Tre dischi in arrivo: Pat Metheny, Valerie June e Morcheeba

Ci sono tre dischi per altrettanti artisti che sto aspettando. Sono musicisti molto diversi tra loro per generi, storie e percorsi musicali. Ve lo dico, li ho già prenotati. Il mio personale metodo di scelta non guarda a chi sia più famoso o meno (essere una star non è sinonimo di bravura eterna), ma a quello che mi dicono, all’emozione che mi danno, allo stupore che mi lasciano, a quel senso di soddisfazione che provo nell’ascolto. Criteri soggettivi, ovviamente, che voglio condividere con voi. Poi mi direte se siete dalla mia o se mi manderete a quel paese…

Parto forte: il 5 marzo sarà disponibile per la Modern Recordings, etichetta in seno alla BMG dedicata a classica, jazz ed elettronica, l’ultimo lavoro di Pat Metheny, Road To The Sun. Sono pochi i musicisti che dopo aver vinto 20 Grammy, pubblicato 40 album, suonato con decine di mostri sacri della musica riesce a tirar fuori dal suo magico cappello un lavoro per certi versi spiazzante, diverso dagli altri, mantenendo però l’imprinting “Metheny”. Come sempre, direte voi. Esatto, ribatto. Come sempre. Metheny è una garanzia. Questa volta la chitarra è protagonista con il suo suono puro. Un disco diviso in tre parti, Four Paths of Light, dove, con lui suona con Jason Vieaux, chitarrista classico (qui Four Paths of Light Pt. II), una seconda, Road To The Sun, sei tracce che danno il titolo all’album, eseguite con i LAGQ, Los Angeles Guitar Quartet, al secolo John Dearman, William Kanengiser, Scott Tennant e Matthew Greif. Ascoltate Road To The Sun Pt. II. L’ultima parte è un riarrangiamento di Für Alina, uno dei brani storici dell’ottantacinquenne compositore estone Arvo Pärt, musica per pianoforte suonata nel 1976, arrangiata da Metheny che la suona con la sua mitica chitarra a 42 corde.

Il 12 marzo, invece, cambiando del tutto genere, uscirà un disco attendevo da un po’. Si tratta di The Moon And The Stars: Prescription For Dreamers di Valerie June, via Fantasy Records. La trentanovenne cantante e compositrice polistrumentista del Tennessee dotata di una voce molto particolare, ha prodotto il disco con Jack Splash (producer anche di Kendrick Lamar, John Legend, Alicia Keys). Il risultato è un lavoro che giustifica l’attesa. Dalle canzoni che preannunciano l’album, Call Me A Fool e le prime tre Stay / Stay Meditation / You And I, traspare un progetto ambizioso (erano quattro anni che non pubblicava più nulla) quanto profondo. C’è blues, R&B, un pizzico di psichedelia e una generosa dose di folk pop.

Il 14 maggio, mi prendo per tempo, sarà nei negozi Blackest Blues il nuovo album dei Morcheeba, via Kartel Music. Il duo britannico, autore di un pop molto raffinato, ha composto 10 brani, disponibile all’ascolto per ora, solo Sounds of Blue, con un video dove Sky Edwards e Ross Godfrey, il chitarrista, navigano in una barca in mezzo al mare e Sky in acqua si muove cantando avvolta nel profondo blu. L’album contiene anche due apprezzati interventi, quelli di Duke Garwood (in The Edge of The World) e Brad Barr (in Say It’s Over). Trip hop, raffinate armoniche della chitarra di Godfrey e la voce inebriante di Sky ne fanno un lavoro preciso ed emozionale, da ascoltare con cura.

Bruce Hornsby e il suo nuovo “Non-Secure Connection”…

Vi ricordate The Way it is, fortunato brano uscito nel 1986, ripreso anche da 2Pac con il titolo di Changes? Portava la firma di un musicista istrionico, Bruce Hornsby, allora con i Range. Di strada il pianista della Virginia (ha suonato per due anni anche con i Grateful Dead, agli inizi dei Novanta) ne ha fatta, e tanta. Con una coerenza di fondo mai dimenticata: il non voler pervicacemente essere etichettato in un genere. Hornsby ha percorso – e continua a percorrere – tutte le strade della musica.

Soul, funk, rock, jazz, bluegrass, pop mainstream, tutto e il suo contrario. L’ultimo lavoro – ed è per questo che ve ne parlo – Non-secure Connection, uscito ad agosto, ritrova un Hornsby in gran vena creativa. Confesso, mi piace molto!

Rock, prog, jazz spalmato in maniera coscienziosa, pop quanto basta, sembra di ascoltare i Genesis e Peter Gabriel, soprattutto, quest’ultimo, nell’intonazione vocale metallica. Parallelamentei a un ventennale sodalizio fortunato e simbiotico con il regista Spike Lee, Bruce non ha mai smesso di pubblicare gran bei lavori, come l’ultimo.

Molta attenzione sia alla partitura sia ai testi, un lavoro altamente critico verso il mondo web – per capirlo basti ascoltare Porn Hour: “We got everything we want with a mouse click, The innovation of the Internet. We thank the hard boys and the naked girls For the coming of our beautiful cyber world” – con lo spazio alle solite sue collaborazioni di massimo livello.

Come quelle con Vernon Reid, chitarrista dei Living Colour e la cantautrice e poetessa Jamila Woods (Bright Star Cast) e con il violinista (polistrumentista) Rob Moose (The Rat King). C’è persino Leon Russell, artista di culto, mancato nel 2016, in una registrazione che Bruce aveva fatto insieme un quarto di secolo fa (Anything Can Happen) e una solida My Resolve, suonata con James Mercer (The Shins, Broken Bells).

D’effetto anche Cleopatra Drones, canzone che apre il disco e ben dispone all’ascolto. Se volete approfondire l’artista, ascoltatevi un altro paio di album, Hot House del 1995: molto jazz e funk con collaborazioni eccellenti come Béla Fleck, il virtuoso del banjo, Pat MethenyJimmy Haslip, bassista e fondatore degli Yellowjackets, e il doppio Spirit Trail, uscito nel 1998. Ah dimenticavo, un altro album bellissimo: Absolute Zero, del 2019, che il New York Times ha definito “ccmplesso e per nulla alla moda, dunque, ottimo”! Anche qui collaborazioni di sostanza, con il batterista jazz Jack DeJhonette nel brano che dà il titolo all’album, per proseguire con Justin Vernon (Bon Iver) – uno dei suoi “giovani colleghi” preferiti – in Cast OffBuon Bruce, dunque!