Tre dischi da ascoltare… from Brazil!

Ritorno da voi dopo una settimana di relax con tre dischi di recente uscita. Tutti e tre arrivano dalla cultura musicale brasiliana, una delle mie passioni, lavori legati alle armonie “classiche” della bossa, del samba e della musica popolare latino americana, un terzo tra bossa, jazz e psichedelia che vede protagonisti due musicisti incredibili, Milton Nascimento ed Esperanza Spalding.  Continua a leggere

Riviera, meu amor! Ecco le magie di Toco

Toco, Tomaz Di Cunto – Foto Luan Cardoso

Tenho saudade do mar,
Tenho vontade de olhar
A nuvem cinza na céu da manhã
O teu sorriso no bar
Uma cadeira quebrada, uma flor
A vida em mil pedaços
Nesse espaço temporal

Ho nostalgia del mare/Ho voglia di osservare/ La nuvola grigia nel cielo mattutino/ Il tuo sorriso al bar/ Una sedia rotta, un fiore/ La vita in mille pezzi/ In questo spazio temporale. Il testo di Clube, brano che apre Riviera, il nuovo disco del brasiliano Toco, al secolo, Tomaz Di Cunto, uscito per Schema Records il 19 aprile scorso, racchiude tutto l’universo del compositore paulistano: un mondo gentile e scanzonato, dove c’è posto per l’amore e l’amicizia, per la vita delle piccole cose e la nostalgia, per quello che è stato e per quello che sarà. Quella punta bohémienne, come un peperoncino sapientemente dosato, presente nel samba e in quella “grande scatola”, che nel suo modo di vedere la musica brasiliana, racchiude la Música Popular Brasileira. Continua a leggere

Mafalda Minnozzi, la bossa, il jazz in Natural Impression

È tornato il sole e con lui quel bel cielo settembrino che concilia pensieri positivi. Sto ascoltando il nuovo lavoro di Mafalda Minnozzi, Natural Impression, disco latin jazz uscito in digitale e in formato fisico l’8 settembre scorso. Pavese,  una laurea in ingegneria informatica più un sacco di altri interessi, leggo sulla sua bio: “autrice di testi, producer, corrispondente dall’estero di programmi di Radio Rai, stilista, regista di cortometraggi, chef di cucina, personaggio televisivo”), è conosciuta in Brasile e negli Stati Uniti, oltre che qui in Italia per il suo certosino lavoro a cavallo tra tradizione e improvvisazione. Un’artista che il dio della musica ha dotato di una voce che, per tonalità e morbidezza, grazie anche a quegli accenti straordinariamente civettuoli, si presta a interpretare jazz, latin e, soprattutto, bossanova, generi che domina ormai da anni con reciproche soddisfazioni (sue e nostre!). 

Veniamo al disco: 15 brani registrati all’Acustic Recording Studio di New York arrangiati, prodotti e suonati da Paul Ricci, con cui Mafalda ha un sodalizio artistico che ha già prodotto due album, Sensorial – Portraits in Bossa & Jazz nel 2020 e Cinema City – Jazz Scenes From italian Film, del 2021.  Continua a leggere

Tre dischi “caldi” prima del rientro

Stiamo volgendo rapidamente alla fine dell’estate, così ho pensato di proporvi tre uscite, una di luglio e le altre due dei primi giorni di agosto, per celebrare il calore della musica brasiliana. Mi affascina vedere come la Bossanova, il Samba, il Tropicalismo e la MPB siano, a distanza di anni dai grandi classici di Jobim, Gilberto, Veloso, Lins & Co, ancora un punto di riferimento per molti artisti, dal jazz alla musica popolare. Settimana scorsa vi ho presentato gli italiani Bakivo, oggi sottopongo al vostro ascolto tre lavori che hanno catturato la mia attenzione per la solidità delle proposte, la bravura nell’esecuzione e la creatività nel rielaborare melodicamente e armonicamente un pezzo importante di musica del Novecento. Continua a leggere

