Interviste: Cisco, il folk, la politica e le sue Canzoni dalla Soffitta

Stefano Cisco Bellotti – Foto IlariaDRPhoto

Me ne sto su in montagna, Veneto, massiccio del Grappa, in una casa che domina la pianura. Neve e silenzio, il fuoco che arde nel caminetto e in cuffia I Contain Multitudes di Bob Dylan da Rough and Rowdy Days. Mi sono scelto con cura la canzone perché mi accingo a scrivere un’intervista a cui tengo molto. L’artista in questione, non a caso un appassionato di Dylan, è un menestrello nostrano, che in trent’anni di attività non ha mai lasciato i binari di un certo tipo di musica, quella che negli anni Settanta veniva definita “impegnata”. Nelle sue ballate c’è sempre un perché, sia esso sociale, sia politico, sia il ricordo di un amico prezioso che il Covid s’è portato via, armoniche che riportano a un certo modo di concepire la musica, un mezzo per dialogare non solo di futilità ma anche e soprattutto di “Essere”.

Lui è Cisco, al secolo Stefano Bellotti da Carpi, 53 anni, una vita artistica spesa soprattutto nei Modena City Ramblers come frontman e una scelta, tanti anni fa, sempre per via di quei binari dove corre da sempre la sua vita, di mettere su famiglia e raccontare il mondo da una posizione più tranquilla.

L’ho chiamato perché, oltre a sentire il suo punto di vista sulla musica italiana corrente, volevo parlare con lui anche del doppio disco che ha pubblicato il 29 ottobre scorso, Canzoni dalla Soffitta. Folk, chitarre aperte e sincere, brani scritti nel suo studio-soffitta di casa dove ha passato i lockdown di questi due anni assurdi.

Ballate dove si racconta e narra storie importanti, belle, aperte dove trovano luogo naturale collaborazioni con musicisti e artisti molto interessanti, dall’ex Roxy Music Phil Manzanera con i The Solidarity Express – band composta, oltre che da Phil, da musicisti di varie provenienze ed estrazione che mandano un messaggio di integrazione, fusion sociale e musicale, lo scorso aprile ha pubblicato il suo primo album, Radio Ubuntu a Simone Cristicchi, a Franco D’Aniello, mitico flautista, uno dei “padri fondatori” dei MCR con il suo inconfondibile tin whistle.

Nel secondo disco, i Live dalla Soffitta, una selezione di brani che Cisco ha suonato in streaming – uno ogni giorno – durante il lockdown, per chi voleva ascoltarlo. Qui, c’è anche una bella versione di Ovunque Proteggi di Vinicio Capossela…

Eccoci qua Cisco, prima di parlare del tuo disco – mia indagine personale – voglio chiederti un parere sulla situazione della musica italiana, quella mainstream per intenderci…
«Che ti devo dire? Terribile. In 15 anni siamo riusciti a tirare fuori il peggio del peggio che abbiamo, incapaci di valorizzare qualcosa che c’era già, trasformando la musica in un nulla cosmico! Quello che conta è il fatturato. A dir la verità, la situazione risale a molto tempo fa, quando le case discografiche non sono state in grado reggere le nuove tecnologie. Ricordi quando è uscito Napster? Si sono messe tutte a fargli la guerra non rendendosi conto che lì dovevano lavorare, non combattere. Ora si scelgono i gruppi in base alla visualizzazioni sui social. L’ultima ondata di musicisti scelti perché avevano qualcosa da dire risale agli anni Novanta, quando Stefano Senardi, alla Polydor, aveva intuito la potenzialità di alcuni gruppi sconosciuti, ecco come sono esplosi i CSI, i Modena City Ramblers, i Negrita, gli Africa United. Oggi nel mainstream non c’è più diversità, ma omologazione».

Vale per il nuovo pop, rap e trap?
«Non solo ma penso anche – ed è un mio parere personale, forse un po’ naïf – alla nuova scena cantautore italiana, dove nessuno degli artisti prende una posizione. Ho visto un’intervista a Lodo Guenzi, de Lo Stato Sociale, si stupiva proprio di questo e lo diceva anche di se stesso e della band».

Cioè, hai successo se non rompi le palle con testi impegnati?
«Più o meno così, la scena più “impegnata” lavora nei bassifondi. Esiste, certo! Ma non trova uno spazio. Non è che mi rifiuto di ascoltare rap o trap, tanto per fare un esempio tra i tanti mi piace Willie Peyote, fa cose bellissime, ma il problema è che tutti devono rincorrere il mainstream per emergere».

