La storia di José Mauro, l’artista che ha vissuto due volte

Oggi vi voglio raccontare una storia. Che ha a che fare con la musica popolare brasiliana, quella del suo massimo splendore creativo, negli anni Sessanta/Settanta, la dittatura e una misteriosa scomparsa.

Il personaggio della nostra vicenda si chiama José Mauro, è nato a Rio de Janeiro. Ha pubblicato, ventenne, due dischi (Obnoxious e A Viagem das Horas, il primo nel 1970, il secondo nel 1976) registrati in un’unica sessione nel 1970, negli studi di Roberto Quartin, produttore e arrangiatore che lavorò anche con Frank Sinatra e che, con la sua label omonima, fece conoscere al mondo grandi nomi della musica brasiliana, da Baden Powell e Deodato al Quarteto em Cy, da Moacir Santos a Nara Leão. Quartin è morto nel 2004, ad appena 62 anni, per un infarto.

Torniamo al 1970: esce Obnoxious, undici tracce scritte assieme ad Ana Maria Bahiana, giovane appassionata di musica e giornalismo (che poi diventerà il suo lavoro, vive da anni a Los Angeles), con le orchestrazioni straordinarie di Lindolfo Gaya e personaggi della scena musicale carioca di tutto rispetto, come il sassofonista Paulo Moura (uno dei protagonisti del film Brasileirinho di Mika Kaurismäki, del 2005, dedicato allo Choro carioca) e il batterista Wilson das Neves.

Il disco, uscito nel pieno vigore dell’AI-5, l’Ato Institucional numero 5, il momento peggiore della dittatura brasiliana, portava quel titolo che poteva avere molti significati e legami con la situazione del Brasile di allora. Sia in portoghese, obnoxio, sia in inglese, obnoxious, significa insopportabile, detestabile. L’album non ebbe un gran successo nell’immediato. Eppure era un gran bel lavoro, da vera avanguardia, composto da un giovane di talento, musica molto curata e complessa, con testi altrettanto intensi di Ana Maria Bahiana e, dunque, in teoria, passibili delle reazioni feroci e violente di una dittatura ossessionata e priva di cultura.

La voce baritonale, rassicurante, di Mauro veniva ricamata dai controcanti angelici di Ana Maria, con continui riferimenti a un mondo spirituale che si muoveva tra sincretismo e cattolicesimo. La ragione del suo mancato successo, probabilmente, sta nel fatto che il disco non fu promosso a sufficienza e tantomeno distribuito. Insomma, un gioiello chiuso nel cassetto.

Di Obnoxious se ne tornerà a parlare nel 2016, grazie a un’etichetta inglese, la Far Out Recordings di Joe Davis, dj e produttore patito da sempre di musica brasiliana, uno dei massimi esperti del genere nel Regno Unito, che, rilevati i titoli di Quartin, lo ripubblica. Come era successo negli anni Novanta con nomi di spicco della musica d’avanguardia brasiliana dello stesso periodo, per esempio gli Azymüth (ascoltateli, qui in Despertar) Marcos Valle (qui con Não Tem Nada Não), Banda Black Rio (eccoli con Maria Fumaça), Arthur Verocai (un grande! Qui Na Boca do Sol), Joyce (qui con Passarinho Urbano), anche Mauro con Obnoxious era entrato nel culto di collezionisti, rapper americani e dj inglesi, che usavano questo bendidìo come basi per rappare e far ballare nelle discoteche. Quelle musiche tra samba, jazz, folk, accordi difficilissimi, sonorità “tropicali” attiravano e incantavano.