Bakivo, “Appunti di viaggio” nella musica d’autore

Segnatevi questo nome: Bakivo, ne sentirete parlare. Sono un trio bolognese composto da Sara D’Angelo voce, Luca Cremonini chitarre e Pedro Judkowski contrabbasso. Il 18 aprile scorso hanno pubblicato un album, Appunti di Viaggio: nove brani con un incedere jazz, swingante quanto basta, con ampi inserti di bossanova e canzone italiana d’autore. Non a caso, oltre alle otto tracce frutto della composizione del trio, c’è uno standard, Estate, di Bruno Martino, proposta in 5/4, sentito omaggio a quella canzone melodica che il nostro Paese ha esportato nel mondo.  Continua a leggere

Tony Canto, la bossa, la chitarra e il mondo come casa

Un italiano con il Brasile in testa e la bossa tra le dita. Tony Canto, siciliano di Messina, autore Sugar, è un musicista con spirito brasileiro. «Ho scoperto João Gilberto per la prima volta a 14 anni, per radio. Un suono che lambiva il silenzio», mi racconta. L’adolescenza lo ha portato ad altro, al rock, al pop, però quel piccolo seme era stato piantato e stava crescendo. Nel frattempo s’era iscritto a giurisprudenza, laureandosi e diventando avvocato. «A 40 anni ho deciso di vivere per e con la musica. Prima come produttore poi come musicista». 

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Joe Barbieri, trent’anni di musica e rispetto

Joe Barbieri – Foto Angelo Orefice

Vivere attraverso la musica è un’arte che pochi sanno praticare. È questione di attitudine, di sensibilità, di condivisione. Joe Barbieri, musicista napoletano, è uno di questi rari esseri umani. Lo seguo da anni, mi ha incuriosito fin dai suoi primi lavori per la sua “integrità musicale”. Che non significa attaccamento a un genere, anzi! Semmai, pura creatività messa in note con criteri rigidissimi. 

Artista attento alla musica del mondo con una predilezione per il jazz, la bossanova e lo choro, la sua Cosmonauta d’appartamento suonata con Hamilton de Hollanda, incredibile mandolinista brasiliano, dall’omonimo album uscito nel 2015, è uno dei brani che resta custodito nella mia playlist del cuore, tra Desde Que o Samba é Samba di Caetano Veloso e Gilberto Gil, e País Tropical cantato da Veloso, Gil e dalla grande Gal Costa (che se n’è andata a 77 anni la scorsa settimana)… Insomma, tornando a Barbieri, alla sua creatività, uno può avere tutta la fantasia del mondo, ma poi, per trasformarla in musica e fare un buon pezzo ha bisogno di tanta arte e studio.  Continua a leggere

Intervista: Marisa Monte e le sue “Portas” aperte sul futuro

Marisa Monte – Foto Leo Aversa

Oggi vi voglio portare ancora in Brasile. Questa volta per parlarvi di un’artista che, in molti anni di attività, è diventata di diritto una delle musiciste internazionali più ascoltate, quotate e influenti del paese sudamericano. Lei è Marisa Monte, carioca di nascita, una voce estremamente raffinata, una cultura musicale vastissima che spazia dalla musica popolare alla classica, dal jazz al samba e alla bossanova e una vita dedicata alla contaminazione, alle collaborazioni con musicisti dalle provenienze più disparate.

Il 2 luglio scorso ha pubblicato Portas, album composto da 16 tracce, un racconto, per chi la conosce, che ha del cinematografico. Sedici brani che catturano, conquistano, raccontano storie. In Portas c’è amore, romanticismo, passione, tristezza, allegria, speranza, futuro. Se dovessi fare un paragone, è come vedersi un film alla La La Land. Basta ascoltare il brano Portasquello che dà il titolo all’album, per capire quale sia la direzione del nuovo lavoro della Monte. Qual é a melhor?/ Não importa qual/ Não é tudo igual/ Mas todas dão em algum lugar/ E não tem que ser uma única/ Todas servem pra sair ou para entrar/ É melhor abrir para ventilar/ Esse corredor… Qual è la porta migliore? si chiede. La risposta arriva subito dopo: non ha importanza quale sia, non è tutto uguale. Ma tutte le porte aprono in un qualche posto. E, non necessariamente deve essere una porta sola, tutte servono per uscire e per entrare. È comunque meglio aprire per far cambiare aria a questo corridoio. Metafora dei tempi correnti…

