Musica e partecipazione con “Parole al Vento”, a Settimo Milanese

Antonio Ribatti – Foto Robert Cifarelli

Sono convinto che la formazione musicale viaggi lungo un doppio binario. Non solo quella, evidente, degli artisti, ma anche, in parallelo, l’altra, degli ascoltatori. Come detto molte volte in questo blog, ribadito dalle interviste a numerosi musicisti, fra tutti il grande Claudio Fasoli, la musica è un linguaggio e, come tale, perché lo si possa capire e “parlare”, bisogna studiarlo. Avere, insomma, un minimo di infarinatura, che nelle Americhe come in altri Paesi europei esiste fin dalle scuole primarie, mentre da noi rimane per lo più sulla carta… Non fraintendetemi: la musica è un piacere, come lo studio d’altronde, ma per gli ascoltatori curiosi e non passivi la voglia di entrare in un brano, coglierne la sua natura, filtrarla ed elaborarla attraverso le proprie emozioni, è una grande soddisfazione.

Perché vi sto parlando di ciò? Questa sera, a Settimo Milanese inizia Parole al Vento (qui programma, orari, indirizzi), quattro appuntamenti scanditi tra aprile e maggio. Il suono disorganizzato è il tema di oggi, incontro e prova aperta con quell’istrione di Ferdinando Faraò, con cui avevo chiacchierato alcune settimane fa a margine di un suo intervento educativo con l’Artchipel Orchestra. 

Il 20 aprile è previsto Inseguendo quel suono – Una storia di Ennio Morricone (Alessandro De Rosa, voce narrante, Fausto Beccalossi, fisarmonica, e Claudio Farinone chitarre), mentre il 4 maggio, Batuke – Storia sociale del Samba, a cura di Nené Ribeiro, chitarra e voce, e Kal dos Santos, percussioni e voce, con il laboratorio di percussioni Toc Toc; e, infine, il 18 maggio, Mingussiana: Seven for Mingus, con Tino Tracanna e gli allievi del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.

Quattro incontri dove suono, cultura, condivisione, mondi diversi possono stimolare il pubblico in connessioni sonore impreviste. Ne ho parlato con Antonio Ribatti, ideatore e curatore della manifestazione. Antonio è un architetto di professione, ma anche fotografo, trombettista jazz, con l’Arte nella testa e una enorme creatività usata per coinvolgere con un unico scopo: mostrare la bellezza: di un racconto, un canto, un concerto, un dipinto, un luogo…

Tutti sappiamo quanto abbiamo bisogno di bellezza, soprattutto dopo due anni di pandemia e ora, con una sporca guerra alle porte di casa. La bellezza non è frivola, è piuttosto un’arma potente che, a differenza dei razzi ipersonici, delle bombe a grappolo e della misera cattiveria cecena, non uccide ma salva, aiuta, fa crescere gli individui. Direte che sono un pazzo, ma ci credo fermamente. Al mitra contrapponi un canto, alla ferocia la bellezza di un trio jazz, alla depressione la forza di un’orchestra…

Con il festival AHUM da oltre vent’anni cerchi di portare bellezza sostenendo che l’Arte è il frutto di una interconnessione continua tra musica, pittura, scultura, letteratura, poesia, teatro, danza, cinema, architettura
«Tento di connettere le arti, dimostrare, tramite eventi come Parole al Vento, che si può fare educazione divertendo il pubblico, coinvolgendolo, mostrando e spiegando i percorsi mentali e creativi di grandi artisti. Cerco occasioni di incontro, dove ci si può scambiare saperi. Ah-Um è arrivato alla 23esima stagione, prima era un unico appuntamento annuale ora è sempre attivo attraverso molte iniziative, tra cui questa di cui stiamo parlando. Lo stesso titolo, Parole al Vento, offre un messaggio chiaro: dare agli spettatori più informazioni, chi vuole le coglie e le fa sue».

Lavoro che sta facendo anche Ferdinando Faraò con la sua Artchipel Orchestra…
«Con Ferdinando ci conosciamo da anni, ho visto nascere l’Archipel Orchestra! Lui da sempre è impegnato nella divulgazione».

