Senhit: il mainstream? È l’autenticità

Derogo dal mio restare “not mainstream” parlandovi oggi di un’artista che, pur navigando in acque pop e dance, ha attirato la mia attenzione per contenuti e messaggio. Si chiama Senhit Zadik Zadik, classe 1979, è bolognese di nascita ed eritrea di discendenza. Fin da piccola voleva cantare, recitare, stare sul palco. C’è riuscita costruendosi una carriera che scivola sul mainstream senza farlo proprio. 

Non ha mai derogato ai suoi principi, libertà, positività, ottimismo e nemmeno ha preso scorciatoie, tipo talent show «volevo per me una carriera solida, non essere una meteora», mi dice. Canta, balla, recita, ha iniziato a calcare i palchi internazionali con i musical, ne ha fatti tanti in giro per il mondo. Ha partecipato a due Eurovision per San Marino. Grazie al Contest è diventata ancora più famosa e stimata all’estero.  Continua a leggere

Gino Marielli: Tazenda, Murales e il mainstream

Gino Marielli

Ricordando Murales. I Tazenda, Gino Marielli, Gigi Camedda e Nicola Nite, quest’anno hanno scelto l’album pubblicato il primo marzo del 1991 come tema del loro live – che stanno portando in giro per l’Italia e l’Europa dal 20 aprile scorso – disco dirimente per la band e, aggiungo, per la musica italiana.

Sono brani che hanno fatto storia, vedi Mamoiada, Desvelos, Nanneddu, Disamparados, quest’ultimo tradotto e portato a Sanremo nel ’91 con il titolo Spunta la luna dal monte assieme a Pierangelo Bertoli. Sul palco oltre a Gino, Gigi e Nicola, ci sono Massimo Canu al basso, Massimo Cossu alle chitarre, Paolo Erre alle tastiere e Luca Folino alla batteria.

Murales come tour ma anche come manifesto del lungo viaggio artistico della band. La seconda parte del concerto, infatti, racconta il percorso umano e musicale del gruppo, le collaborazioni con altri musicisti e l’omaggio, diventato ormai un classico, ad Andrea Parodi attraverso un brano storico saulese dell’inizio Novecento riadattato da Marielli oltre trent’anni fa,  No photo reposare. Il tour è l’occasione per fare una chiacchierata – tra una data e l’altra – con Gino Marielli. Continua a leggere

Romina Falconi, regina delle ombre

Romina Falconi. Le foto sono di Ilario Botti

Romina Falconi, classe 1985, romana, bionda platino. È un’artista che, sui dischi, naviga tra le onde rassicuranti del pop e, dal vivo, in quelle del rock bello elettrico, usando le stesse canzoni. È la donna degli ossimori: musica sbarluccicante/testi da rapper incazzato, ironica e tagliente/dolce e sorridente. «Nel mondo del pop quando ho cominciato a bussare alle porte delle case discografiche e delle radio mi vedevano come un mix tra una macchietta e la saponificatrice di Correggio», racconta con una risata. Entra nel magico mondo positivo del pop come un rinoceronte determinato a incornare la jeep dei turisti che lo stanno fotografando.

Il motivo che ha destato il mio interesse è il modo di presentare la sua musica attraverso un progetto, Rottocalco, e un tour, Rottincuore Recital, che definisce i perimetri del suo lavoro artistico. Ve lo spiego in maniera sommaria, il resto lo leggete nell’intervista: l’uscita programmata di un singolo che, come sta facendo Mirco Mariani con il Parcheggiatore di Sommergibili di cui vi ho raccontato qui, andrà a comporre un album, e in più un libro vero e proprio che spiega i tre minuti della canzone e li fa rivivere con interventi suoi e di esperti tra psicologi, scrittori, antropologi, sociologi, disegnatori. Finora ne ha scritti tre, La Suora, Lupo Mannaro, Maria Gasolina, il quarto tratto da La solitudine di una regina, brano uscito il 17 maggio scorso, una ballad che racconta la storia di una regina prigioniera dell’assenza, è in fase di preparazione. Continua a leggere

Pier Bernardi, il basso e la gran voce di Prudence

Come scritto più volte in questo blog sono restìo a presentare dei “singoli”. Credo che un artista,  soprattutto se sconosciuto, non lo giudichi da una canzone. Nel caso di Say Yeah, disco uscito  il 9 febbraio scorso, l’artista in questione è un bassista navigato, ben noto nel mondo del rock italico e in quello del circuito di World Music: Pier Bernardi, emiliano Sant’Ilario D`Enza (RE). 