Ho l’appuntamento su Zoom. Lei mi risponde da Rio de Janeiro, elegante come sempre, seduta su sfondo nero dietro diverse chitarre, se ne intuiscono le silhouette.

Prima dell’intervista torniamo un attimo alle collaborazioni, perché dicono molto: innanzitutto c’è quel geniaccio di Arto Lindsay, vecchia amicizia di Marisa, grandi collaborazioni, una su tutte, il secondo disco, Mais, prodotto da Arto. E poi Arnaldo Antunes, ex Titãs e compagno nell’avventura Tribalistas con Carlinhos Brown. Il fado Vagalumes è un piccolo omaggio, un gioiello incastonato nelle terre lusitane. Carlinhos non c’è in Portas, in compenso è presente il figlio, Chico, nipote di Chico Buarque de Hollanda, uno dei miti della musica brasileira (ascoltatevi Calma).

C’è anche Nando Reis, altro Titãs (vi consiglio, se ne avete voglia, di mettere sul piatto un po’ di album della rock band nata a São Paulo negli anni Ottanta), Dadi Carvalho, bassista che ha suonato nei Novos Baianos e nei Barão Vermelho (ascoltatevi la bella A Língua dos Animais, frutto della collaborazione tra Marisa, Arnaldo e Dadi) e poi Marcelo Camelo, polistrumentista e anima dei Los Hermanos, gruppo pop rock della fine anni Novanta, quindi Seu Jorge, con cui Marisa ha collaborato più volte, qui in Portas con la figlia Flor, grande voce, nell’ultimo brano, Pra Melhorar! Per continuare con Pretinho da Serrinha, compositore di samba, per un brano tutto da godere, Elegante Amanhecer dedicato alla Portela, scuola di samba carioca, di cui Marisa è sostenitrice, tra cavaquinho, cuica e surdo: Foi lindo de ver a Portela/ O sol raiando/ Elegante amanhecer/ Seu canto ecoou na passarela/ Auê auê salve o samba, salve ela…

La cover dell’album e l’intero concept visivo del disco sono opera dell’artista Marcela Cantuária. «Il progetto è diventato un dialogo audiovisivo tra due donne contemporanee che hanno prestato la oro sensibilità al servizio dell’arte», spiega la musicista. «Marcela è riuscita a rappresentare sia me sia le mie canzoni».

Marisa, un disco di 16 tracce dopo dieci anni dall’ultimo tuo lavoro, come mai tanto tempo?
«Mi sono dedicata a tantissime altre collaborazioni e progetti, come il tour con Paulinho da Viola (uno dei grandi artisti di samba brasiliani, ndr). Doveva essere un minitour in Brasile e si è trasformato in un grande successo! Poi ho lavorato a un progetto d’archivio, Cinephonia, (trent’anni di carriera con inediti audiovisivi, raccolti e catalogati, inaugurato nel marzo dello scorso anno, ndr), ho pubblicato con Carlinhos e Arnaldo il secondo disco Tribalistas… Nel frattempo ho continuato a scrivere, comporre. Non è stato un disco programmato. Quando ho deciso di trasformare quel materiale in un album, avevamo deciso di iniziare a registrare nel maggio 2020 a New York, con Arto Lindsay. Ma con la diffusione della pandemia e il lockdown è saltato tutto. Abbiamo, quindi, rinviato a novembre. Ma poi, vista l’impossibilità di trovarci fisicamente, abbiamo provato a registrare un paio di basi via Zoom tra Rio e New York. Il lavoro stava venendo bene, quindi abbiamo iniziato a lavorare insieme, ho incontrato tanti collaboratori internazionali senza muovermi da Rio! Così abbiamo lavorato a Rio de Janeiro, Los Angeles, New York, Lisbona, Madrid, Barcellona, Seattle…».