Da amante della musica brasiliana, ho subito notato la serata del 4 maggio, Batuke – Storia sociale del Samba
«Il Samba è genericamente visto come un’attrazione folklorica, il Carnevale, le ballerine e via dicendo. In realtà è molto radicato nella cultura del Brasile. Lo spiegheranno con parole e musica due bravi artisti, Nené, divulgatore e musicista, e Kal, percussionista che ha fondato varie scuole di musica a Milano, vedi Mitoka Samba. Loro sono i pilastri della cultura brasiliana in Italia. Prima della guerra in Ucraina il nostro obiettivo era, usciti dalla stasi del Covid, fare considerazioni forti sull’uso del corpo. Dopo il distanziamento obbligatorio e il conseguente cambiamento di comportamenti anche impercettibili che questo ha comportato, ci sembra interessante raccontarlo attraverso la metafora del Samba».

Kal dos Santos, a sinistra, e Nené Ribeiro, a destra, protagonisti di “Batuke: Storia Sociale del Samba”

Ogni incontro ha un tema che simbolicamente o realmente parla di condivisione…
«Stasera ci sarà Ferdinando che racconterà come nasce un progetto musicale condiviso e come si organizza un “corpo musicale”, i ruoli di ciascuno, le competenze… Anche la serata su Morricone, Inseguendo quel suono, avrà un coralità, sarà uno spettacolo a tre voci con lo scrittore e compositore Alessandro De Rosa, il chitarrista divulgatore Claudio Farinone e il fisarmonicista Fausto Beccalossi. Sulla base dell’autobiografia del maestro, ci saranno gli interventi dei musicisti…».

L’ultima serata sarà dedicata a Charles Mingus, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita…
«Sì, Mingussiana: Seven for Mingus vuole essere un omaggio al genio del musicista, che, fra l’altro, è il mio artista preferito. Qui la coralità, le connessioni saranno totali, visto che il sassofonista Tino Tracanna interpreterà alcune delle più belle composizioni del contrabbassista americano. Lo farà con un settetto di allievi del conservatorio Verdi di Milano. Verrà rispettato l’impianto dei brani, ma nelle improvvisazioni ognuno sarà libero di creare con il proprio strumento. Un omaggio alla libertà espressiva di Mingus!».

A parte gli appassionati, Parole al Vento, dovrebbe essere l’occasione soprattutto per i giovani di aprire la mente alla musica…
«I conservatori sono pieni di ragazzi che vogliono imparare a suonare jazz, ma ai concerti vengono sempre in pochi. Prendi il pop del momento. Ci sono artisti – pochi in verità – che hanno una qualche conoscenza musicale; nei loro brani “citano” altri generi, magari inconsapevolmente. Il resto è dominato da una povertà tematica, manca evidentemente la formazione, non c’è un racconto, piuttosto ci sono immagini fotografiche, da social. Certo, anche un’istantanea può essere raccontata, ma spesso senza andare a fondo, tutto rimane in superficie. C’è poca capacità di leggere la realtà. Questi nostri incontri sono un modo di concentrarsi, almeno per un’ora, su un tema».

Oltre a Parole al Vento ci saranno altri appuntamenti?
«Dal 21 al 24 giugno (il programma è in fase elaborazione) nelle piazze del quartiere Isola di Milano si terranno quattro giornate dedicate a quattro generi musicali diversi, Samba, Swing, Tango e Jazz. Presto saprò essere più preciso!».

America, l’intervista: musica, live, pandemia e ottimismo

Gerry Beckley e Dewey Bunnell – Foto di Henry Diltz

Quando si dice America – intesa come band – più o meno a tutti gli appassionati di quel sound West Coast che ha fatto fortuna negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, viene in mente una canzone, A Horse With No Name: On the first part of the journey, I was looking at all the life, There were plants and birds and rocks and things… Ricordate? Le voci che riecheggiavano quella di Neil Young, le chitarre acustiche leggere e sognanti, il raccontare quell’America “freedom style” con quella punta di sana nostalgia per chi ascoltava… Gerry Beckley, Dewey Bunnel e Dan Peek, i tre adolescenti che si sono incontrati nel college a Londra perché i loro padri lavoravano per l’USAF, l’areonautica militare americana, diventati amici inseparabili, hanno marcato il territorio della musica internazionale con brani diventati dei “classici”: Ventura Highway, Sister Golden Hair, You Can do Magic, All My Life, I Need You, tanto per citarne alcuni.

