Su:ggestiva: musica e spazio a Roma. Ne parla Enrico Gabrielli

Musica e spazio. Il rapporto è stretto, quasi vincolato, lo spazio può contenere la musica, la musica può armonizzare lo spazio. Per scendere più nel particolare: se lo spazio è inteso come un’opera architettonica, un antichissimo manufatto o una rovina archeologica la valenza emozionale tra questi e la musica assume connotati ancora più profondi.

Su:ggestiva, arrivata alla sesta edizione, nei finesettimana fino al 23 ottobre, è una rassegna pensata proprio per esaltare questa relazione intima tra musica e spazio. La manifestazione di definisce multisensoriale, perché a entrare in gioco non è solo l’udito ma sono anche altri sensi, innanzitutto la vista e il tatto. Il luogo è il Parco archeologico dell’Appia Antica a Roma. Per essere più precisi il Ninfeo della Villa dei Quintili. Famoso e affascinante, palco ideale per ospitare un mix di suoni dove il rock degli I Hate My Village si fonde con la musica contemporanea del pianista mascherato Lambert o del violoncellista e compositore albanese Redi Hasa. Continua a leggere

25 aprile: alla Scala suite di Enrico Gabrielli su “Bella Ciao”

Enrico Gabrielli

Anche quest’anno il 25 aprile si festeggerà senza manifestazioni e incontri. Ritorna in modo virtuale però, con numerose iniziative. Una di queste – ed è il motivo per cui la segnalo su Musicabile – è un concerto in streaming proposto dal Teatro Alla Scala di Milano.

Una suite per orchestra da camera, dieci variazioni sul tema di una canzone simbolo della resistenza e di quell’anelito di libertà che ha contraddistinto la nostra storia repubblicana, Bella Ciao, opera di Enrico Gabrielli. E qui apro una parentesi: Gabrielli è uno di quei musicisti di grande talento che il nostro Paese può vantare nel mondo. Ha suonato con gli Afterhours, i Calibro 35, i The Winstons, gruppo prog di bravura eccelsa (ve ne avevo parlato giusto un mese fa), si occupa di un progetto molto interessante 19’40”, una collana discografica su abbonamento, idea nata da Gabrielli, Sebastiano De Gennaro, Francesco Fusaro, in collaborazione con Tina Lamorgese.

Ok, torniamo a Bella Ciao. Senza andare a ritroso sull’origine del brano, sicuramente popolare e poi riadattato oltre settant’anni fa nel testo, Bella Ciao è una canzone famosa tanto quanto Nel Blu dipinto di Blu di Domenico Modugno. In questi anni l’hanno suonata e rielaborata un po’ tutti. Penso a Manu Chao, la grande Mercedes Soza, i Modena City Ramblers (una delle più belle e famose), Goran Bregović e la sua Wedding and Funeral Band, il dj Steve Aoki con i Marnik, Manu Pilas (la colonna sonora de La casa de Papel, fortunata serie spagnola), Mike Singer, Tosca, Yves Montand, tanto per citarne alcuni.

Alla Scala, sotto la direzione del maestro Francesco Muraca, potremo, dunque, ascoltare una formazione composta da componenti dell’Orchestra del Teatro, affiancati da giovani dell’Accademia, che suonano la suite in dieci variazioni scritta da Gabrielli.

La storia della composizione la racconta a Musicabile lo stesso artista: «Tutto è partito l’anno scorso. Dovevo scrivere una sigla per una trasmissione di Gad Lerner. La linea guida doveva essere un tema riconoscibile, che contenesse gli argomenti del format, partigiani ultra novantenni, momenti di commozione, la guerra e la fiducia. Il Covid ha fatto saltare tutto. Quindi sono stato ricontattato per ampliare quella versione e ho dovuto cambiare approccio, optando per quello sinfonico. Dentro ci sono le mie esperienze e passioni per i sinfonisti russi ed Ennio Morricone».

Alla domanda su come si svolge il tema musicale, Enrico risponde: «Comincia in maniera nascosta, un po’ segreta e, mano a mano, si svolge chiaramente. Sono dieci variazioni eseguite senza soluzione di continuità». Quanto alle ispirazioni: «Se devo trovare relazioni c’è la mia parte “arrangiativa” che si rifà a quegli arrangiamenti nobili degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, alla Jaques Brel (e lui su questo era un maestro!)».