Foto Leo Aversa

Sedici canzoni sono tante in un disco…
«In realtà sarebbero 18 tracce,  mi rimangono ancora due brani che pubblicherò, il primo tra poco, e il secondo lo terrò per quando inizierò il tour, il prossimo anno».

Parlami di Portas. Il mondo è pieno di porte che si aprono e si chiudono…
«Volevo cantare un po’ di speranza, fornire uno sguardo diverso, positivo del mondo, visto che, soprattutto in questi due anni, siamo stati molto negativi, insicuri. Nonostante tutto quello che è successo con il Covid19, penso che oggi noi siamo comunque migliori di 50 anni fa. Credo che sia meglio vivere il presente, nonostante tutto quello che è accaduto, perché in questo presente abbiamo intavolato molti temi di discussione, dal guardare il mondo con più attenzione e rispetto, al lavorare per una società più aperta, rispettosa dei diritti di tutti. Il mio è stato un lavoro all’opposto del negazionismo, diciamo di “affermazionismo”. Una resistenza poetica e amorosa, una forma di protesta fatta in tutte le forme possibili. Ci vuole molto coraggio nel difendere l’amore!».

Frame dal brano “Portas” che apre il disco.

A proposito di negazionismo, la situazione politica in Brasile non è delle migliori. Hai voglia di parlarmene un po’, mi interessa sapere come la pensi…
«In Brasile c’è stata una sovrapposizione di crisi, la pandemia e una crisi democratica senza precedenti. Non è molto diverso dal resto del mondo occidentale, però. Lo stesso problema c’è stato in America con Trump, c’è in Europa, lo avete avuto anche in Italia. Credo, voglio credere, che questa sia un situazione che non potrà durare ancora a lungo. Passerà, perché questa crisi democratica genererà una gestione futura del progresso».

Il presidente Bolsonaro non vede di buon occhio la cultura, non tiene molto in considerazione voi artisti.
«Alla base c’è un pensiero retrogrado che non considera la cultura come un potente forza economica che genera indotti, ma piuttosto come un nemico ideologico. Purtroppo per loro, per fortuna non si torna indietro. Non ritorneremo nell’oscurità, si dovrà andare avanti, con orgoglio. Credo che tutti questi problemi che hanno i paesi democratici risiedano nel come è veicolata l’informazione, praticamente senza controllo. Le fake news continuano a essere molto disturbanti per i paesi che credono in certi valori. E non sto parlando solo del Brasile».

Tornando a Portas: hai attinto da tutto il bagaglio della musica brasiliana, dal rock di Rita Lee, alle composizione in bilico tra MPB e jazz di Milton Nascimento, al rock degli anni Ottanta, Titãs, Barõ Vermelho, al Samba, alla bossanova e persino a quel nuovo fado portoghese che negli ultimi anni ha rivoluzionato un genere quasi intoccabile…
«Vero, tutti gli artisti che hai citato e che hanno lavorato in quegli anni incidevano dal vivo in studio, tutti insieme. Questa è la grande forza della collaborazione, del creare qualcosa di unico. Purtroppo la pandemia ci ha costretto a lavorare diversamente: era un mio desiderio ma anche una vera impossibilità. Credo che incida sulla dinamica musicale anche se è stato fatto un ottimo lavoro! Ho sempre voluto collaborare con artisti di generazioni diverse perché credo che queste contaminazioni influiscano positivamente sul pubblico: mi ascoltano la nonna e la nipotina! Anche in questo lavoro ho avuto degli arrangiatori incredibili, da Arthur Verocai, musicista di grande esperienza, al giovane Antonio Neves, al mio coetaneo Marcelo Camelo».