E qui iniziano i problemi: bisognava pagare i diritti d’uso dei brani, ma José Mauro dov’era finito? Qualcuno era riuscito ad avere un numero di telefono, a cui non rispondeva mai nessuno. Da anni circolavano strane voci sull’artista sparito misteriosamente, anche perché, come avevano fatto molti suoi colleghi – vedi Gilberto Gil o Caetano Veloso – in quei tempi duri, José non aveva scelto l’esilio, decidendo di rimanere a Rio. Saltò fuori una storia, che prese piede: era morto in un incidente di moto. E poi un’altra: probabilmente era stato fatto sparire dagli sgherri della dittatura… Altri sostenevano che, povero, vivesse in una favela di Rio…

Nulla di tutto questo: Mauro, semplicemente disilluso dal fatto che i suoi dischi non erano stati sufficientemente spinti, s’era ritirato in silenzio, scomparendo come un eremita, dedicandosi sempre alla musica, scrivendo colonne sonore per pièce teatrali, e, soprattutto, votandosi all’insegnamento della sua amata chitarra. Che ha dovuto abbandonare negli ultimi anni perché malato di Parkinson. Quando ha saputo di tutto il clamore, l’artista, settantaduenne che vive a Vargem Pequena, quartiere nella parte occidentale di Rio, ha scritto un whatsapp smentendo le dicerie e dicendo che stava vivendo la sua vita tranquilla e tutto questo clamore lo stupiva.

Quanto alla sua scomparsa dal circuito musicale, l’artista, via mail (come scrive Bandacamp) chiarisce lapidario: «Non sono scomparso. Il mondo mi ha fatto sparire». Grazie a Joe Davis e alla sua Far Out recordings il mondo dovrà ricredersi su quel piccoletto, schivo, con il volto rotondo che abitava in una stanza vicino al Jardim Botânico: il 28 maggio, prossima settimana, verrà ripubblicato A Viagem das Horasalbum che Davis scoprì per caso nel 1986 in un negozio di dischi usati a Rio. Uscirà come avrebbe dovuto essere all’origine, con tre brani che nel ’76 non furono inclusi, Rua Dois, Moenda e Variação Sobre Um Antigo Tema.

Dopo 50 anni José Mauro e la sua musica stanno per ricevere il meritato riconoscimento. Giustizia artistica verrà fatta. La storia di questo musicista brasiliano, schivo, con un carattere non facile, geniale, assomiglia molto a un’altra vissuta a 8mila chilometri di distanza a nord di Rio, negli Stati Uniti, a Detroit. È quella di Sixto Rodriguez, cantastorie folk che incise nel 1970 e nel 1971 due begli album, Cold Fact e Coming From Reality, ma che in America non ebbe fortuna.

Nella sua vita, oltre al musicista, Rodriguez ha fatto il muratore e s’è impegnato per migliorare la vita dei lavoratori di una delle città più difficili e dure degli States. Non sapeva, Sixto, che in Australia, Nuova Zelanda ma soprattutto in Sudafrica, era un idolo, più famoso di Bob Dylan, e che i suoi testi erano considerati inni durante lotta contro l’apartheid. Per caso la figlia del musicista si imbattè in internet in un sito dedicato al padre e scoprì quanto fosse amato e venerato. Malik Bendjelloul, giornalista e regista svedese, ci fece un film, Searching For Sugar Man, che vinse l’Oscar nel 2013. La vita di Sixto cambiò più o meno all’età attuale di Mauro. Sulle note di I Wonder vi lascio e vi auguro un buon fine settimana.

Musica e immagini/ La doppia arte di Rinaldo Donati

Ci siamo reincontrati per caso, grazie a un post che ho pubblicato alcune settimane su Musicabile: l’intervista a Paolo Alesssandrini autore di Matematica Rock. Nel testo di presentazione che avevo scritto su Facebook, sostenevo che la distanza tra musica e matematica non è poi così siderale; lui è stato il primo a intervenire con un breve ma efficace: “Ma no, dai, per favore”! E subito s’è preso la reprimenda di un altro lettore a cui, sempre lui, da gran signore e uomo intelligente qual è, ha risposto spostando il focus sulle emozioni, sul “sentire” la musica, su quello che può dare a ciascuno di noi, pronto a recepire sensazioni, sogni, immagini. Così, l’ho chiamato e… intervistato. Il lui in questione è un musicista, un bravo musicista. Ed è anche un fotografo, un bravo fotografo.