Dan nel 1977, ha deciso di cambiar strada, pur rimanendo amico di Gerry e Dewey, poi un infarto se l’è portato via a 60 anni, nel 2011. Gerry e Dewey hanno continuato il loro lavoro artistico, entrando nel club delle band Over Fifties in attività, con un enorme lavoro live. Tour continui, concerti su concerti, soprattutto in Europa e in Italia dove hanno un buon numero di appassionati fan. Il Covid19 ha bloccato anche gli America. Di spettacoli dal vivo se ne parlerà nell’estate 2021. Gerry e Dewey sono stati tra i primi a mandare il loro contributo video a supporto dell’associazione Dietro le Quinte, di cui ho ampiamente parlato in vari post precedenti. Così li ho chiamati, per sapere come stanno gestendo lo stop forzato…

Gli America in concerto – Foto di Christie Goodwin

Ciao Dewey, ciao Gerry, come state vivendo questo strano periodo? Dove vi trovate?
Gerry: «Ciao Beppe, bello sentirti! In questo momento mi trovo a Sidney con mia moglie Sally e i suoi bimbi. I miei due ragazzi sono rimasti a Los Angeles. Lei era partita prima per l’Australia, a metà aprile, dopo cinque settimane di lockdown a Los Angeles».
Dewey: «Stiamo cercando, come la maggior parte delle persone nel mondo, di limitare la nostra potenziale esposizione al virus. La band e tutta la crew si trovano nelle loro rispettive case, vivendo questa situazione giorno per giorno.

Componete, vi scambiate idee per nuovi progetti?
Dewey: «In occasione del cinquantesimo anniversario della band abbiamo realizzato vari progetti  (come l’uscita di 50th Anniversary: The Collection, album celebrativo uscito nel luglio 2019, n.d.r.) e molti altri sono in fase di sviluppo. Abbiamo trascorso molti mesi con il nostro archivista, Jeff Larson, a rivedere scatole di nastri, cassette, dischi rigidi, video, film Super 8… Il cofanetto più grande si chiama Half Century e include molte canzoni e immagini inedite. Di recente abbiamo pubblicato la nostra biografia autorizzata America-The Band scritta da Jude Warne (con prefazione di Billy Bob Thornton, n.d.r.).
Gerry: “Mi sono finalmente allestito il tanto agognato studio di registrazione a casa, a Sidney. Un normale banco e un Mac da 16 pollici, collegati e funzionanti… E il risultato è che sto realizzando, dopo anni, delle registrazioni davvero nuove… tutto ciò è molto divertente!».

Credo che il lockdown, sia stato anche un’opportunità: ripensare la propria vita, riconsiderare le priorità, un momento di meditazione…
Dewey: «Sono d’accordo. Nella mia vita non mi è mai capitato tutto quello che sto vivendo ora, che è, in egual misura, liberatorio e frustrante. Siamo stati costretti a rallentare e a lasciare passare i giorni con una nuova velocità».
Gerry: «Hai ragione Beppe… ci è stata data la possibilità di trovare quello che davvero conta nelle nostre vite. Tutti in questo settore hanno perso il lavoro “dal vivo”, ma so anche che non possiamo farci niente per ora. Dispiace dirlo, ma è così…».

America – Foto di Christie Goodwin

Già, non si fanno più concerti, la “cultura attiva” come l’abbiamo conosciuta stenta a ripartire. Si tornerà alla vecchia maniera o ci sarà un’evoluzione nel modi di divulgare la cultura e soprattutto la musica?
Gerry: «Penso che la maggior parte di noi voglia tornare il più presto possibile a quello che era la  normalità; ma che cosa significhi ciò e quando ci si arriverà sono grosse domande che non hanno risposte certe. Noi dovremmo fare un lungo tour in Europa nell’estate del 2021… lo speriamo e preghiamo per questo!».
Dewey: «È difficile prevedere come la nostra cultura verrà cambiata dalla pandemia. Penso che le persone mature, come noi, dovranno impegnarsi a cambiare molto più delle generazioni più giovani, per il solo fatto che noi abbiamo più esperienza di vita da confrontare. Comunque, sono convinto che ci adatteremo e apporteremo tutte le modifiche necessarie per stare fisicamente bene. Resteranno per molto tempo le preoccupazioni sugli assembramenti, il ritrovarsi in molti in uno stesso luogo. Avremo, certo, sempre accesso alla musica e all’arte, in una forma o nell’altra perché viviamo in un’era di comunicazione di massa».

