Crocodile Rock: musica e animali nel libro di Ezio Guaitamacchi e Antonio Bacciocchi

Ho acquistato un libro uscito qualche giorno fa per Hoepli. Si intitola Crocodile Rock e gli autori sono due conoscenze solide per chi ama la musica, Ezio Guaitamacchi, musicologo, musicista, entertainer, un decano del giornalismo musicale (come si legge nella terza di copertina) e direttore della collana musicale della stessa Hoepli, e Antonio Bacciocchi, scrittore, musicista e blogger, batterista rock con l’aplomb del mitico Charlie Watts.

Entrambi hanno in comune la passione per il rock e per gli animali, Ezio con i suoi tre cagnolini, Dylan Joni e Taylor, e Antonio con il suo pastore tedesco Grimm. I loro compagni a quattro zampe amano la musica e il rock. Anch’io ho una piccola amica, Lili, che è la mia ombra da tredici anni. Lavoro ascoltando musica, sempre. Lei, accoccolata sul cuscino ai miei piedi, ascolta, occhi aperti, tutto…tranne il rap. Che ci volete fare… frequenze disturbanti per il suo udito.

Ma torniamo al libro. Oggi alle 16 i due autori lo presenteranno a Milano alla Cascina Nascosta, parco Sempione. Chi vorrà venire – e vi consiglio di esserci – potrà portare i suoi animali di compagnia. Un bell’inizio! Il libro, che ho letto d’un fiato, è talmente ricco di aneddoti, storie, curiosità che ti attrae e non ti molla. Diviso in sei parti, con una preziosa prefazione di Laurie Anderson, spiega il rapporto tra musica e natura, l’evoluzione umana e animale attraverso il suono come comunicazione principale. Quindi, passa a storie che legano artisti ad animali, brani che hanno fatto la storia del Rock legati a cani, gatti, persino pappagalli, ma anche rocker impegnati nelle battaglie per le preservazione delle specie, e tante amenità dove, per esempio, zio Ozzy (Osbourne, ovvio!) entra di diritto… 

Ho intervistato via streaming i due autori, ci siamo fatti una gran bella chiacchierata…

Come vi è venuto in mente di creare Crocodile Rock?
Ezio – «È nato tutto un paio di anni fa nel mio studio, qui in Hoepli. Antonio era venuto per propormi alcuni titoli che, sinceramente, non erano compatibili con la mia collana. Lui, con la coda tra le gambe – per rimanere in tema – si stava avviando verso la porta dell’ufficio, quando Joni (prende in braccio una cagnolina bianca e me la presenta, ndr) e il suo fratellino Taylor gli si sono avvicinati per annusarlo (Antonio, da sempre ha avuto cani). Lui si è fermato, e ha giocato il jolly che le aveva raccomandato sua moglie Rita: “Ho raccolto un sacco di informazioni, di dati, di storie sul rapporto tra musica e animali. Ti può interessare?”. L’ho guardato e in un attimo eravamo seduti a parlarne! Il libro è, dunque, una sua idea, lui ha raccolto tutto il materiale, io mi sono limitato a fare il regista, che poi è il lavoro che faccio come direttore di collana. Però mi ha tirato dentro perché, in tempi andati, nel 1990 e 1991 ho organizzato a Milano un festival che si chiamava Musica&Natura sotto l’egida di Greenpeace, ero anche nel consiglio direttivo dell’ong. Ho fatto in modo che oltre a tutto il materiale che aveva raccolto Antonio ci fosse anche una parte sulle origini del suono. Non ce lo ricordiamo spesso, ma l’uomo ha imparato a cantare, suonare,  addirittura a parlare imitando il canto degli uccelli, l’incedere del galoppo dei cavalli… Ho cercato di selezionare le informazioni di Tony e di trasformarle in storie. A un certo punto Antonio mi ha detto una cosa molto carina: “Il libro ha preso una piega giusta anche grazie a te ed è corretto che tu sia coautore e non solo il curatore”».