«La ritengo un’iniziativa importante», mi spiega Roberto Cenati, Presidente ANPI Provinciale di Milano che interverrà all’evento streaming. «La sezione Scala dell’Anpi, nata nel 2015, è un piccolo, prezioso gioiello», mi dice orgoglioso. Quanto a Bella Ciao, sempre Cenati racconta: «È una canzone che racchiude quel concetto di libertà che viene da lontano, dalla Resistenza, che appartiene a tutti. L’essenza di libertà non ha limiti politici né confini, viene piuttosto da un alto concetto politico legato a un bene comune, insieme alla solidarietà, parole che, proprio in questo periodo acquistano un forte significato e che si oppongono ai sovranismi». Con lui c’è anche lo storico Ivano Granata che tiene una lezione sulla Liberazione e sul periodo storico che ha portato alla nascita della nostra repubblica.

Appuntamento dunque alle 18, domenica, collegandosi sul sito del Teatro Alla Scala o sui canali social del teatro.

Interviste/ Walzer, dal Persia’s Got Talent a un disco. Tutto suo!

Di lui mi aveva parlato quel pusher di nuovi musicisti che è Alberto Riva (ricordate? il creatore di colonne sonore per le sfilate di moda), ancor prima che il Nostro se ne uscisse con quella provocazione che di lì a pochi giorni, lo avrebbe portato a una notorietà inaspettata… Così, in un piovoso lunedì di febbraio, ci siamo dati appuntamento alla libreria Feltrinelli di corso Buenos Aires a Milano. Capello lungo, baffo folto, una giacca militare d’antan… Walter Carluccio, in arte Walzer, nato 36 anni fa in un paesino vicino a Legnano, padre italiano madre spagnola, mi guarda incuriosito. «Non sono abituato a questo genere di cose», mi spiega. «Improvvisamente sono diventato uno riconoscibile. Mi fermano, mi intervistano, sono quello della goliardata persiana». Facciamo un passo indietro. Qualche settimana fa Walzer ha fatto il botto di ascolti, visualizzazioni e fama mettendo on line la sua esibizione al Persia’s Got Talent, show per gli spettatori di lingua farsi nel mondo, ripreso a Stoccolma un paio di mesi fa. Se volete leggere sulla sua stravagante esibizione, qui una sua intervista su tgcom.24.it. Insomma, viene voglia di saperne di più su questo artista che vive ancora nel paradiso dei menestrelli, compone ma non si decide a pubblicare, frequenta fior di nomi “pesanti” della musica italiana ma non si lancia. Partecipa a un talent lontano anni luce dalla nostra cultura musicale e lo fa con la consapevolezza che una provocazione sia una possibile e fruttuosa contaminazione tra culture, non ha uno smartphone ma si muove tra i social con passo felpato…

Solo una domanda sulla tua partecipazione al Persia’s Got Talent. Hai portato sul palco Ascanio, mito del web demenziale, e la canzone Esce ma non mi rosica, rielaborata nel testo, su uno dei brani più amati dai persiani, Pariya, di Shahram Shabpareh. Una provocazione?
«È stata una goliardata pura. Una cosa che volevo fare, senza nessuna pretesa. La produzione lo sapeva, ne erano ignari, invece, i giudici. Infatti, non hanno capito l’operazione. Ma la cosa bella è che il pubblico s’è messo a cantare il vero testo, mentre io quello di CelestinoCamicia. Una fusione di culture, quella tradizionale e l’altra, giocosa e spensierata, della rete».

Chi è Walzer?
«Sono uno di provincia, cresciuto in provincia. Ho iniziato a suonare la chitarra di mio fratello maggiore a 14 anni – l’aveva ricevuta in regalo ma non la toccava mai – e a cantare a quattro. Mi ricordo che, fin da piccolo, ascoltando una canzone ponevo sempre più attenzione all’armonia che alla melodia. Mi affascinavano i percorsi sonori di un brano. Al liceo artistico, a Busto Arsizio, ero diventato il menestrello della scuola. Ho iniziato a cantare in vari gruppi della zona. Ancora oggi continuo a esibirmi con la mia prima band, Mike Pastori and his New Dodos, facciamo cover di qualsiasi genere: siamo quattro persone con ascolti decisamente diversi, ed è questa la nostra forza che ci tiene ancora insieme».