Con i Modena City Ramblers facevate politica?
«Non eravamo un gruppo legato a un partito. Avevamo le nostre idee, che a volte coincidevano con certe aree politiche, ma sempre aperti a chi la pensava come noi. Il problema  è arrivato poco prima degli anni 2000, quando è iniziato un costante lavoro di delegittimazione da parte di una parte politica, di tutti quei pensieri che si potevano ricondurre alla sinistra, sostenendo che, tanto è tutto uguale, che  non esiste più né la destra né la sinistra. Ci è stato detto e ripetuto per anni sui giornali al punto che oggi, dichiararsi fascista, per alcuni è una cosa di cui fregiarsi. Sono spariti i freni inibitori e così viene sdoganato il peggio del peggio che c’è in Italia. Ma va tutto bene, tanto la vita è un circo, il tempo passa e tutto può succedere, il problema è che si stanno minando le radici della nostra storia».

Cisco in concerto – Foto IlariaDRPhoto

In tutto ciò anche la musica…
«Sì anche la musica ha subito questa omologazione. Ho letto di artisti impegnati che si sono lamentati di non essere stati scelti a Sanremo… Il Festival non c’entra niente, non è lui il problema, piuttosto il fatto che non esistano altri contenitori musicali dove possa trovare spazio un altro tipo di musica. In Italia non esiste qualcuno che abbia la forza e la voglia di costruire un canale di musica impegnata. Così, nonostante la nostra storia millenaria rimaniamo un paese provinciale dove, per esistere, come artisti siamo ridotti a sperare di andare a Sanremo…».

Veniamo al tuo disco, Canzoni dalla Soffitta, un bel titolo…
«Vuol essere un riassunto di questi due ultimi anni vissuti pericolosamente. Sono istanti fissati, ma anche un lavoro che guarda al futuro».

Tra le tante canzoni, ben 24, che proponi, c’è anche una rivisitazione in italiano del mitico The Ghost of Tom Joad di Bruce Springsteen (album del 1995), che si rifà a Furore di Steinbeck, il  cantore della Grande Depressione…
«È un regalo a Luca Taddia (FEV, ndr). È un brano che dice tutto, per Springsteen è la sua Cent’anni di Solitudine, ma che racconta ancora con estrema modernità, quello che siamo noi stessi oggi. Una trasformazione che sta accadendo e che della quale nemmeno ci accorgiamo».

Mi incuriosiscono tanti brani, uno mi ha colpito in particolare, Lucho
«È dedicata al nostro amico Luis Sepúlveda, che familiari e amici hanno sempre chiamato amichevolmente Lucho. Sepúlveda è stato un grande amico dei MCR, un mio amico, ci siamo visti più volte, abbiamo suonato anche alla sua festa di compleanno quando ha compiuto cinquant’anni. È parte della nostra storia, mi sembrava giusto dedicargli una canzone, omaggiarlo…».

E poi ci sono La Finestra sul Cortile e Leonardo Nimoy…
«(Ride, ndr) La prima è un omaggio a Hitchcock. Quando eravamo in lockdown, guardavo fuori dalla finestra e vedevo un mondo intorno a me e mi è venuto naturale pensare al grande regista e al suo film, la seconda, invece, è un brano che guarda al futuro, un modo per accompagnare i figli (io ne ho cinque!) nella loro crescita, permettendo che commettano i loro errori, imparando da questi, senza preoccuparci di evitare che non cadano nei nostri. I ragazzi devono saper distinguere da soli, perché i costumi li vestono i supereroi ma anche i pagliacci…».

Mentre la seconda parte, il Live dalla soffitta?
«Un live senza pubblico presente. Mi collegavo dalla mia soffitta-studio ogni giorno durante il lockdown, un appuntamento per chi mi seguiva, un modo per dire ci sono, condividiamo. Sono brani con arrangiamenti minimali, chitarra e voce. Chitarra e voce è la prova del nove di una canzone, se regge, vuol dire che è buona».

Qui, hai voluto omaggiare altri artisti…
«In Manifesto ho voluto ricordare Erriquez (Bandabardò, ndr) mancato nel febbraio scorso, un messaggio d’amore, per lui e per la sua arte. In Ovunque Proteggi, ho celebrato uno dei miei artisti preferiti, Vinicio Capossela».