Antonio – «Confermo tutto! Sono stati due anni di lavoro quasi quotidiano, il materiale era tantissimo e di svariata natura. Ne trovavo di nuovo che a sua volta mi rimandava ad altro. Era necessario un regista, che Ezio ha fatto benissimo. C’era talmente tanto materiale da pubblicare due o tre libri. E poi, essendo nato, cresciuto, e vivo tuttora, nella campagna piacentina, da sempre ho avuto animali domestici e, ultimamente anche non, visto che nel mio paesino si sono affacciati cinghiali, caprioli e anche un lupo. Essendo un musicista, appassionato di musica è stato naturale accostare le due cose. Lo spunto finale me l’ha dato mia moglie, all’inizio pensavo fosse banale, ma solo apparentemente. In realtà, oltre a quello che ha detto ora Ezio, nel libro si va ad approfondire anche quegli artisti che hanno preso spunto per le loro canzoni dai loro animali. Ci sono brani dedicati ai loro animali, spesso li hanno riportati anche in copertina, mentre altri hanno utilizzato l’animale come metafora per significare qualcosa di molto più profondo. Ad esempio, Blackbird dei Beatles: sembra dedicata a un uccello che vola, ma in realtà Paul McCartney l’aveva composta per supportare  i diritti civili degli afroamericani nel 1968».

Il titolo del libro richiama un brano famosissimo di Elton John…
Ezio – «Rimanendo su quanto stava dicendo Antonio, Crocodile Rock, è metaforico. Nel senso che è un atto d’amore di Elton al Rock delle origini. In quegli anni, nei Cinquanta, i musicisti jazz tra loro si chiamavano Alligator, c’era la famosa frase, un saluto, See you later allegator con la risposta In awhile crocodile! Il titolo del libro è evocativo, ma il sottotitolo è sufficientemente chiaro (storie aneddoti, curiosità e tutto ciò che unisce musica e animali, ndr) e senza suonare presuntuosi, credo non esista nessun libro al mondo che racconti tutte le connessioni tra musica e animali in un modo così completo. Grazie ad Antonio anch’io ho scoperto molte cose interessanti. Non sapevo che i Ragni di Marte di David Bowie in realtà sono stati ispirati a un evento accaduto in Italia negli anni Cinquanta, o che il cagnolino di Dolly Parton le ha salvato la vita, o che il gatto che è in copertina di fianco a Carol King in Tapestry, un album che ha segnato tutti noi e che fu un best seller pazzesco – per anni è stato il più venduto della storia – fosse comparso lì per caso mentre il fotografo stava scattando!».

Antonio – A proposito di ricerca: molto è stato fatto incrociando dati su internet, ma abbiamo dovuto affidarci molto alla nostra memoria, magari ricordandoci di aver letto qualcosa, relegato in un angolo di un libro o in una copertina di un disco. Insomma, un lungo lavoro deduttivo».

Ezio Guaitamacchi

Tra le tante narrazioni di questo libro, mi avete fatto ricordare di quel disco incredibile, Song Of The Humpback Whale, il canto delle megattere registrato da Roger Payne, ricercatore bioacustico, negli anni Sessanta…
Ezio – Mi fa molto piacere che tu abbia nominato Payne e il suo esperimento, perché mi permette di parlare di un musicista, Paul Winter, un sassofonista che ho avuto l’onore di conoscere quando lo feci venire in Italia per quel festival che avevo organizzato. Lo portai anche in Rai, opsite in un programma di Mino Damato, Alla ricerca dell’Arca. Con Stan Getz è stato il primo a fondere la musica brasiliana con il jazz. Dopo aver ascoltato le registrazione di Roger Payne, fondò un’etichetta chiamata Living Music, dove mise in piedi dei veri e propri duetti tra il suo sax soprano e il canto delle balene, l’ululato dei lupi, il barrito degli elefanti. Poi aggiunse una band, il Paul Winter Consort, da cui poi nacquero gli Oregon, Ralph Towner, Paul McCandless erano suoi musicisti. L’ho ascoltato anch’io il canto delle balene, attraverso un sonar in una nave di Greenpeace nelle acque bellissime della Hawaii: è struggente. Gli studi di Payne e di altri scienziati hanno dimostrato che la struttura dei canti delle megattere è clamorosamente uguale a quelle dell’uomo. Per la prima presentazione del libro alla Cascina Nascosta seduto sul divano con mia moglie stavo cercando al computer canti di balena da proporre. Il mio cagnolino Taylor ha drizzato le orecchie e s’è messo all’ascolto con interesse. Mia moglie, che è molto più esoterica di me, ha trovato in questo comportamento un linguaggio universale, io credo che sia una questione di frequenze…».