Rinaldo Donati

Si chiama Rinaldo Donati ha 58 anni ed è un chitarrista di rara raffinatezza con cui condivido una passione infinita per un Paese magico quanto a cultura e musica, il Brasile. Parentesi: il gigante sudamericano da tempo sta passando una crisi culturale e di identità culminata con l’elezione di un presidente ultraconservatore, che si richiama ai “valori” della  dittatura militare degli anni Sessanta e Settanta, poco propenso all’apertura mentale che da sempre ha caratterizzato la cultura, soprattutto musicale, brasiliana.

Giorgio Gaslini, mitico compositore e jazzista, di Donati  ha scritto: “Un’indiscutibile qualità musicale con una cifra stilistica del tutto rara”. Sono incuriosito dalla contaminazione delle arti praticata dal Nostro. Musica e fotografia hanno molto in comune. Bryan Adams, la rockstar canadese, è anche un fantastico ritrattista. Le sue foto rispecchiano la sua musica (e viceversa). Rinaldo è così, un visionario che ricostruisce i suoi sogni a volte con la musica, altre con la fotografia e, sempre più spesso, fondendo le due attività.

Rinaldo, sgombriamo subito il campo: la matematica nella musica c’è, è innegabile, ma la musica non vive solo per questa “commistione”…
«Premetto, non ho letto il libro di Alessandrini, ma mi son permesso di rispondere a un’osservazione fattami: la matematica può essere una parente della musica, sicuramente lo è, ma la musica, come espressione intima dell’essere, traduzione di un mondo emozionale e immaginato non ha nulla a che vedere con la matematica. Come nella letteratura: la grammatica è essenziale per la conoscenza di una lingua ma non può imbrigliare la poesia o la letteratura. L’arte, in generale, è un canale intuitivo…».

Rio de Janeiro, Posto Nove – Foto Rinaldo Donati

Secondo la tua esperienza…
«… La musica si può fare in tanti modi diversi. Quando compongo immagino luoghi non visti, vite non vissute. Quindi, le rielaboro in armonie e note. Negli anni Novanta scrivevo musica per spettacoli di danza contemporanea dove mi è capitato più d’una volta di essere sul palco con i ballerini, far parte dello spettacolo. Il mio sforzo era quello di comporre non solo tappeti musicali dove i danzatori potessero esprimersi, ma concepire una musica che potesse avere una vita a sé stante».

Da anni ormai, oltre alla musica ti esprimi anche con le immagini…
«La fotografia, quel particolare tipo di fotografia a cui mi sono dedicato, è stata per me la naturale conseguenza del mio lavoro in musica: ho cercato di riprodurre ciò che avevo composto, fissavo nell’obiettivo immagini “lavorate” attraverso il mio mondo, grazie all’uso di filtri e di un ben definito settaggio della macchina fotografica. Cercavo di trovare e trattare un mondo visuale che rispettasse la mia musica. È stato come ritrovare  visivamente quello che avevo immaginato con il suono. Un esempio è stato il lavoro che ho fatto a São Paulo. Non avevo mai visitato la megalopoli brasiliana, anche se me l’ero immaginata nei suoni e nelle armonie. Armato di macchina fotografica l’ho percorsa per 15 giorni in lungo e in largo grazie ad amici che mi hanno ospitato. E, mentre fotografavo, ho trovato un parallelo visivo con la musica in un “suono globale”».

Ti senti più musicista o fotografo?
«La fotografia è l’altro lato della mia creatività. Mi servono entrambe per riconoscere chi sono. Costruisco forme di empatia verso l’altro ma anche verso me stesso. Non sono legato a un genere, ho molti colori che scopro di attraversarli e unirli».

Rio de Janeiro, Nave – Foto Rinaldo Donati

Dammi una definizione di musica…
«Il mio senso della musica? Un posto dove esprimermi, per questo sono sempre alla ricerca di luoghi che siano “onde d’urto” emozionali molto forti. Tornando alla matematica e alla musica: il Conservatorio è essenziale per imparare la base di questo linguaggio, come la grammatica lo è per una lingua, ma il Conservatorio ti può imbrigliare, trattenerti dall’esplorare il tuo mondo emozionale, irrigidire in schemi…».

