Caro Lucio rispondo… la “lettera” di Rossomalpelo a Lucio Dalla

L’altro giorno, con Dan Costa, siamo finiti a discutere di estetica della musica. Per il musicista italo-lusitano la musica non può avere interferenze, vedi il testo, perché questo “rovinerebbe”, anzi, interpreto meglio, “altererebbe” l’armonia e la purezza del suono. Visione più che legittima, se aprissimo un dibattito staremmo giorni a dire la nostra. Non per semplificare, ma c’è musica per ogni momento, un linguaggio che può assorbire altri linguaggi, e sta proprio qui la sua meraviglia! Per questo voglio condurvi, per dirla con i Pink Floyd, on the other side of the moon, per parlare non di melodie ma di parole, testi, poesie, estetica del linguaggio.

Me ne offre l’occasione un artista romano, una bella persona, di gran cultura e altrettanta passione, uno di quelli che usa la scrittura per far suonare la vita. Si chiama Sergio “Rossomalpelo” Gaggiotti. Di professione è musicista, paroliere, scrittore, sceneggiatore di testi teatrali, autore di colonne sonore. Nel suo lungo curriculum è stato pure arrangiatore e direttore artistico per il primo disco dei Presi per caso, gruppo musicale formato nel carcere di Rebibbia, attivo ancora oggi. Proprio questa settimana, Rossomalpelo è stato invitato dall’Instituto Cubano de la Música a esibirsi, in maggio, al festival Cubadisco, ma anche a tenere, con orchestre locali, una tournée sull’isola da cui nascerà un disco.

Mi ha incuriosito il suo ultimo lavoro uscito il 4 marzo: Carlo Lucio rispondo, album che risente fortemente della pandemia e dei lockdown, interpretati come smarrimento dell’oggi, dove in questo etereo benessere, l’arrivo di un virus, seppur bastardissimo, ha fatto saltare i concetti di libertà, condivisione, cultura, democrazia. La guerra di Putin, poi, non ha fatto altro che confermare la deriva di un mondo che ha perso i contatti con la realtà. Mi ha colpito il titolo dell’album, che richiama la frase iniziale de L’anno che Verrà, una delle canzoni più famose di Lucio Dalla, pubblicato nel 1979. Senza essere alla ricerca di facili protagonismi, visto il decennale della morte dell’artista bolognese, Sergio pensando a tutto quello che abbiamo passato e stiamo vivendo, ha trovato il modo per raccontare l’attualità rispondendo alla famosa lettera che Lucio indirizzò 43 anni fa e a cui nessuno, finora, aveva dato ufficialmente risposta.

Uno scambio epistolare, insomma. Dice: «Da piccolo ero rimasto colpito dal brano, uno che “canta una lettera”, ma anche dal fatto che nessuno si fosse pensato di dire: me lo chiedi? Ecco, ti spiego io cos’è successo».

Venendo al disco: sono 24 minuti e 15 secondi ricchi di considerazioni, c’è tristezza, apatia, ironia, allegria. Gaggiotti è riuscito a riassumere due anni di pandemia in nove, concentrati, flash. Un equilibrismo perfetto. In questa narrazione c’è una piccola perla alla Tenco, nel più elegante ermetismo, che ho apprezzato molto, appena 44 secondi dove è racchiuso tutto il senso della solitudine, della lontananza, del desiderio, Il Peso dell’Assenza:

Così è questo
il peso dell’assenza.
Il vuoto, disegnato in frasi articolate,
oggi diventa sostanza
si fa massa.
Lo spazio è occupato dal nulla
e restano pugni chiusi
al termine di queste braccia.

Il “tutti liberi” dal lockdown è descritto in Aprono i bar, ambientato a Roma, in un bar d’angolo, una bella giornata di sole, la gente che cammina, le auto percepite come “un ingorgo diffuso”, mentre Quarantella, la traccia finale, un romanesco spoken word, accompagnato da un riff iniziale alla Calibro 35, ricongiunge il tutto in una forma ironica ma sostanziale…

Hai scritto a Lucio una bella e composta “missiva”, in nove punti…
«Questa mancata risposta è stato un mio cruccio per molti anni. Non capivo perché un cantante, allora, avesse sentito l’esigenza di prendere carta e penna e scriverci. Ho aspettato tanto prima di rispondere e il lockdown mi ha convinto a farlo. Aveva immaginato un futuro migliore, invece…».