Veniamo alla prefazione di Laurie Anderson. Lei parla della sua esperienza e di quella di Lou Reed con la trovatella Lolabelle…
Ezio – «È stato un privilegio la sua testimonianza. Un altro mio cagnolino che non c’è più aveva partecipato al suo Concerto per Cani che da anni porta nei palchi di tutto il mondo. È stato incredibile. Laurie ha la capacità di provocare reazioni negli animali che sono uniche, ti trasmettono poi, a loro volta, come ascoltatore e auditore, emozioni incredibili».

Il libro, oltre a queste esperienze profonde ha anche molti aspetti divertenti…
Antonio – «Esatto, ci sono tanti aneddoti semplicemente curiosi e anche buffi. Sono un mezzo per fare propedeutica ed educazione: chi si accosta alla lettura per passare qualche ora in modo leggero o perché è appassionato di animali, trova anche elementi più “seri” come ad esempio Paul Winter e la sua musica, o dischi di cui non aveva mai sentito parlare. Sarebbe bello trascinare il lettore nel nostro mondo magico della musica in cui siamo persi da decenni».

Insomma, alla scoperta della musica attraverso gli animali e viceversa…
Ezio – «Ho scoperto, per esempio, che una delle canzoni più famose sugli animali, Nella Vecchia Fattoria, ce la ricordiamo cantata magistralmente dal Quartetto Cetra, e credo si insegni ancora oggi all’asilo, è stata cantata da Ella Fitzgerald, Frank Sinatra (il titolo originale era Old MacDonald Had A Farm, ndr) o Elvis Presley, in un rock’n’roll eccezionale».

Antonio Bacciocchi

Venendo agli animali: fanno musica, ma l’uomo si è servito di loro anche per farli diventare strumenti musicali…
Ezio – «Certo! Pensa alle api. Sono stati costruiti strumenti per imitare il loro ronzio. Ma l’uomo da sempre ha anche usato gli animali per costruirsi strumenti musicali. Considera le pelli per i tamburi, le conchiglie che vengono usate per strumenti a fiato, i crini di cavallo per gli archetti del violino. Li abbiamo chiusi in un box, perché entriamo in un altro mondo, l’organologia, che non era il tema di questo libro. L’uomo continua ad avere rapporti quotidiani con il mondo della natura colori, odori, suoni che essa stessa produce. Mi ricordo, non l’ho inserito nel libro, un’avventura nella foresta amazzonica. C’era la guida che parlava una lingua a me sconosciuta, con qualche parola spagnola e inglese. Era una “caccia alla tarantola”, così l’aveva definita. Sembravamo dentro un episodio di X-Files con quelle torce in mezzo agli alberi, nel buio più assoluto. La guida ci fece capire di spegnere le torce e rimanere in silenzio. Per fortuna avevo un registratore: nella notte nera ho ascoltato eregistrato un concerto di suoni di ogni tipo, un’emozione che non dimenticherò mai più».

Antonio – «Sempre a proposito del rapporto scienza-musica-animali, la scienza ha restituito alla musica attraverso gli animali un certo favore: anche se si tratta di molluschi, fossili, forme di vita minuscole, animali non particolarmente nobili, ma che portano il nome latino di David Bowie, Mark Knopfler, un paio di vermi sono dedicati a Guccini. Penso che per un musicista sapere che c’è una forma vivente a lui dedicata sia piuttosto appagante».

Ezio – «Credo che più che per il musicista lo sia per la musica, soprattutto Rock. Fa capire come questa forma di arte che spesso è stata considerata controcultura o, peggio, una sottocultura, anche attraverso gli esempi fatti da Antonio, a una medusa che porta il nome di Frank Zappa o una vespa quello di Beyoncé, fra trecento anni si parlerà di questi personaggi come delle grandi eccellenze della razza umana alla stregua di Beethoven o Mozart».

Interessante, anche perché gli animali sono stati usati volontariamente o meno come mezzi nelle performance di artisti. Vedi il famoso pipistrello addentato da Ozzy che lo credeva un animale di plastica, o il pollo lanciato verso il pubblico da Alice Cooper che fece una fine tragica…
Antonio – «Nel libro ricordiamo gli ZZTop che avevano organizzato una serie di concerti dove volevano rappresentare il Texas, stato da dove provenivano. Oltre a cactus e rocce si portarono dietro serpenti a sonagli, bisonti e altre specie animali. Il che fu tutto molto spettacolare ma problematico da gestire, oltre ai musicisti, che a quei tempi ci davano dentro, c’erano anche gli altri animali!»