Quando hai iniziato a suonare da solo?
«Nel 2010 e ho cominciato suonando proprio Esce ma non mi rosica al mio primo concerto. A Stoccolma mi sono presentato sul palco del Persia’s Got Talent vestito esattamente come il mio primo concerto. Poi, nel 2011, ho avuto la mia “svolta” più importante: ho conosciuto i Selton (fresca ed esplosiva band brasiliana formatasi a Milano, ndr). È iniziata un’amicizia e una collaborazione, con loro ho fatto i miei primi concerti “grossi”. Quindi ho incontrato Dario Ciffo, Roberto Dell’Era, gli altri Afterhours…».

Walzer, ma cosa vuoi dalla tua vita? Oltre alla provocazione che ti ha reso famoso, c’è dell’altro, mi sembra…
«Da cinque anni ho iniziato a scrivere canzoni mie, spronato dai Selton e da altri amici musicisti…».

E…
«Ne ho scritte una quindicina. Lino Gitto e Roberto Dell’Era, che assieme a Enrico Gabrielli fanno gli Winstons (uno dei gruppi più interessanti della scena indie-prog italiana, ndr) si sono offerti di aiutarmi a produrre il disco. Mi piacerebbe incidere ogni pezzo con uno dei miei amici artisti, ospiti, guest star… Devo fare questo passo, è importante, decisivo, altrimenti rischio di rimanere negli annali del web come il pagliaccio di Esce ma non mi rosica…».

Qual è il tuo genere di riferimento?
«Pop/rock con influenze anni Sessanta e Settanta, Beatles, Beach Boys, Elvis Costello per intenderci…».

Scusa, ma perché tutta questa indecisione sui pezzi che hai scritto? Cosa stai aspettando?
«Il 2020 sarà l’anno decisivo, lo dico a te ma lo dico anche a me! Sono fondamentalmente pigro, vero. Però la mia apparente pigrizia nasconde in realtà quello che sono, e cioè, cauto e riflessivo. Mi impongo standard molto alti, sono sempre molto critico con me stesso. Ho bisogno di consensi continui su quello che faccio…».

Cioè, ti sottovaluti…
«Forse. Però non vorrei essere ricordato soltanto per una guasconata, anche se la partecipazione al talent è stata l’occasione per parlare di me. Ora ho in testa tante cose. Devo sentire Daniel (dei Selton, ndr) perché ha avuto l’idea di lanciare un crowdfunding per produrre il mio disco».

Una genialità guascona quella del Persian’s Got Talent! I tuoi cosa hanno detto del tuo exploit?
«Mia madre, che vive alle Canarie, è persona pragmatica. Mi ha fatto una sola domanda: “Ma ti hanno pagato per quello che hai fatto?».

Tu usi i social ma, in realtà, sei un po’ lontano da quel mondo…
«È vero, non ho uno smartphone, non sono un nativo digitale. Mi hanno detto che ciò potrebbe essere un detrimento per il mio lavoro, ma io vado avanti per la mia strada…».

Ma hai bisogno della gente, tutti gli artisti ne hanno.
«Come attitudine sono molto vicino agli artisti di strada. Mi piace suonare nei mercatini, alle feste di paese. E questa, mi rendo conto, è la dimensione più lontana possibile dai social, intesa come modo di accattivarsi la gente. Mettiamola così, la mia è una sfida…».

Walzer, il tuo obiettivo.
«Mantenere la libertà che ho adesso ma esprimere quella creatività organizzata per far conoscere la mia musica. Sono il musicista dei musicisti: tutti mi conoscono nell’ambiente ma pochi al di fuori di questo…».

Annotazione. Alla fine dell’intervista “in libreria”, davanti a un tazzina di caffè ormai fredda, finiamo per parlare di libri, ovviamente di musica. Gli chiedo se mi fa ascoltare uno dei suoi brani: «Sono tutti molto artigianali, registrati in casa. Insomma roba “roots”», si schernisce. Insisto: la voglio pubblicare sul blog, sono curioso, e poi, prima o poi, ti devi decidere. Acconsente: «Ok, ti mando un link dal mio SoundCloud». Quindi, eccolo (il link)! Ascoltiamolo insieme e immaginiamolo “lavorato” con quell’armonia che gli sta tanto a cuore… Io l’arrangiamento me lo sono creato, nella mia testa, ovviamente, con la certezza che da una radice può nascere un gran bel fiore!