Witchess: impegno sociale e musica creativa. Il viaggio sperimentale di Francesca Remigi

Witchess è l’acronimo di Womxn Implement The Creation of Harmonious Ecosystems of Selfless Species, un progetto interdisciplinare che unisce letteratura, danza e musica, nato dalla creatività di una musicista che conoscete piuttosto bene, Francesca Remigi, batterista di grande talento, della chitarrista Silvia Cignoli, della cantante e flautista Andrea Silvia Giordano e della ballerina Clotilde Cappelletti. 

Un lavoro che si traduce in materia sonora e visiva potente, a tratti durissima, intelligente. In questa narrazione che prende spunto da alcune opere femministe contemporanee di scrittrici come Angela Davis, Silvia Federici, Chimamanda Ngozi Adichie, le quattro artiste hanno costruito una performance, come mi spiega Francesca che ho raggiunto a Berlino dove ora risiede per studio, «con l’obiettivo di reimmaginare un mondo senza patriarcato e ruoli di genere predefiniti». Continua a leggere



Rhapsòdija Trio: “Di Visioni Musicali”, il klezmer che diventa linguaggio contemporaneo

Da sinistra, Adalberto Ferrari, Nadio Marenco, Luigi Maione – Foto Pino Ninfa

Di Visioni Musicali è il titolo di un lavoro pubblicato a fine settembre scorso dai Rhapsòdija,  band klezmer che esiste da oltre trent’anni e che in questo lungo periodo di attività ha cambiato componenti e pelle. Il disco segna la fine di una metamorfosi, da band s’è ricomposta in trio, coeso, essenziale e straordinariamente moderno. Adalberto Ferrari (clarinetti, sassofoni, fiati etnici), una formazione radicata fra jazz contemporaneo e tradizioni dell’Est; Luigi Maione (chitarre, voce), ponte fra teatro musicale, Mediterraneo e ricerca modale; e Nadio Marenco (fisarmonica), background tra world, classica e improvvisazione. 

I tre artisti hanno costruito un linguaggio molto personale, mantenendo il cuore klezmer, però aprendolo verso una dimensione più cameristica con quella chitarra elettrica che lavora su assoli e accompagnamento usata come tessitura timbrica: bordoni, arpeggi sospesi, piccoli delay che avvolgono clarinetto e fisarmonica, spingendo il klezmer fuori dalla matrice folklorica e dentro una dimensione che diventa quasi ambient. Una scelta che dà profondità ai temi yiddish e balcanici senza snaturarli. Continua a leggere



Guappecartò a Milano: parte dal Germi il tour italiano di D-Segni

I Guappecarto’: a sinistra Marco Sica (Mala) e, a destra, Pierluigi D’Amore (Braga)

«Vogliamo portare il pubblico a ripercorrere lo stesso viaggio che abbiamo fatto in quella settimana in sala di registrazione. Sarà una fruizione multisensoriale, quanto più possibile non contaminata». Marco Sica, nome d’arte Mala e Pierluigi D’Amore, Braga, sono i Guappercarto’, band italiana formatasi a Perugia con sede ormai da una ventina d’anni a Parigi, freschi di pubblicazione di un album strumentale D-Segni, uscito lo scorso 24 ottobre, 10 brani per 40 minuti d’ascolto.

Stasera saranno a Milano al Germi (ore 19:45) per la loro prima delle otto tappe del tour italiano che terminerà il 23 novembre al Teatro Odeion di Giovinazzo (Bari). Qui date e luoghi. 

Un lavoro che vale la pena ascoltare per la ricchezza compositiva e per un sapiente uso di strumentazione acustica ed elettronica. Tutto è partito da un’aicizia profonda con un’attrice, regista e molto altro, diventata la loro musa ispiratrice, mancata nel 2020, Madeleine Fischer. È stata lei a scoprire la band che allora si esibiva su un palco importante, che non perdona, la strada, coinvolgendoli nella colonna sonora di Uròboro, film della Fischer. Lei si innamorò delle sonorità dei Guappecarto’. «Una volta le chiedemmo quale fosse secondo lei, il nostro stile musicale», ricorda Mala, «E lei ci rispose semplicemente, la vostra musica!». Continua a leggere



I 5 Elementi: Alessandro Quarta e quella masterizzazione che fa respirare il violino

Alessandro Quarta – Foto Marco Perulli

Premessa. Cosa succede quando due perfezionisti si incontrano? Le strade sono due, tertium non datur, o vanno in Paradiso o finiscono all’Inferno. In questo caso buona la prima. I protagonisti sono Alessandro Quarta, violinista salentino, compositore, musicista eclettico, curioso ed emozionante, e Giulio Cesare Ricci, toscano, teorico della registrazione ambientale, uomo che con la sua Fonè Dischi ha reso viva e pulsante la musica di tantissimi artisti, da Fresu a Bollani da Marcotulli a Mirabassi, usando registratori e microfoni come i mitici Neumann U47, U48, M49, modelli originali fine anni Quaranta e primi Cinquanta, gli stessi usati negli Abbey Road Studios londinesi. Con gli U47 i Beatles hanno inciso gran parte dei dischi dagli esordi fino a Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. 