Cisco cosa stai ascoltando?
«Sto regredendo. Dopo aver cercato di restare al passo con i tempi, mi sto reinnamorando di chi mi ha fatto innamorare della musica. Dunque, Bob Dylan e il suo Rough and Rowdy Ways, un lavoro magnifico! Poi, rileggendone i testi, gli U2, Sunday Bloody Sunday fa venire i brividi ancora oggi, quella è la musica che mi piace. Ascoltavo con piacere anche i Mumford & Sons e in questi giorni Raise of the Roof, il secondo album che, a distanza di 14 anni hanno pubblicato Robert Plant e Allison Krauss…».

Cisco, come ti definiresti?
«Sono un ottimista di natura, penso di aver capito qual è il mio posto nel mondo. L’abbiamo ereditato e abbiamo l’impegno di lasciarlo al meglio. Pensa, noi stiamo vivendo 80 anni di pace, non c’è mai stato un tempo così lungo senza conflitti in Europa. E penso anche ai miei, a tutti coloro che, prima di noi, non sono vissuti senza guerre. Molta gente, questo, non lo capisce…».

Eccoci arrivati alla fine. Parlare con Cisco è come stare un sabato pomeriggio qualsiasi seduti a un tavolino con un buon rosso davanti e un saggio amico che ti fa riflettere. Ascoltare il suo folk senza età, è un ottimo esercizio per la memoria e il pensiero. Atto che in questi anni è quanto mai necessario.

Voglio finire lasciandovi il testo di Riportando tutto a casa, brano contenuto nel primo dei due dischi di Canzoni dalla Soffitta. È anche il titolo dell’album d’esordio dei Modena City Ramblers. Un testo autobiografico, che ripercorre i suoi trent’anni di musica, da quando, ragazzo di provincia impallinato con la musica folk irlandese, è salito sul palco durante un concerto “irish” dei Modena, e ha cantato con loro. Da quel palco non è mai sceso: anche se ha lasciato la band da anni è rimasto quel ragazzo che aveva il folk nella testa e le parole giuste nella penna.

Riportando tutto a casa,
in un soffio di polvere e in una maglia da pallone,
col sudore ho scritto anche il mio nome.
In silenzio ci ho messo la mia vita e la mia voce,
e non è un caso se canto in Re minore.
Ho viaggiato in furgone verso la rivoluzione,
ho fatto sosta nei bar di quartiere
come un uomo qualunque, un poeta un po’ cialtrone,
come un piccolo Hemingway senza pretese.
E ancora oggi sono qua tra Spotify e un vecchio disco,
tra una festa di paese, tra i Pogues e il liscio,
da qualche parte tra Carpi e San Francisco,
da qualche parte tra Carpi e San Francisco.
E ancora oggi sono qui tra una pinta e il Lambrusco,
fra il tanto e il poco, tra la roccia e il muschio.
Sulla strada di un sogno e il posto giusto,
sulla strada di un sogno e il posto giusto.
Ho dormito la mattina per rubare via alla sera
e ora porto i miei ricordi sulla schiena.
Ho gambe molli ogni sera prima di tornare in scena,
mangiarmi il mondo o andare a cena con la iena.
Avevo un trono di legno dentro notti illuminate,
l’ho buttato per tornare sulla strada.
Ho gli occhi rossi bagnati dal vento caldo dell’estate,
ho visto il mondo e riportato tutto a casa,
ho visto il mondo e riportato tutto a casa.
E ancora oggi sono qua tra Spotify e un vecchio disco,
tra una festa di paese, tra i Pogues e il liscio,
da qualche parte tra Carpi e San Francisco,
da qualche parte tra Carpi e San Francisco.
E ancora oggi sono qui tra una pinta e il Lambrusco,
fra il tanto e il poco, tra la roccia e il muschio.
Sulla strada di un sogno e il posto giusto,
sulla strada di un sogno e il posto giusto.

25 aprile: alla Scala suite di Enrico Gabrielli su “Bella Ciao”

Enrico Gabrielli

Anche quest’anno il 25 aprile si festeggerà senza manifestazioni e incontri. Ritorna in modo virtuale però, con numerose iniziative. Una di queste – ed è il motivo per cui la segnalo su Musicabile – è un concerto in streaming proposto dal Teatro Alla Scala di Milano.

Una suite per orchestra da camera, dieci variazioni sul tema di una canzone simbolo della resistenza e di quell’anelito di libertà che ha contraddistinto la nostra storia repubblicana, Bella Ciao, opera di Enrico Gabrielli. E qui apro una parentesi: Gabrielli è uno di quei musicisti di grande talento che il nostro Paese può vantare nel mondo. Ha suonato con gli Afterhours, i Calibro 35, i The Winstons, gruppo prog di bravura eccelsa (ve ne avevo parlato giusto un mese fa), si occupa di un progetto molto interessante 19’40”, una collana discografica su abbonamento, idea nata da Gabrielli, Sebastiano De Gennaro, Francesco Fusaro, in collaborazione con Tina Lamorgese.