Siete vegetariani o vegani?
Ezio – «Ammetto di no, ho grande rispetto e stima per chi lo fa. Cerco semplicemente di fare una dieta il più possibile morigerata. Non fumo più non prendo droghe non ho mai bevuto e faccio sport».

Sei perfetto Ezio!
«Quasi, quasi… Se mi togli anche lo sport sarei rovinato! Devo dire che a volte me lo chiedo, e la frase che ricorre nel libro di Paul McCartney: “Se i mattatoi avessero le pareti trasparenti nessuno mangerebbe più carne” fa riflettere. Avendo frequentato anni fa il mondo no profit rimasi molto colpito dal trattamento industriale riservato al mondo animale. Non è più il tempo delle caverne, mors tua vita mea. Allo stesso modo non mi piacciono quelli che colpevolizzano».

Antonio – «Sono stato macrobiotico e vegetariano per un periodo. Vivendo in pianura Padana se tu non assaggi i salumi vieni crocefisso. Per cui, cerco di evitare il consumo di carne, ma non sono rigoroso. Non ho mai fumato, mai preso droghe, faccio sport, infatti mi vedi così magro perché, te lo dico, lo sport fa malissimo!».

1971, l’anno in cui la musica ha cambiato tutto: da vedere!

Mi sono assaporato 1971, The year that music changed everything, la docuserie di Asif Kapadia trasmessa da Apple Tv+. Racconta, senza tesi né costruzioni, ma con filmati – molti di questi mai visti prima – e testimonianze – mai in camera – un anno determinante per la musica, uno spartiacque tra il prima e il dopo, nel quale si sono concentrati una serie di eventi tragici, dolorosi ma anche spettacolari e dove la musica ha fatto da collante, indicando ai giovani di allora nuove strade, un nuovo mondo possibile.

Ispirato a 1971, Never a Dull Moment, libro uscito nel 2016 del critico inglese David Hepworth, pubblicato in italiano da Sur (collezione BigSur con il titolo 1971, L’anno d’oro del Rock), la docuserie riporta con immagini e tanta musica quello che in sostanza Hepworth sostiene su quel fatidico 1971: «il più febbrile, creativo e lungo anno di quell’epoca».

Infatti, di cose ne sono successe, e tante. Con una premessa simbolica dal punto di vista musicale: il 1971 è stato il primo anno senza i Beatles. Infatti, il capitolo iniziale della serie – è anche il più lungo – si sofferma sull’eredità musicale dei Fab Four, sulla politica degli anni Sessanta e sul perché i Settanta siano stati così dirompenti. Dal punto di vista sociale è stato rappresentato –  e giustamente – raccontando la cronaca dei fatti successi all’università di Ken State nell’Ohio: la morte di quattro studenti e il ferimento di altri nove da parte della Guardia Nazionale, durante le proteste contro la guerra in Vietnam. Neil Young dedicò all’accaduto una canzone, Ohio (famosa l’esibizione live al Massey Hall di Toronto nel 1971, dalla quale ne uscì un disco pubblicato soltanto nel 2007).

In otto capitoli per un totale di sei ore1971 sembra più la cronaca di un decennio che di un anno solo. Negli Usa governava Richard Nixon, la guerra in Vietnam continuava a essere la spina nel fianco per il presidente e l’establishment, il “make love not war” dei figli dei fiori era tramontato, sia in musica sia nei fatti, l’America stava facendo i conti con il Black Power, una radicale presa di coscienza diventata lotta di resistenza degli afroamericani; anche le donne iniziavano a rompere quell’apparente, melenso, status quo che prevedeva il marito al lavoro e le mogli devote, tutte casa e pulizia. In questa rivoluzione c’era pure la sentenza di Charles Manson e delle sue adepte assassine per i fatti di Cielo Branco e l’esperimento della prigione di Stanford: un gruppo di psicologi, diretto dal prof. Philip Zimbardo, simulò la vita in un carcere americano in tutto e per tutto. Il test doveva durare 15 giorni, si concluse dopo appena cinque giorni perché i volontari, studenti che simulavano prigionieri e carcerieri, dettero di matto. Sempre nel ’71 l’Orgoglio Gay iniziava a prendere forme organizzate. In mezzo a tutto questo fermento sociale e politico c’era una maggioranza silenziosa che assisteva attonita alla nascita di una controcultura giovanile che demoliva, come martelli pneumatici, le consolidate fondamenta sociali sia negli States sia in Europa.