Com’è nato il disco?
«Ho fatto tutto da solo, sia per il lockdown sia perché l’ho presa come una cosa personale. E poi sono un “indipendente” non devi rendere conto a nessuno, faccio quello che mi pare. Così ho pensato di pubblicarlo il primo marzo, il giorno che Dalla se ne andò. Caro Lucio rispondo vuol essere una narrazione del nostro presente per ricordare ciò che lui aveva previsto per il futuro».

Veniamo alla musica e al cantautorato, come la vedi?
«La musica si è sempre divisa in due, quella mainstream e “l’altra”. Quest’ultima è sempre stata in opposizione alla cultura dominante. Negli anni di Dalla c’era ancora chi desiderava scoprire musica interessante, c’erano i talent scout che frequentavano i locali, andavano in cerca di artisti validi… infatti sono nati i vari Graziani, De Gregori, Fossati e tutti i cantautori di quella generazione. Oggi non vedo più questo interesse. L’assurdo è che mi chiamano dal Messico per andare a fare una tournée, ma devo declinare perché non ho i mezzi per potermi permettere una serie di date così lontano. Il mercato c’è, c’è chi ha voglia di ascoltarci. Ma è più facile puntare su una musica da consumo».

I tuoi concerti sono un po’ all’antica…
«Vado a suonare raccontando, mi piace partecipare con il pubblico, ridere con lui, parlarci. Non sono io il protagonista della serata ma le persone che hanno scelto di venire ad ascoltarmi. Credo, inoltre, che nella musica ci siano fasi cicliche, come nella storia. La gente ora ha voglia di ascoltare racconti, musica “per adulti”».

Condivido la tua analisi, anche perché c’è molto di più oltre ai dolori egocentrici di tanti giovani Werther…
«Quello che manca, e sarebbe psicologicamente da studiare, è un racconto sociale. Le visioni dei trapper non mi piacciono. La strada diversa esiste: artisti come me non sopravvivono, lavorano! Un mio singolo, Il mare mi salva, ha venduto nel mondo oltre 250mila copie. Quando uscì la playlist di papa Benedetto XVI e si scoprì che al quarto posto c’era il mio brano, ho iniziato a ricevere telefonate da tutto il mondo, richieste di concerti, persino dalle Hawaii. Mi son detto “‘Ammazza che so’, Elvis Presley?”… Un artista non ha bisogno di essere mainstream per guadagnare. Credo nel successo personale, la fama è un’altra cosa. Per questo vado avanti a raccontare la mia realtà da indipendente. Il mercato batte altre strade, deve occuparsi di persone che fanno vendere».

Come hai iniziato a suonare?
«Da autodidatta. A 16 anni ho preso in mano la mia prima chitarra, mi riusciva facile imparare, avevo orecchio, vedevo chi sapeva suonare e imparavo. A 20 anni ho saputo che c’era un’orchestra in cerca di musicisti. Così, da incosciente, mi ci sono fiondato. Durante le prove per ottenere il posto, finché s’è trattato di eseguire un brano tutti insieme è andato liscio, fingevo di leggere lo spartito invece andavo a orecchio. Il problema s’è manifestato quando è arrivato il momento di fare la mia parte, non sapendo leggere la musica non lo avevo capito. Ho fatto una figura così brutta che mi sono vergognato di me stesso, mi sono imbarazzato da solo!  Il direttore mi ha guardato e mi ha detto: “Impara a leggere e poi torna”»…

L’hai fatto?
«Certo, mi sono impegnato, mi sono iscritto al conservatorio, ho frequentato i primi tre anni di chitarra. Poi ho capito che la mia vera passione era la composizione. Mi piace scrivere per tutte le parti, chitarra, basso, pianoforte, batteria… Comunque sì, il direttore poi mi prese a suonare nell’orchestra. Avevo imparato la lezione».

Quando componi scrivi prima i testi o la musica?
«Ho l’esigenza di raccontare quello che sento e che vedo. Lavoro tanto sui testi fino a quando il mio “io” ipercritico non è soddisfatto. Poi adatto la musica al testo. Se sono in 4/4 e le parole non ci stanno, passo ai 9/4. Detto questo, la musica deve avere comunque un buon livello qualitativo».

La scrittura ti coinvolge molto…
«L’unica cosa che non oso affrontare è il romanzo. Scrivo racconti, ci sono narrazioni per le quali non basta una canzone. Il teatro mi piace molto, anche quello moderno, amo l’attore che non mi fa più sentire che sono a teatro, mi piacciono molto i monologhi. Scrivevo molto per il teatro e il cinema, ma i due anni di pandemia hanno bloccato questo flusso».