Marisa, un’ultima domanda: cosa ti aspetti da questo nuovo album?
«In Brasile è stato accolto benissimo, oltre tutte le aspettative. Spero che possa portare in questo momento amore, poesia e anche talento».

Musica brasiliana: social, leoni da tastiera e nostalgia

Thiago Nassif – foto Hick Duarte

Voglio tornare su un post che ho pubblicato giusto una settimana fa. L’intervista a Thiago Nassif, uno degli artisti veramente innovativi nel panorama musicale brasiliano piuttosto decaduto negli ultimi anni – secondo me, ma non solo, visto che sono in buona compagnia, dal New York Times al nostro Internazionale che un paio di mesi fa ha scritto un’ottima recensione su di lui, parlando di musica cubista.

Sulla “caduta libera” della nuova musica brasileira possiamo discuterne per ore. La musica brasiliana nel Novecento e nei primi anni duemila aveva alzato l’asticella della qualità in modo sorprendente, il che spiega una certa resistenza da parte dei fan della bossanova  e della MPB tradizionale nell’accettare il nuovo. Ci avevano abituato bene. E qui sta il problema. Ho pubblicato sulla pagina facebook di Musicabile un post che rimandava all’intervista e al mio blog. A parte un commento molto positivo, guarda caso, di un musicista, il resto dei pochi commenti erano negativi.

Mi son preso addirittura del “somaro” per quello che avevo scritto (ammesso che il livoroso lettore si sia preso la briga di leggere l’intervista per intero). Ho riflettuto molto su quei giudizi tranchant. Per certi versi li capisco. Bossanova, tropicalismo, MPB sono inimitabili. Ed è giusto che sia così. Però la musica evolve, la ricerca di sonorità diverse, l’esplorazione sull’uso di strumenti, l’elettronica sono inevitabili, sono l’espressione di nuove creatività.

Che poi si attinga da quella musica è un obbligo morale per gli artisti brasiliani, imprescindibile. Thiago Nassif non fa samba, né bossanova, né emula Caetano, Gil, Jobim o Buarque. Fa Thiago Nassif, un artista colto che riconosce l’alto valore artistico di chi li ha preceduti e che cerca di unire quei solidi fili che costituiscono la musica brasiliana di qualità e dispiegarli in altra musica, non banale né commerciale. È ricerca rispettosa della tradizione, persino quella più ostica per noi, parlo dei canti rituali indigeni, o della preziosa musica “campagnola”, la Moda de Viola, che s’è poi sviluppata nella musica sertaneja, filone estremamente popolare nel Paese sudamericano. La ricerca – è banale dirlo – è fondamentale per innovare, imboccare nuove strade, nella musica come nella pittura, nel teatro come nella letteratura.

Non dobbiamo porci all’ascolto di nuovi artisti comparandoli a quelli che ci piacevano e nemmeno pensare che i musicisti brasiliani siano “condannati” a vita a suonare seguendo quei binari armonici che tanto ci piacciono.

La massificazione e la immensa voracità delle grandi label discografiche hanno appiattito la musica ovunque. Brani semplici, spesso uguali, che si dimenticano in un paio di mesi a voler essere generosi, aspiranti artisti intercambiabili, sonorità scontate e ripetute. Musicisti come Thiago vogliono evitare queste sabbie mobili cercando di non essere mai banali. Poi possono piacere o meno. Ma meritano comunque rispetto.

Tre dischi, tre voci femminili, tre modi di passare il weekend…

Come ormai consuetudine, anche questo venerdì vi propongo tre album da ascoltare durante il weekend. Questa volta si tratta di tre nuove uscite di giugno dove le protagoniste sono tre donne. Tre artiste di notevole bravura, tra elettronica, neo soul e Musica Popular Brasileira di nuova generazione. Viaggeremo, quindi, tra New York, Melbourne e São Paulo.