Che tipo di musica state ascoltando ultimamente?
Dewey: «A esser sinceri, non ne sto ascoltando molta in questo periodo. Passo la maggior parte delle mie giornate all’aperto, in mezzo alla natura. Quando cerco musica di solito è per guardare una performance dal vivo su YouTube di un vecchio artista o una band che mi piace… chiamala pure reminiscenza!».
Gerry: «Ne sto ascoltando un sacco, la mia musica preferita. Come Wilco, uno che va a mille, non si scollega mai! E poi… ripasso le colonne sonore di Ennio Morricone, scomparso recentemente. Lui ha molto influenzato le mie composizioni. Le sue musiche per Bugsy, The Mission, Nuovo Cinema Paradiso restano le mie favorite».

Ho visto le vostre dichiarazioni spontanee in favore delle maestranze dello spettacolo attualmente senza lavoro (per ascoltarle cliccate sulle foto qui sotto). Un tour è un grande spettacolo, state insieme per giorni, diventate tutti una grande famiglia…
Dewey/Gerry: «È vero, ci manca l’aspetto “fisico” del tour, lo stare insieme con i nostri amici, il viaggiare in posti nuovi e in quelli già conosciuti, suonare la nostra musica…».

L’anno scorso avete raggiunto un anniversario importante, mezzo secolo di America. Una vita di lavoro, musica e amicizia…
Dewey: «Sono invecchiato nel business della musica. Abbiamo iniziato l’avventura America da adolescenti e per me è stato straordinario aver raggiunto i 50 anni di registrazioni e tournée in tutto il mondo. Significa molto: abbiamo stretto molte amicizie, collaborato con altrettanti musicisti e tecnici in questi decenni. Non vedo l’ora di riprendere da dove avevamo interrotto il 12 marzo 2020!».
Gerry: «Cinquant’anni sono qualche cosa che vale chiaramente la pena celebrare. Dewey e io siamo stati molto fortunati in questo nostro lungo “viaggio” e, ovviamente, entusiasti al pensiero che l’Italia abbia giocato un ruolo così importante della nostro storia».

Qual è il vostro album favorito degli America?
Gerry: «Ne ho due: Homecoming, il nostro secondo lavoro, credo sia molto forte e coerente, perché riassume le nostre migliori caratteristiche. Adoro anche Here&Now disco prodotto per noi dal compianto Adam Schlesinger (dei Fountains of Wyne, mancato lo scorso primo aprile a 52 anni per colpa del Covid19, n.d.r.) e il grande, grande James Iha (chitarrista dei The Smashing Pumpkins, n.d.r.): penso che abbia rappresentato uno dei nostri migliori lavori degli ultimi anni».
Dewey: «Continuo a pensare e ne sono sempre più convinto che sia stato il nostro primo album, America. Un altro disco che davvero mi piace molto è Human Nature (14esimo in studio della band, uscito nel 1998, n.d.r.)».

America – Foto di Christie Goodwin

Avete voglia di parlarmi un po’ di Dan Peek, della sua scelta di lasciare la band all’apice del successo in cerca di altri valori?
Dewey: «Dan è stato uno dei membri fondatori della band. Eravamo tre grandi amici che hanno condiviso le esperienze della vita insieme fin dall’adolescenza. Ed era un musicista di talento, intelligente che sapeva anche essere divertente. Credo che il grande successo della band abbia schiacciato Dan. Ci siamo tutti dovuti adeguare alle fatiche dei tour, alla necessità di scrivere nuove canzoni, fare nuovi album. E, allo stesso tempo, stavamo anche sviluppando le nostre vite personali, sposandoci oppure creando relazioni “off the road”. Nel 1977 Dan ha deciso che non voleva più tenere quel ritmo. Così ha iniziato un nuovo viaggio che includeva il seguire le sue credenze religiose…».
Gerry: «Onoriamo l’immenso contributo che Dan Peek ha dato ogni singola notte (quando suonavamo insieme nei concerti). Io e Dew abbiamo bei ricordi di Dan, lui era un uomo davvero divertente».