Curiosità personale, ma scrivi a penna o a computer?
«Le canzoni che le scrivo a mano, mentre i racconti al computer, altrimenti, conoscendomi, mi perderei tutti i fogli».

Domanda alla Marzullo e chiudo: c’è qualcosa che porti sempre con te?
«La mia chitarra, non esco senza! Mio padre me ne regalò una a 16 anni e dopo due mesi morì. Non osavo tirarla fuori dalla custodia. Ci sono voluti un paio d’anni perché mi decidessi a prenderla tra le mani. Per l’amore di quel gesto, ora la porto sempre con me. Non è la stessa, ne uso una, più piccola, una Parlor, ha un gran bel suono!».

Tanto per ricordare la lettera di speranza del grande Lucio e la risposta di Rossomalpelo, vi allego i testi…

L’Anno che verrà

Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va
Si esce poco la sera, compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire
Del tempo ne rimane
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando
Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno
Ogni Cristo scenderà dalla croce
Anche gli uccelli faranno ritorno
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno
Anche i muti potranno parlare
Mentre i sordi già lo fanno
E si farà l’amore, ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo furbi
E i cretini di ogni età
Vedi, caro amico, cosa ti scrivo e ti dico
E come sono contento
Di essere qui in questo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro amico cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare
E se quest’anno poi passasse in un istante
Vedi amico mio
Come diventa importante
Che in questo istante ci sia anch’io
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
Io mi sto preparando, è questa la novità

 

Caro Lucio rispondo
Caro Lucio rispondo, con molto ritardo
Ma qui le cose non vanno, stiamo ancora lottando
Aspettiamo che il mondo rinasca nel vuoto di giorni in cui non si esce
E non è più stato Natale
è soltanto un lunghissimo tempo sospeso nel vuoto
Al quale gli uccelli però, fanno ancora ritorno
Ma non ci sono preti che si sposano
E qualcuno crede ancora che ammazzare
Sia naturale conclusione di un amore
E non ci son più santi né uomini, che i capitani
fuggono e non si riesce a fermarli.

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso (x2)

Caro Lucio comunque qualcosa è cambiata davvero
Bergamo ha un Marzo rubato,
le sedie dei vecchi son vuote
E Rosso è di nuovo l’esatto contrario del bene
Ma è solo un lunghissimo tempo sospeso nel vuoto
Al quale gli uccelli, sicuro, fanno ancora ritorno
E anche se non ci sono preti che si sposano
Crediamo ancora nell’amore che non distingue generi
Ma si fa cogliere
E non ci son più santi né uomini, che i capitani
fingono e non si riesce a fermarli.

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso (x2)

Ecco, caro Lucio, non ho scritto forte come hai fatto tu
Che non son mai stato lontano
Ma ho ricordi, di vetri appannati e disegni e pomeriggi di capelli da contare
Con lo sguardo fino in fondo al buio di quel mare
Dove in fondo, nessuno, è mai solo davvero

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso

Musica e scrittura/ Da Gil Scott-Heron ai rapper italiani

Leggevo sul New Yorker, preziosa rivista ricca di spunti, un pezzo davvero interessante su Gil Scott-Heron. Poeta, scrittore di gran spessore intellettuale e culturale, ma anche musicista molto apprezzato a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Gil, morto a 62 anni nel 2011, è stata la fonte di ispirazione di molti scrittori e altrettanti musicisti. Era un attivista afroamericano, uno che osservava la vita e la traduceva in parole compiute, uno spoken word (un poeta che musicava i suoi versi). Un poeta/musicista “maledetto”, che ha conosciuto la droga e il carcere. Tra i suoi album, anche se qualcuno lo ha definito il più “convenzionale”, leggi commerciale, c’èPieces of Man, il suo secondo lavoro, del 1971. La prima traccia, The Revolution Will Not Be Televised, è recitata su una base funk tipicamente anni Settanta. Ma l’incedere delle parole e il basso che scandisce la ritmica poetica ne fanno uno dei primi, “inconsapevoli”, pezzi hip hop della storia. Un rap delle origini che gli appassionati del genere dovrebbero ascoltare e tenere a mente. Il brano richiama le tensioni studentesche del tempo, le proteste, le dure repressioni della polizia e la constatazione amara che la rivoluzione non si vedrà mai in televisione..