Con  questo brano Pier termina una trilogia iniziata con Black and White e proseguita con Eyes, realizzata in collaborazione con Prudence Obounon, giovane ivoriana, dotata di una voce straordinaria, artista di cui sentiremo molto parlare.  Continua a leggere

Tre dischi per tre voci al femminile nel primo weekend d’autunno

Per il primo weekend d’autunno ho pensato di proporvi tre lavori usciti questo mese. Li unisce una caratteristica, le voci femminili. Voci che rappresentano la bellezza della musica da qualsiasi parte del mondo essa provenga, in questo caso dagli Stati Uniti dalla lontana Islanda e dal Tibet. Sono anche – lo vedremo tra poco – lavori dove il viaggio diventa la forma predominante per raccontare tante storie di vita e di umanità. Continua a leggere

Bakivo, “Appunti di viaggio” nella musica d’autore

Segnatevi questo nome: Bakivo, ne sentirete parlare. Sono un trio bolognese composto da Sara D’Angelo voce, Luca Cremonini chitarre e Pedro Judkowski contrabbasso. Il 18 aprile scorso hanno pubblicato un album, Appunti di Viaggio: nove brani con un incedere jazz, swingante quanto basta, con ampi inserti di bossanova e canzone italiana d’autore. Non a caso, oltre alle otto tracce frutto della composizione del trio, c’è uno standard, Estate, di Bruno Martino, proposta in 5/4, sentito omaggio a quella canzone melodica che il nostro Paese ha esportato nel mondo.  Continua a leggere

Caterina Comeglio, un’Isola abitata da Jazz, Soul e Pop

Oggi ritorno con una nuova cantautrice. Si chiama Caterina Comeglio, è milanese, classe 1990, ha una voce molto sofisticata, con la quale può fare tutto, dal jazz al pop al R&B. Ha pubblicato a ottobre un Ep dal titolo Isola (via Hukapan) sei brani composti da lei, nei testi e nella musica, con gli arrangiamenti del pianista Mirko Puglisi.

Gli studi musicali di Caterina sono di grande rispetto: Jazz Trinity College di Londra e quindi Leeds College of Music, come la sua esperienza sul palco che ha condiviso con il sassofonista Bob Mintzer, con Sarah Jane Morris, ma anche con Mika e Roby Fachinetti. Tre anni fa ha vinto il Premio Lelio Luttazzi nella categoria “cantautori”, con un brano Scheletri a Ballare, arrangiato da suo padre, Gabriele Comeglio, sassofonista e direttore d’orchestra. Continua a leggere

Autori Associati, un collettivo per rilanciare la musica di qualità

Filippo Minoia

Si sono chiamati Autori Associati, è un nuovo collettivo di musicisti, compositori, produttori, cantanti, autori  nato sui social con un’idea comune: si può fare musica, anche quella dell’attuale mainstream, creando un prodotto di qualità non soltanto tecnica, ma soprattutto artistica. Testi, musiche, distribuzione diverse da quella attuale? Loro sono convinti di sì. Nell’idea degli AA c’è una costante di base: l’etica. Lavorare per portare al pubblico un qualcosa che sia “sostenibile”, nell’accezione originale del termine, e comunicabile  – vabbè la dico a modo mio – guardandosi fieramente allo specchio.

Chi ha avuto l’idea di questa comunità di artisti proveniente da tutta Italia, volutamente aperta, si chiama Filippo Minoia. È un musicista  e compositore romano. L’ho chiamato per farmi raccontare l’iniziativa che ha portato alla pubblicazione di un primo lavoro, solamente digitale, uscito a settembre dal titolo Ruggine&Borotalco, frutto della sinergia del collettivo. Un brano Pop: il genere non è stato scelto a caso, essendo il più inflazionato dal mainstream, reinterpretato in una chiave più intelligente, ironica, un testo contro i luoghi comuni di una forma canzone che racchiude oggi, almeno qui in Italia, una percentuale di rapper, trapper, simili fra loro al punto di rendere banale anche chi scontato non lo è affatto. Continua a leggere

Disco del Mese: P.O.C. (Proof Of Concept), Zenizen

Nelle mie escursioni lungo sentieri sonori da me poco frequentati, mi sono imbattuto in P.O.C. (Proof Of Concept), un disco molto interessante, uscito il 27 luglio, ben concepito e altrettanto ben arrangiato da Opal Hoyot – nata in Alaska, vissuta tra Australia, Las Vegas, Washington DC, Jamaica e ora di stanza a New York – con il moniker di Zenizen. C’è tanta elettronica, ma ci sono anche strumenti “analogici” che, insieme, dialogano molto bene.  Continua a leggere