Insomma, menti preziose! Ritorno all’incontro: I 5 elementi, opera di Alessandro Quarta era un lavoro già pubblicato e distribuito da Virgin. Grazie a Red Ronnie, grande fan dell’artista salentino, Alessandro ha conosciuto Giulio Cesare Ricci. Ha così rescisso il contratto con l’etichetta originaria e affidato la masterizzazione del disco alla Fonè. «Ricci mi ha chiamato e mi ha detto: “Lo sai che hai scritto una cosa straordinaria?”. Ci siamo trovati e abbiamo parlato a lungo: l’arte non deve essere fatta per distribuire alla gente ciò che la massa vuole ma per dare ciò che serve». Ascoltato il “nuovo” disco, ricorda Quarta, «Sono stato 20 minuti come un idiota a guardare il soffitto, non avevo mai sentito un suono così bello, il mio suono, quello vero, quello che ascolto con il violino quando ce l’ho sotto l’orecchio. Ho ascoltato – come diceva Mozart – la musica tra le note, l’aria tra gli strumenti era qualcosa di incredibile». Continua a leggere



Francesco Maria Mancarella: “What I Felt”: anatomia poetica di un pianoforte reinventato

Settimana scorsa è uscito What I Felt, album per piano solo preparato di Francesco Maria Mancarella. Chi legge Musicabile se lo ricorderà: nell’aprile dello scorso anno ho pubblicato una lunga intervista che potete rileggere qui, un occasione dell’uscita del suo Nord, disco registrato in Islanda lontano da tutto e da tutti, molto intenso.

What I Felt è un ulteriore passo avanti nella ricerca improvvisativa di una musica classica crossover di questo giovane pianista e compositore leccese. A differenza dell’altro lavoro qui Francesco ha deciso di lavorare a casa sua preparando un suo pianoforte per farlo ha impiegato un bel po’ di tempo e una buona quantità di feltri, diversi per spessore e composizione, che ha pazientemente applicato su tutte le corde del pianoforte.  Continua a leggere



Perché “Forever Young” di Sara Jane Morris & Solis String Quartet è un monito per la musica contemporanea

Forever Young. No, non è il brano degli Alphaville uscito nel 1984, che per inciso dava il nome anche all’album, ma il titolo di un disco fresco, fresco d’uscita, oggi, firmato da Sarah Jane Morrison e dal Solis String Quartet. Una collaborazione già rodata, ricordate All You Need Is Love?, album monografico sui Beatles uscito nel 2022?

L’impianto è lo stesso: la voce baritonale di Sarah, “sporca” al punto giusto, voce Blues, potente e inconfondibile e gli archi del quartetto napoletano che ha fatto della ritmica un punto di forza. Due violini (Luigi Di Maio e Vincenzo De Donna), una viola (Gerardo Morrone) e un violoncello (Antonio Di Francia, che è anche l’arrangiatore dei progetti del Solis) con cui cavalcano senza timore generi musicali ed epoche storiche.  Continua a leggere



Consoli, Salmaso, Shankar, identità in movimento: quando la musica diventa casa oltre i confini

C’è un fil rouge che unisce tre lavori pubblicati nel corso di quest’anno. Uno, uscito settimana scorsa, Amuri Luci di Carmen Consoli, l’altro, Minha Casa di Mônica Salmaso il 2 settembre e Chpater III: We Return To Light di Anoushka Shankar, il 14 marzo. Ve li propongo perché, oltre a essere tutti e tre notevoli per qualità, progetto e indiscussa bravura delle artiste in questione, tracciano un sentiero di resilienza, e innovazione che attraversa il nostro pianeta, dal’Italia, al Brasile all’India. 

Non è affatto banale che tre artiste così diverse trovino terra di dialogo nei concetti di identità culturale radicata, ibridazione estetica, narrazione ciclica e richiamo a un ascolto profondo e consapevole. In tutti e tre i casi la “tradizione popolare” non è rivendicata come mera appartenenza, ma materia viva, pulsante, che deve percorrere il presente. 

