Caterina Comeglio, un’Isola abitata da Jazz, Soul e Pop

Oggi ritorno con una nuova cantautrice. Si chiama Caterina Comeglio, è milanese, classe 1990, ha una voce molto sofisticata, con la quale può fare tutto, dal jazz al pop al R&B. Ha pubblicato a ottobre un Ep dal titolo Isola (via Hukapan) sei brani composti da lei, nei testi e nella musica, con gli arrangiamenti del pianista Mirko Puglisi.

Gli studi musicali di Caterina sono di grande rispetto: Jazz Trinity College di Londra e quindi Leeds College of Music, come la sua esperienza sul palco che ha condiviso con il sassofonista Bob Mintzer, con Sarah Jane Morris, ma anche con Mika e Roby Fachinetti. Tre anni fa ha vinto il Premio Lelio Luttazzi nella categoria “cantautori”, con un brano Scheletri a Ballare, arrangiato da suo padre, Gabriele Comeglio, sassofonista e direttore d’orchestra.

Caterina è anche insegnante di canto Soul Jazz alla CPM la scuola di Musica di Franco Mussida. Giovedì prossimo, durante la settimana dell’Open Week di CPM, l’artista canterà alcuni pezzi di Isola, l’occasione per andarla ad ascoltare live. Nel frattempo vi propongo una chiacchierata che ho registrato alcuni giorni fa con lei.

Hai fatto un ritratto ironico di te stessa con questo disco.
«Ironico? Sono proprio io. Tutto il disco è un mini-musical dei fatti miei. Vivo la sindrome dell’eterna seconda. Che poi, a ben guardare, diventa una scusa, il pensare che ci sia sempre qualcun altro prima di te è un modo di deresponsabilizzarsi dal mondo».

Nell’ambiente musicale non è facile emergere.
«Sì, spesso entrano in gioco dinamiche che nulla hanno a che fare con la musica. È molto difficile farsi strada e l’obiettivo non è mai quello che speri».

Un obiettivo a breve termine?
«Mi piacerebbe portare il disco in giro e suonarlo live. È bello vedere i commenti sui social, seguire le statistiche sul digitale, ma la musica dal vivo è il massimo a cui un artista possa aspirare».

Anche perché la tua musica richiede un numero discreto di musicisti sul palco.
«Vorrei proporlo in “assetto brano”, comunque cercherei di portare più musicisti possibile. Sono una persona a cui piace destreggiarsi tra generi diversi. Mi diverte molto. Mi piace l’aspetto più camaleontico del fare la cantante».

Come nasci musicalmente?
«Come contralto, aperta verso il mezzo soprano».

Darsi degli obiettivi significa mettersi in gioco…
«È una parola chiave. Fino ai 28 anni ho sempre fatto l’interprete, cantato pezzi di altri artisti. Poi mi sono decisa, nel 2019, a mettermi in gioco come autrice e compositrice. Avevo un brano nel cassetto, ma non sapevo se poteva essere buono o meno. Ho pensato che fosse in linea con il concorso, così mi sono iscritta e l’ho vinto. Mio padre mi ha molto supportato su questa scelta. Mi sono convinta che potevo scrivere musica non solo per me stessa. In quel periodo, però, non ero quasi mai a casa perché giravo in tournée a teatro con Tullio Solenghi e Massimo Lopez».

E poi nel 2020 s’è fermato tutto…
«La pandemia ha azzerato la mia attività professionale e ho iniziato a scrivere i brani che ascolti sull’EP. Mirko (Puglisi, ndr) mi ha supportata molto. Ho impiegato un anno e mezzo. Ora ho materiale nuovo e scrivere è diventato parte della mia vita».

Quando componi vai prima sui testi o sulla musica?
«Sono meccanismi piuttosto lenti, testi e melodie arrivano abbastanza in contemporanea. Spesso partono da una frase, come ne La mia compagna bionda: mi ha richiamato l’estetica dei presepi barocchi dove tutti i personaggi sono biondi, belli, perfetti. Ho iniziato a canticchiarlo su un pezzo anni Ottanta ed è nata la canzone, un po’ come giocare a Tetris, devi far incastrare tutti i pezzi».

Nell’etichettare il disco hai scelto pop…
«L’etichettatura è figlia delle Feltrinelli e degli algoritmi. Chi ascolta jazz dice che il mio disco è pop e viceversa. La musica secondo me deve essere condivisione non l’occasione per creare fazioni. Magari vivo ancora in un mondo di unicorni…».

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