E la musica regnava sovrana: uno strumento consapevole di questa rivoluzione che Gil Scott Heron riassunse in un brano storico The Revolution Will Not Be Televised – è anche il titolo del quinto episodio della serie – e nella meno conosciuta No Knock e Sly & the Family Stone con un altrettanto esplicito There’s a Riot Goin’ On. La musica come filo conduttore, catalizzatrice del cambiamento in atto. Ed ecco John Lennon, Bob Dylan e Marvin Gaye che arrivano dagli anni Sessanta con un rinnovato impegno politico: Marvin pubblica nel ’71 What’s Going On, che poi Rolling Stone eleggerà disco rock più bello di tutti i tempi. C’è la coscienza delle ingiustizie sociali, di un mondo inquinato, di un establishment corrotto e arroccato. Vi viene in mente qualcosa? Aretha Franklin raccoglie fondi e paga la cauzione all’attivista per i diritti civili Angela Davis, Bill Whiters irromope con la sua Ain’t No Sunshine

Nella narrazione, a filmati e brani musicali di pregio si alternano spezzoni di televisione dell’epoca, importanti per inquadrare il momento storico: dal reality rivoluzionario An American Family a Soul Train, il primo spettacolo televisivo dove gli afroamericani conquistano quell’affermazione musicale tanto cercata.

C’è un capitolo dedicato anche alla droga, l’eroina che consumava Sly Stone e faceva morire Jim Morrison a Parigi, mentre in una lussuosa villa in Provenza i Rolling Stones, fuggiti dal fisco inglese e poi incappati nella mafia marsigliese per colpa della droga, cercavano di registrare un disco, Exile On Main St., che poi diventerà un caposaldo della loro produzione, in una spirale di eroina, anfetamine e alcool di immani proporzioni. Ne parla sopra le immagini il giornalista di Rolling Stone Robert Greenfield, all’epoca al seguito della corte di Keith Richards e soci.

Si sperimenta tanto perché il ’71 è anche l’anno della tecnologia. Arrivano i primi strumenti elettronici, Pete Townshend degli Who ne viene attratto, li studia e li usa – vedi Baba O’Riley. Mentre Alice Cooper sperimenta un rock “visivo” con performance crude (vedi la sua impiccagione…), Marc Bolan frontman dei T.Rex getta le basi del primo Glam Rock. Un giovane David Bowie studia Cooper e si prepara a diventare il mito frequentando la Factory di Andy Wharol. E poi Lou Reed e Iggy Pop, ma anche, a Berlino, i mitici Kraftwerk

E ancora: la musica che unisce anche chi la pensa in modi opposti, vedi i primi skinheads inglesi e i giovani di origini afro che ascoltavano – e suonavano – il reggae di Bob Marley and The Wailers. Il 1971 vede anche la nascita dei cantautori che si sostituiscono nel gradimento dei giovani alle band, vedi Carol King con Tapestry, Joni Mitchell con Blue, Elton John che fa esplodere il Troubadour di Las Vegas nella sua prima tournée americana, Ike e Tina Turner che, assieme agli Staple Singers e ad altri grandi nomi dell’epoca vengono invitati a esibirsi ad Acca, in Ghana, al Soul to Soul Festival per celebrare il 14esimo anniversario della repubblica. E ancora: George Harrison che, il primo di agosto, organizza al Madison Square Garden di New York il mitico concerto benefico per il Bagladesh…

È necessario vederlo, vi assicuro. Perché, oltre all’importanza storica e anche al legame che unisce quella musica che prendeva forma e quella che verrà negli anni seguenti (non a caso l’immagine finale è quella di Billie Eilish), noterete un parallelo con la situazione attuale. Non per la musica, certo che no! Quello resta un anno irripetibile, ma per i problemi sociali e politici. Negli States gli afroamericani protestano ancora per gli abusi e le violenze, i soldati vengono ritirati dopo 20 anni dall’Afganistan (allora si chiamava Vietnam), l’orgoglio gay è più che mai necessario (guardate in Italia le discussioni e l’iter travagliato per approvare la legge sull’omotransfobia), le donne continuano a lottare per le discriminazioni e le violenze, il pianeta è mezzo moribondo per colpa nostra, la tecnologia ci fa del bene, ma a che prezzo… Paralleli nemmeno troppo nascosti. Speranze, ambizioni, frustrazioni si ripetono. Guardatelo con questi occhi e vi renderete conto dell’immobilità del tempo: sono passati 50 lunghi anni e i problemi sono praticamente gli stessi…