Ciascuna ha proposto un progetto ampio (per Shankar la trilogia con il terzo capitolo conclusivo; per Consoli la trilogia che si avvia con Amuri Luci; per Salmaso, il progetto concertistico che trasforma un format di duetti “creati in casa” in live) con l’esigenza di segnare un percorso di speranza e saggia provocazione in un momento di grandi incertezze, tensioni, povertà culturale e mancanza di ricordo. Continua a leggere



L’arte matura di Antonio Faraò: emozioni e tecnica in “Kind Of… Piano Solo”

Antonio Faraò riesce sempre a stupire. Dopo quarant’anni e passa di jazz vissuto come impegno assoluto e devoto e dopo aver suonato con il Gotha dei jazzisti mondiali (tipi come Benny Golson, Wayne Shorter, Chico Freeman, Bob Berg, Joe Lovano, McCoy Tyner, Eddie Gomez, Jack DeJohnette, Billy Cobham, Didier Lockwood, Herbie Hancock), Faraò ha fatto il passo decisivo, quello che i grandi interpreti temono e bramano più di tutti. Un disco solo, il suo primo. Lo ha intitolato Kind Of… Piano Solo. 

È uscito il 19 settembre scorso, pubblicato da Notes Around Ag e distribuito da Azzurra Music solo su supporto fisico (vinile e Cd), 12 tracce per 50 minuti di ascolto. Un lavoro che, per chi lo segue e conosce il suo andar per jazz, lo rappresenta fino in fondo. Quattro omaggi agli artisti e agli standard che più lo rappresentano – There Will Never Be Another You di Harry Warren,  O Que Será di Chico Buarque de Hollanda, Round Midnight di Thelonious Monk e I Didn’t Know What Time It Was di Richard Rodgers – e otto brani farina del suo sacco. Continua a leggere



Un grande del jazz italiano, Gianni Coscia, firma il suo primo “disco solo” a 94 anni

Gianni Coscia – Foto di Daniela Bellu

Come capita raramente ho praticamente suonato una serie di brani di botto, uno dopo l’altro e – complice la bravura di Paolo Facco dietro al mixer che quasi senza dirmelo ha cominciato a registrare – è venuto fuori questo lavoro. Ascoltandolo alla fine della sessione mi sono reso conto che senza quasi volerlo stavo raccontando in musica la mia vita e inconsapevolmente ho creato una scaletta praticamente cronologica. Quello che si ascolta è dunque una serie di tappe essenziali della mia vita artistica: qualche volta si tratta solo di semplici ricordi, in altri casi il brano è invece collegato a incontri importanti con altri musicisti e alle elaborazioni che ne sono scaturite. Un sunto della mia vita musicale.

Quella che avete appena letto è la nota di copertina de La Violetera, lavoro del fisarmonicista Gianni Coscia, uscito oggi via Tǔk Music. Un disco che considero prezioso per molti aspetti. Innanzitutto per l’artista: Gianni Coscia ha 94 anni, («A gennaio saranno 95!», mi dice con piglio sicuro); quindi per la musica che ha proposto, un percorso tra tango, musica popolare e jazz, con omaggi a uno dei suoi idoli, Gorni Kramer; e infine per l’etichetta. Paolo Fresu ha visto lungo pubblicando una solida testimonianza del jazz e del suo sviluppo nell’Italia del Novecento, oltre a omaggiare uno dei grandi fisarmonicisti italiani. Lo ha fatto con la solita precisione e minuziosità, la cover è un’opera di Daria Petrilli, Constellation of Venus, perfetta per ciò che si ritrova al suo interno. Continua a leggere



Tre autori per rinfrancare lo spirito: Eyal Talmudi, Abel Selaocoe, Gustavo Vaz

Sono tre dischi intensi quelli che vi propongo all’ascolto in questo fine settimana settembrino. Per espressività, musicalità e artisti. Sono andato a scavare nella musica emozionale, in quella che ci ricorda come l’essere umano, mai come ora, ha bisogno di valori ben più alti di quelli che la società ci ha abituati, valori di cultura, di visione artistica. La musica apre la mente, non è ristretta in confini dettati da sterili contrapposizioni politiche e incomprensibili fanatismi religiosi, vola ovunque, appartiene all’uomo in quanto tale.

Ne è convinto Eyal Talmudi, sassofonista israeliano di Tel Aviv, che ha pubblicato la seconda parte di un unico lavoro, Sonolodge (la prima era uscita a febbraio) con il chiaro intento di agire sulla salute delle nostre menti occupate da guerre, carestie, morti. La pensa così anche un altro dei grandi artisti che ascolto quotidianamente, Abel Selaocoe, sudafricano, violoncellista e cantante geniale, e nella sua giovane esuberanza anche il brasiliano Gustavo Vaz, che ha pubblicato il suo primo album dichiarando sin dal titolo il significato della sua arte, Íntimo.

Ascoltateli, aspetto la vostra opinione! Continua a leggere