, Blur, Gorillaz), oppure con Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers, e sempre Damon Albarn, sotto il nome di Rocket Juice & The Moon (ascoltate Poison, grandi!). Ha suonato la batteria anche per Jovanotti, nell’album Oh Vita!. Con There Is No End, collabora con producer e rapper di varia estrazione: c’è Jeremiah JaeGang On Holiday (Em I go We?) – e anche Danny Brown – splendida la loro Deer in Headlights. E ancora, Mau Mau, con la keniota Nah Eeto; o Cosmosis, brano con Skepta e il poeta e scrittore nigeriano Ben Okri. Una iniezione di vita e di energia. E un grazie postumo a questo artista incredibile, nato a Lagos, in Nigeria, ma cittadino del mondo, al servizio della musica.

2 – Reprise – Moby

Reprise, nel senso di riprendere in mano canzoni, hit che hanno fatto conoscere l’artista newyorkese, per offrire ulteriori e nuove suggestioni. L’album, uscito fresco di stampa oggi, 28 maggio, per la prestigiosa etichetta discografica Deutsche Grammophon, è la dimostrazione che Moby è un artista curiosi e completo. Accettare la semplicità e la vulnerabilità di strumenti acustici o classici invece dell’elettronica è stata la sua sfida, come ha dichiarato quando ha annunciato l’uscita del disco. A dire il vero, un certa forma meditativa l’avevamo vista nell’album “pandemico” Live Ambient Improvised Recordings Vol. I, sonorità in cerca di pace e tranquillità spirituale e fisica. La passione per la classica l’aveva preso nel 2018, quando fece un concerto dal vivo con il suo amico Gustavo Dudamel, direttore d’orchestra e violinista venezuelano, alla Walt Disney Concert Hall insieme alla Los Angeles Philarmonic. Ecco, dunque, Reprise, eseguito con la Budapest Art Orchestra e un nutrito numero di straordinari interpreti, tutti grandi artisti: Gregory Porter e Amythyst Kiah per cantare una strepitosa versione di Natural Blues, Mark Lanegan e Kris Kristofferson per una solida, calda e “sofferta” The Lonely Night, poi Alice Skye, Apollo Jane, Darlingside, Jim James, Luna Li, Mindy Jones, Nataly Dawn, Skylar Grey e Vikingur Ólafsson, il pianista islandese che tre mesi fa pubblicato un album molto interessante, Reflections, dove interpreta con il suo modo vellutato, quasi misterioso, brani di Rameau e Debussy, al quale Moby ha affidato God Moving Over The Face Of The Waters. Che altro dire: un viaggio “mistico”, un percorso inverso, dall’elettronica all’analogico, incredibilmente affascinante…

3 – Tone Poem – Charles Lloyd & The Marvels

A 83 anni compiuti, il sassofonista di Memphis è in uno stato di grazia estremo. L’album, uscito a marzo di quest’anno, è una delle perle di questo 2021. Anche per chi non ascolta jazz o lo frequenta poco, Tone Poem offre emozioni a non finire. Innanzitutto perché i Marvels, al terzo disco insieme a Lloyd, sono quattro grandissimi musicisti: alla chitarra, sempre più in gran spolvero, Bill Frisell, alla pedal steel guitar Greg Leisz e alle sezioni ritmiche due colonne, il bassista Reuben Rogers e il batterista Eric Harland. E poi perché la scelta dei brani è stata curata con una precisione millimetrica: da partiture classiche come le prime due tracce dell’album, Peace e Ramblin’ di Ornette Coleman, prosegue con Anthem di Leonard Cohen, ve la ricordate? The birds they sang/ At the break of day/ Start again/ I heard them say/ Don’t dwell on what has passed away/ Or what is yet to be… per poi continuare affrontando Thelonius Monk, Gabor Szabo e una versione live molto bella di Ay Amor, storico brano del cubano Bola de Nieve (il suo vero nome era Ignacio Jacinto Villa Fernández, morto a 60 anni nel 1971). Il lavoro di Frisell in questo disco è superbo, tesse merletti per il sassofono di Lloyd, ricama di fino, quasi impercettibile. Come quello della sezione ritmica, efficace e morbida, e gli interventi ricchi e gentili di Leisz.