Riccardo Ruggeri, la libertà di cantare

Riccardo Ruggeri – Le foto nel post sono di Leo Camante

Oggi vi presento un artista che, nonostante faccia il musicista da anni e abbia un background di grandissimo rispetto, ha pubblicato a metà aprile il suo primo disco da solista, Non ci aspetta nessuno (se non miliardi di foto), per Vina Records/ADA Music Italy. Si chiama Riccardo Ruggeri, è piemontese di Biella, ha 42 anni ed è uno che sulla sua voce ha scommesso tutto. Anni di studio, una laurea al Conservatorio di Alessandria in canto jazz e improvvisazione, un master in vocologia, e poi studi ancora più approfonditi di canto funzionale, canto armonico e canto estremo, e una venerazione da ricercatore per Demetrio Stratos e il canto dei pigmei 

In una parola: sostanza. Nella musica, dove l’elettronica, i richiami dance e funk con uno sguardo al miglior pop internazionale sono il filo conduttore. E nei testi stimolanti, provocatori, a uso di una voce con cui riesce a fare praticamente di tutto. Se mettete in cuffia Un POPulista, capirete ciò di cui sto parlando!

Vi consiglio vivamente l’ascolto! E lo suggerirei soprattutto ai tanti trapper e rapper nostrani, specialmente nell’uso sapiente e centellinato dell’Auto-Tune, impiegato per esaltare la vocalità e non per nascondere le incapacità. Avrete capito che il personaggio mi intriga non poco.

Ruggeri è un artista particolare: non cerca il successo ma il pubblico. In base a questa filosofia – corretta per un musicista – persegue una politica di intrattenimento tutta sua. La situazione ideale per esprimersi è la strada, da vero busker, dove può entrare in contatto con chi lo sta ascoltando che si ferma solo perché interessato alla sua musica. La maggior soddisfazione. Ha suonato in molte parti del mondo, all’Ansan Street Arts Festival in Corea, al Nature and Art Festival di Shenzhen, in Cina, al Cirk! in Belgio, Imaginarius in Portogallo, Olla in Austria, Spoffin in Danimarca… tutti grandi festival dedicati agli artisti di strada.

Anche la cover dell’album lo rappresenta, un rinoceronte con un orecchino d’oro, i suoi occhi azzurri e la bocca aperta nell’atto del cantare. Altra particolarità di Riccardo: non sopporta i dischi mono-genere e neppure l’accademismo fine a se stesso. 

Lo raggiungo al telefono in Francia, dove sta portando in giro con una compagnia teatrale uno spettacolo. La telefonata arriva mentre stanno cercando il teatro dove dovranno esibirsi. «Gira di qua». «Ok, ora dritto, il navigatore mi dà così, ecco, ora vai a destra…». 

Riccardo, mi senti? Hai un attimo per me?
«Eccomi! Scusami siamo praticamente arrivati… dimmi pure!».

Ti chiamo per il disco, mi è piaciuto molto. So che non sopporti gli album mono-genere però ci sarà pure un filo conduttore in questi 12 brani…
«Certo, è il canto!».

Come ti è venuta la passione?
«Ai tempi del liceo avevamo dato vita a una band. Suonavo la chitarra, poi, visto che non c’era il cantante, ho iniziato a cantare. L’avevo sempre fatto, ascoltavo i vinili di mio nonno, mi piaceva la voce di Claudio Villa… poi ho conosciuto il lavoro di Demetrio Stratos. È stata una deflagrazione: pensa a quello che ha fatto, una tangente che è partita da John Cage ed è arrivata al Rock’n’Roll. È stato una meteora, purtroppo. Riascoltando i suoi lavori da solista, dentro ho ritrovato e ritrovo i suoi esperimenti vocali, utilissimi in campo didattico. A 18, 19 anni mi mettevo in sala prove cercando di ripetere i suoni che uscivano dalla sua bocca».