Ok, torniamo a Bella Ciao. Senza andare a ritroso sull’origine del brano, sicuramente popolare e poi riadattato oltre settant’anni fa nel testo, Bella Ciao è una canzone famosa tanto quanto Nel Blu dipinto di Blu di Domenico Modugno. In questi anni l’hanno suonata e rielaborata un po’ tutti. Penso a Manu Chao, la grande Mercedes Soza, i Modena City Ramblers (una delle più belle e famose), Goran Bregović e la sua Wedding and Funeral Band, il dj Steve Aoki con i Marnik, Manu Pilas (la colonna sonora de La casa de Papel, fortunata serie spagnola), Mike Singer, Tosca, Yves Montand, tanto per citarne alcuni.

Alla Scala, sotto la direzione del maestro Francesco Muraca, potremo, dunque, ascoltare una formazione composta da componenti dell’Orchestra del Teatro, affiancati da giovani dell’Accademia, che suonano la suite in dieci variazioni scritta da Gabrielli.

La storia della composizione la racconta a Musicabile lo stesso artista: «Tutto è partito l’anno scorso. Dovevo scrivere una sigla per una trasmissione di Gad Lerner. La linea guida doveva essere un tema riconoscibile, che contenesse gli argomenti del format, partigiani ultra novantenni, momenti di commozione, la guerra e la fiducia. Il Covid ha fatto saltare tutto. Quindi sono stato ricontattato per ampliare quella versione e ho dovuto cambiare approccio, optando per quello sinfonico. Dentro ci sono le mie esperienze e passioni per i sinfonisti russi ed Ennio Morricone».

Alla domanda su come si svolge il tema musicale, Enrico risponde: «Comincia in maniera nascosta, un po’ segreta e, mano a mano, si svolge chiaramente. Sono dieci variazioni eseguite senza soluzione di continuità». Quanto alle ispirazioni: «Se devo trovare relazioni c’è la mia parte “arrangiativa” che si rifà a quegli arrangiamenti nobili degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, alla Jaques Brel (e lui su questo era un maestro!)».

«La ritengo un’iniziativa importante», mi spiega Roberto Cenati, Presidente ANPI Provinciale di Milano che interverrà all’evento streaming. «La sezione Scala dell’Anpi, nata nel 2015, è un piccolo, prezioso gioiello», mi dice orgoglioso. Quanto a Bella Ciao, sempre Cenati racconta: «È una canzone che racchiude quel concetto di libertà che viene da lontano, dalla Resistenza, che appartiene a tutti. L’essenza di libertà non ha limiti politici né confini, viene piuttosto da un alto concetto politico legato a un bene comune, insieme alla solidarietà, parole che, proprio in questo periodo acquistano un forte significato e che si oppongono ai sovranismi». Con lui c’è anche lo storico Ivano Granata che tiene una lezione sulla Liberazione e sul periodo storico che ha portato alla nascita della nostra repubblica.

Appuntamento dunque alle 18, domenica, collegandosi sul sito del Teatro Alla Scala o sui canali social del teatro.

Il destino della musica, incontro a Carpi

Ieri sera sono andato a Carpi. Nel cortile d’onore di Palazzo dei Pio, l’edificio simbolo della città, ben 11 secoli di storia da raccontare, c’era un appuntamento davvero interessante: Il futuro della musica dal vivo in Italia alla luce del Covid19. Così recitava l’incipit dell’incontro. Avevo prenotato una quindicina di giorni fa per assicurarmi uno dei pochi posti disponibili, causa distanziamento e norme antipandemia…

Del destino della musica live se ne sta parlando troppo poco. Assieme al turismo, quello degli spettacoli dal vivo è il settore più colpito. Sul turismo si sta tentando di fare qualche cosa, sulla musica no. È questa l’amara considerazione che è emersa anche nella tavola rotonda con Beppe Carletti, mitico frontman dei Nomadi, Cisco, ex Modena City Rambler, Paolo Belli, Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, e Alberto Bellelli, sindaco di Carpi. Moderatore Pierluigi Senatore, direttore news di Radio Bruno, storica emittente locale.