D’altronde, se parliamo di artisti soprattutto rock ma anche jazzisti, molti di questi hanno realizzato grandi brani senza saper leggere la musica…
«Qui entra in gioco l’attitudine: devi averla, devi possedere quel qualcosa in più che ti faccia appassionare alla musica. Per me è come l’innamorarsi. Il sentirti talmente attratto che nulla e nessuno può fermarti. Un’onda emozionale molto forte. Al musicista piace giocare con le note, al fotografo con la luce, allo scrittore con le parole, è un gioco che ci si porta dentro fino da bambini: come puoi tarpare le ali a un bimbo che, con un legnetto in mano, sogna di essere alla guida di un’astronave alla scoperta di nuovi mondi?».

Rio de Janeiro, Ipanema – Foto Rinaldo Donati

La musica inevitabilmente si evolve, segue il cammino e le scoperte dell’uomo
«È un discorso molto complesso. Quello che ti posso dire, è che oggi tra i nuovi generi e nuovi musicisti ci sono alcune perle che fanno fatica a uscire da un mucchio confuso. Il linguaggio (musicale e scritto) è imploso, non c’è praticamente più nessuno che ha il coraggio di mettere il culo su un seggiolino davanti a un pianoforte e cercare sulla tastiera di riprodurre generi, nuove armonie, tecniche senza far ricorso a suoni campionati. Arnold Schönberg nel suo Trattato di Armonia a un certo punto scrive: “C’è ancora tanto da scoprire sulla scala di Do”, cioè la base dello studio della musica. Ognuno si nutra del cibo che crede, massima libertà. Mancano però elementi di libertà espressiva, i generi che vanno per la maggiore oggi sembrano tutti dei carillon prefabbricati, uguali uno all’altro…».

Di te hanno scritto: “Il suo suono costeggia la musica brasiliana e il jazz, le sonorità tribali e l’elettronica, le suggestioni della danza e delle arti visive. Un animo da esploratore “salgariano”, nella cui musica e immagini convivono un raffinato impressionismo e un gusto innato per lo spazio…
«Sono molto attratto dal linguaggio del jazz, mi ispira grande libertà, mi affascina, ma non sono uno da free jazz, improvvisazione pura, e poi adoro la musica brasiliana».

Rio de Janeiro, Granchio – Foto Rinaldo Donati

Rinaldo, torniamo alla nostra passione, il Brasile…
«Probabilmente in un’altra vita stavo da quelle parti. Una passione che ho fin da bambino, da quando ho letto il Corsaro Nero di Salgari: mi aveva attirato quel mondo tropicale così lontano da noi. Crescendo e suonando la chitarra, sono rimasto fulminato da João Gilberto. Quando l’ho scoperto, sono letteralmente impazzito. La sua musica mi dava un grande senso di pace. Quando arrivo in Brasile, ci vado sempre da europeo. Non pretendo di essere uno di loro, ma lì, mi sento a casa. Da questa mia passione sono nati due progetti, Rio Noir e Paulistas»(da vedere assolutamente!, ndr).

São Paulo, Fusca – Foto Rinaldo Donati

Il tuo ultimo disco risale al 2008…
«Mi sono un po’ perso: ho tre album pronti da pubblicare nel cassetto, ma non mi decido mai. Sto lavorando da tempo su alcuni progetti che includono anche grandi musicisti internazionali, su brani noti, restando sempre sul discorso delle colonne sonore della mia vita. Mi interessa molto il dialogo tra musicisti, rimanere in un certo ambito armonico attraverso varie composizioni che siano un “continuum”. Se riuscirò a portarlo a termine, potrebbe diventare anche un  bellissimo live. Ovviamente, musica ma anche immagini. Da alcuni anni mi sono trovato un rifugio, una casa di fine Ottocento sul lago d’Orta, in mezzo a un bosco. Il mio sogno, che spero si realizzi, è creare una “piccola Woodstock” tra gli alberi, una due giorni di musica, con artisti da tutto il mondo che suonano, gente nei prati, una lunga catena armonica…».

Se volete ascoltarlo, trovate i suoi album su Spotify: buoni sogni!