Hai studiato anche canto funzionale…
«Lo si ritrova in tutte le didattiche. Si tratta di percepire, sentire la propria voce attraverso tutto il corpo in modo da ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Quando si canta si mettono in movimento catene muscolari lungo tutto il nostro corpo. Non è una tecnica sciamanica ma si tratta di ricerca (la scienza ci è arrivata negli ultimi vent’anni). Praticarla mi ha smontato e ricostruito, cambiato il valore del canto, che diventa ascolto, autopercezione, condivisione. In questo modo il virtuosismo passa in secondo piano…».

Mi è piaciuto molto la cover… ma perché proprio un rinoceronte?
«Da piccolo ero affascinato dal mondo animale, avevo l’album di figurine del Wwf. Poi ho trovato la simbologia dei vari animali. Il rinoceronte rappresenta la resistenza, la pazienza e la precarietà…».

Ti riconosci in lui…
«Tendo ad avere passioni forti e intense che durano un paio di mesi, poi passo a un’altra cosa».

Vieni da Biella. Come si sta in provincia? Zerocalcare nel suo Strapapare Lungo i Bordi, l’ha presentata come una cittadina sonnolenta, triste, scatenando l’ira di tanti…
«Zerocalcare ha toccato l’orticello e le sue chiusure. Ci sono nato, ci vivo, ma ho sempre bisogno di scappare per ritrovare equilibrio e soddisfazione nella piccola provincia. E poi si sta bene: a pochi minuti da casa sono a fare il bagno nel torrente in montagna».

Non hai mai pensato di trasferirti? Che ne so, a Milano, a Torino o a Roma?
«La grande città, a livello di offerte, ha grossi vantaggi. Il fatto è che sono un estimatore del caso e del caos: come l’acqua, che va ovunque e si infiltra dappertutto. La provincia ha muri così alti che, per contro, mi spinge a cercarmi le cose…».

Bella teoria: è uno stimolo per aggirare i tanti ostacoli. Lo fai se proprio lo desideri…
«A 16 anni mi andavo a cercare tantissime cose, facevo concorsi, eravamo riusciti a suonare a Torino, Bologna e Milano!».

Veniamo ai brani: Io non sono figlio di Maria, intesa come la Madonna?
«Ma no! Io non sono Figlio di Maria, intesa come la De Filippi. Non ho mai provato il mondo dei talent, per quanto trovo sia efficace. Però non lo farei mai perché mi è sempre piaciuto il valore sociale della musica. Il dover dimostrare quanto si vale non è nelle mie corde: forse è meglio fare quello che ci fa stare bene. Il titolo e un po’ un gioco, ricordi la vecchia cantilena chi fa la spia non è figlio di Maria? Ebbene, voglio essere una spia, intesa come segnale che si accende per segnalare problemi, anomalie…».

Quindi questo disco che cos’è per te?
«Una necessità, avevo bisogno di creare quel tipo di accrocchio di generi. Tutto però si riconduce alla mia esigenza di creare qualcosa legato a una sensibilità condivisa. Come nei miei progetti, ad esempio con i Syndone, band prog rock di Torino (decisamente e meravigliosamente prog!, ascoltateli, ndr) o con Le Lavatrici Rosse (duo con il batterista Andrea Beccaro, con cui canta Giovinezza, brano contenuto nel disco, ndr)».

Una canzone diversa dall’altra quanto a stile e modo di interpretarla…
«Mi sono concesso un momento di libertà creativa, dove non avevo vincoli nello scrivere, basandomi solo sui periodi in cui li ho composti».

Cosa ti aspetti dall’album?
«Di dare una visione sincera semplice di quello che mi piace, arrivare a comunicare in modo intimo con chi mi ascolta. Un condivisione di esperienze e sensibilità. Non ho aspettative commerciali».

Avete fatto anche dei vinili?
«Per ora solo una piccola tiratura di Cd e la versione digitale, ovviamente. Il vinile è una spesa troppo elevata. Ci sarà comunque un secondo tempo, ho già venti brani pronti!».

Deciso appuntamenti live?
«Stiamo organizzandoci. L’estate è l’occasione per sperimentare… il lavoro grosso sarà in autunno, nei club».

Ti definisci, con orgoglio, un busker…
«È la forma di live che preferisco in assoluto. Il busking è post social, mi piace, mi fa impazzire suonare per strada, perché cade tutta la finzione del palco. La strada è spietata, nessuno ti aspetta. Si ferma ad ascoltarti solo chi ritiene che sei degno d’ascolto. È libertà per il musicista e per l’ascoltatore, una palestra di vita. E poi ci si muove facilmente. Prendo la mia orrenda Multipla, carico il borsone con gli strumenti e parto… è un senso di libertà totale!».