Della questione ne ho già parlato in questo blog. Professionisti senza lavoro, artisti allo sbando, speranze a lumicino… Non a caso la serata s’è aperta con la proiezione dello spot girato da un gruppo di tecnici che si è unito nell’associazione Dietro le Quinte e firmato da Giampaolo Damato a favore degli “Invisibili”, le maestranze dello spettacolo che da mesi ormai non guadagnano più, come ho avuto modo di raccontarvi qualche tempo fa qui e qui.

Quella della musica è un’industria a tutti gli effetti: considerando tutto l’indotto, genera 250 miliardi di euro, il 16 per cento del Pil, e occupa qualcosa come 400mila persone, cifre sicuramente al ribasso… Un’industria che ha staccato la spina e che, per farla ripartire, ha bisogno di sostanziosi aiuti – legislativi e pecuniari – oltre che di una grande botta di fortuna (non è detto che le due cose viaggino sempre insieme)…

È un problema nazionale e come tale dovrebbe essere trattato. Lo hanno sostenuto un po’ tutti i relatori. «L’Emilia Romagna è l’unica regione italiana che ha varato una legge sulla musica», spiega Bonaccini. Ogni anno si investe un milione di euro per non far cadere nell’oblio la cultura musicale di una comunità, aiutando le bande musicali, favorendo i live, promuovendo le nuove professioni legate alla musica e le scuole di musica… Di una legge per il settore se ne sta parlando da decenni, da quando ho iniziato questa professione quasi trent’anni fa», ricorda Cisco.

Il governo dovrebbe varare forme di sostegno per gli artisti meno conosciuti, per i tecnici – è sempre Bonaccini a parlare – è necessario trovare una forma di compensazione. Sulla difficile ripartenza dei concerti, ancora il politico: «Faccio una richiesta al Governo: ridiscutere il numero di pubblico ammesso nei live (oggi, mille all’esterno e 250 all’interno, n.d.r.), permettendo di ampliarlo, laddove possibile, in modo da garantire un minimo di lavoro per tutta la filiera».

Sembra ben intenzionato: lui e Zaia sono i nuovi nomi della politica italiana. I “governatori” del fare. Non a caso i Nomadi sono partiti con le loro prime tre date post Covid in Veneto. “La regione Veneto ci ha dato la possibilità di ripartire. Ci siamo ridotti il cachet, i nostri tecnici, invece, li paghiamo per intero… Lo dico con orgoglio: abbiamo altre 11 date fissate tra Veneto, Piemonte, Toscana, Marche e Umbria (quest’ultima ancora in forse)”, mi spiega Beppe Carletti. Che aggiunge amaro: «L’ho detto ieri sera, l’hai sentito, e te lo ripeto: noi musicisti siamo sempre pronti ad aiutare per raccogliere fondi su qualsiasi cosa. Nel 2012 ho organizzato con un amico una raccolta fondi/concerti per dare una mano alle persone colpite dal terremoto. Lo facciamo senza paura, l’abbiamo sempre fatto. Ora tocca a noi avere bisogno degli altri, ma nessuno ci considera… Per la musica non ha mai fatto niente nessuno…».

Cerchiamo di tirare le fila: la crisi post-pandemia è tragica. Il tempo per agire e salvare un comparto sempre più stretto, i musicisti a parole dicono di essere uniti, in realtà ognuno corre per sé da sempre. È quanto mai necessario un intervento dei big della musica italiana sulla politica: Vasco, Ligabue, Zucchero, Jovanotti, per fare alcuni nomi pesanti, potrebbero (e dovrebbero) aprire interlocuzioni con il governo per chiedere, soprattutto a nome dei più deboli, una legge che regolamenti questo settore. Il problema è che la musica è considerata cultura solo a parole. Nei fatti, è un’altra cosa. Parole di Cisco: «perché il libro ha un’Iva al 4 per cento e il disco al 22%?». Bella domanda. La musica, soprattutto quella non classica, non è considerata un mestiere ma un passatempo… «è sempre stata vista come un’arte povera» sostiene Carletti. E lui, il mestiere lo conosce davvero bene, visto che da oltre mezzo secolo calca i palchi dell’Italia intera con i suoi Nomadi.

La conclusione forse sta nelle parole del sindaco di Carpi, Alberto Bellelli: «In un periodo un po’ oscurantista si vince solo puntando sulla cultura e sulla bellezza» e in quelle di Paolo Belli: «Le persone hanno bisogno non solo delle cure del corpo ma anche di quelle per l’anima. E la musica è una di queste».