In Italia avete tanti fan. Cosa vi piace del nostro Paese? Avete spesso dichiarato che vi piace venire a suonare qui…
Dewey: «Fin dalla prima volta che abbiamo girato l’Italia in tour abbiamo concordato che è un Paese bellissimo. Le magnifiche città e i borghi storici adagiati su terreni e coste meravigliose lo rendono geograficamente attraente. Poi le persone, le tradizioni, la cucina danno una buona energia a tutti noi. Ci divertiamo sempre durante i nostri viaggi in Italia e non vediamo l’ora di tornare di nuovo nel 2021…».
Gerry: «L’Italia è e rimarrà sempre una delle nostre tappe favorite durante i nostri viaggi e tour. Anche se adoriamo il cibo e la storia, la gemma più preziosa sono le persone, gli italiani: hanno così tanto amore per la vita!».

La situazione negli Stati Uniti, con l’esplosione della pandemia, le rivolte, un razzismo dilagante, non è delle migliori. Cosa sta succedendo?
Gerry: «Siamo tutti rattristati per la dura situazione in tutto il mondo, in modo particolare per i nostri amici e familiari negli States. Anche se io e mia moglie la stiamo vivendo dalla nostra casa di Sidney ogni giorni ci informiamo sull’andamento e i numeri della pandemia. È una tragedia in evoluzione. Ci troviamo tutti nel mezzo della storia oggi, che lo vogliamo o meno…».
Dewey: «Gli Stati Uniti stanno certamente attraversando un grande momento di transizione. La pandemia e lo stop della vita economica e sociale hanno focalizzato l’attenzione delle persone su problemi già esistenti nella nostra società, che ora richiedono dei cambiamenti. Penso che il nostro Paese sia ancora molto giovane rispetto a un luogo come l’Italia. Abbiamo molte questioni sociali ancora aperte, come il razzismo e il diritto all’uguaglianza. Fino a quando non saranno risolte, le tensioni non cesseranno».

Breaknotes/L’eredità armonica di Ennio Morricone

E così, a 91 anni, se n’è andato anche Ennio Morricone… I media di tutto il mondo lo stanno ricordando, narrandone le gesta: due premi Oscar, uno alla carriera nel 2005 e l’altro per la colonna sonora di The Hateful Eight di Quentin Tarantino (per questa vinse anche il Golden Globe). Nella sua vita artistica ha ha venduto oltre 70 milioni di dischi e conquistato 10 David di Donatello, 6 Bafta, 4 Golden Globes, 3 Grammy Awards, 11 Nastri d’argento, 2 European Film Awards, un Leone d’Oro alla carriera e un Polar Music Prize…

La musica era la sua lingua e il suono il suo chiodo fisso: anche un colpo di tosse, uno schiocco di lingua, un fischio, un colpo di frusta uniti al ronzare dei violini o a una tromba cristallina (lo strumento con il quale s’era diplomato al conservatorio) diventavano strumenti per melodie memorabili.

Lo “Spaghetti Western” – e quelli delle mia generazione ci sono cresciuti – è stata parte della nostra formazione culturale. Come dimenticare il geniale Scion Scion – che poi era Sean Sean – di Giù la testa, western del 1971 di Sergio Leone con Rod Steiger, James Coburn e Romolo Valli, cantato dall’eterea voce di Edda dell’Orso?

E ancora: i timpani insistenti e solitari alla stregua di campane a morto, ad aumentare la suspence nella scena finale di Per un pugno di dollari, il duello tra Joe (Clint Eastwood) pistolero inesorabile, e Ramon (Gian Maria Volontè), abile nell’uso della carabina Winchester…

O anche la struggente Gabriel’s Oboe da Mission di Roland Joffé (1986), tema del film… Ecco, questo potrebbe essere il giusto addio al maestro. La musica come sensazioni, ricordi, memoria. In qualche modo testimonianza: armonie affidate alle generazioni che le hanno introiettate al punto da diventare parte di una cultura comune e trasversale, filamenti del DNA di una nazione.