1 – Fatigue – L’Rain
Partiamo da New York, Brooklyn per la precisione. L’Rain è il moniker che si è scelta Taja Cheek, trentenne cantautrice, una laurea in musica e un modo di comporre molto personale. Il nome d’arte L’Rain è un omaggio a sua madre, Lorraine, morta nel 2017 quando Taja stava lavorando al suo primo disco. L’ha anche tatuato sull’avambraccio. Fatigue riporta ancora le ferite della perdita subita, unite alle tante altre legittime domande che la Cheek si  pone sulla sua vita. È un disco ma, soprattutto, un viaggio introspettivo, come lei stessa ha spiegato al New York Times che le ha dedicato una lunga intervista una decina di giorni fa. Di lei, Jon Pareles, l’autore dell’intervista nonché capo dei critici musicali del quotidiano americano, scrive: «Cheek continua a riflettere su insicurezza, ricordo, smarrimento, rimpianto, lutto e la preoccupazione mentre cerca, in qualche modo, di insistere. In Find It canta “Mia madre mi ha detto: trova una strada dove non c’è”». Find It è un po’ la “summa” del suo modo di fare musica. Lei registra di continuo, voci, suoni, canti, scene di vita quotidiana. Lo fa in modo minuzioso, come tenere un prezioso diario sonoro. Nel brano c’è, dunque, l’intervento di un organista che suona e canta I Will not Complain durante il funerale di un amico di famiglia. Taja l’ha registrato, ci ha messo sopra un sax romantico e un crescendo di basso, mentre l’organo e la voce esplodono in cori e fraseggi. In Blame Me c’è una frase pronunciata da sua madre nascosta tra le pieghe della canzone… insomma un percorso sinuoso, apparentemente senza senso, in realtà molto ben definito, con accenni a uno stile a tratti essenziale che ricorda Moses Sumney. Da mettere sul piatto la sera e riflettere…

2 – Mood Valiant – Hiatus Kaiyote
Dici Hiatus Kaiyote leggi Nai Palm, chitarrista e leader della band di Melbourne, il cui vero nome è Naomi Saalfield, musicista dotata di una straordinaria creatività e anche di una buona dose di vita vera vissuta. La band, presente da alcuni anni sulla scena mondiale, ha pubblicato lo stesso giorno di L’Rain, il 25 giugno, Mood Valiant, disco decisamente interessante. Preparato già nel 2019 ma poi, causa pandemia e un tumore al seno (per fortuna risolto al meglio) che ha fermato la vulcanica frontwoman, è uscito solo ora. Fiati e violini nel miglior stile soul (vedere An We Go Gentle) si alternano a un tappeto di suoni a tratti stridenti della chitarra di Nai, a tratti suadenti, con una base ritmica simile a un soffice tappeto erboso. Il brano più interessante – e anche quello che mi piace di più – una sorta di flash back, è Get Sun con la partecipazione del compositore brasiliano Arthur Verocai. Soul, psichedelia, frammenti jazz, ne fanno un album che vale la pena ascoltare.

3 – Esperança – Mallu Magalhães
Chiusura in bellezza e spensierata. Musica da ascoltare come sottofondo nelle calde notti estive, musica che riporta al momento d’oro della bossanova. Mallu Magalhães, 28 anni, di São Paulo, al suo quinto album in studio, dà vita a un piccolo universo di MPB, delicato e sofisticato, allegro e positivo, con refrain che si ricordano facilmente e che ti rimangono impressi e li fischietti senza accorgetene, come Quero Quero. Esperança è un viaggio raccontato in portoghese, spagnolo e inglese, ricordi che sono fissati nella miglior tradizione brasileira. Inizia con America Latina, tanto per ribadire da dove Mallu proviene, cantata in inglese, per poi snodarsi e sciogliersi in brani come Barcelona con l’intervento di Nelson Motta uno dei padri della bossanova, giornalista e compositore, o Regreso (in spagnolo), o Deixa Menina cantata con Preta Gil, la figlia di Gilberto Gil. Chitarre, tromba, cuica, batucada, e una voce disincantata dal timbro jazz ne fanno un disco amabile, scaccia pensieri, vacanziero. Divertitevi!