You will not be able to stay home, brother
You will not be able to plug in, turn on and drop out
You will not be able to lose yourself on skag and skip
Skip out for beer during commercials
Because the revolution will not be televised
The revolution will not be televised
The revolution will not be brought to you by Xerox
In 4 parts without commercial interruption
The revolution will not show you pictures of Nixon
Blowing a bugle and leading a charge by John Mitchell
General Abrams and Spiro Agnew to eat
Hog maws confiscated from a Harlem sanctuary
The revolution will not be televised
The revolution will be brought to you by the Schaefer Award Theatre and
will not star Natalie Wood and Steve McQueen or Bullwinkle and Julia
The revolution will not give your mouth sex appeal
The revolution will not get rid of the nubs
The revolution will not make you look five pounds
Thinner, because The revolution will not be televised, Brother
There will be no pictures of you and Willie Mays
Pushing that cart down the block on the dead run
Or trying to slide that color television into a stolen ambulance
NBC will not predict the winner at 8:32or the count from 29 districts
The revolution will not be televised
There will be no pictures of pigs shooting down
Brothers in the instant replay
There will be no pictures of young being
Run out of Harlem on a rail with a brand new process
There will be no slow motion or still life of
Roy Wilkens strolling through Watts in a red, black and
Green liberation jumpsuit that he had been saving
For just the right occasion
Green Acres, The Beverly Hillbillies, and
Hooterville Junction will no longer be so damned relevant
and Women will not care if Dick finally gets down with
Jane on Search for Tomorrow because Black people
will be in the street looking for a brighter day
The revolution will not be televised
There will be no highlights on the eleven o’clock News
and no pictures of hairy armed women Liberationists and
Jackie Onassis blowing her nose
The theme song will not be written by Jim Webb, Francis Scott Key
nor sung by Glen Campbell, Tom Jones, Johnny Cash
Englebert Humperdink, or the Rare Earth
The revolution will not be televised
The revolution will not be right back after a message
About a whitetornado, white lightning, or white people
You will not have to worry about a germ on your Bedroom
a tiger in your tank, or the giant in your toilet bowl
The revolution will not go better with Coke
The revolution will not fight the germs that cause bad breath
The revolution WILL put you in the driver’s seat
The revolution will not be televised
WILL not be televised, WILL NOT BE TELEVISED
The revolution will be no re-run brothers
The revolution will be live

L’artista ha pubblicato una quindicina di album in studio più altri live e alcune raccolte, quasi tutti in collaborazione con Brian Jackson, polistrumentista, amico e anima gemella di Scott-Heron per molti anni. Il 7 febbraio 2020 è uscito un nuovo album “firmato” Gil Scott-Heron e Makaya McCraven, batterista jazz di 36 anni, dal titolo We’re new again: a reimagining by Makaya McCraven. Un nuovo modo di presentare la musica di Gil (Makaya ha fatto un grande lavoro di ricerca sonora, sovrapponendo tracce originali a un suo interessante incedere ritmico che fa avvicinare Scott-Heron a un cantante hip hop, a riprova di quanto si diceva prima, con incursioni pesanti nel jazz. Ascoltate Where Did The Night Go, Running o, ancora I’m New Here e giudicate voi.

A questo punto, incuriosito ho fatto qualche salto plurigenerazionale in avanti di 49 anni, spostandomi in Italia dove il rap, la trap, e tutti i derivati di questi generi, sono il sempre più solido corollario del nuovo pop italiano, come sostengono Roberto Cibelli e Giuliano Saglia della Red Music, intervistati un po’ di tempo fa. Tanti giovani aspiranti che si autoproducono, aprendo il loro canale su YouTube nella speranza di sfondare. Ce n’è di tutti i generi, quelli che provano perché “cosa vuoi che sia mettere una base e rapparci sopra” (e vabbè, amen!), quelli che vengono dai “quartieri alti” ma che comunque hanno qualcosa da dire, e quelli delle periferie, che vivono il disagio di essere diversi perché, magari, figli di immigrati, che non si sentono né carne né pesce. Bisogna ascoltarli più e più volte per capirli, poi senti dove c’è sostanza. Il rap è musica, sì, certo, ma è soprattutto testo, comunicazione, sfogo, voglia di spiegare, di urlare al mondo. Ho scelto tre autori che hanno pubblicato due dischi e un brano affatto male nell’ultimo mese e mezzo.

Il 31 marzo scorso Claver Gold e Murubutu rilasciano Infernvm, la loro personale versione dell’Inferno di Dante Alighieri. Rap Intellettuale, ricercato, sia nella musica sia nei testi. L’album è bello, intenso, giustamente cupo, ricco di richiami letterari del Divin Poeta, riadattati alla visione attuale. Raccomandato al cento per cento! I due artisti non sono i soli a seguire questo sentiero del rap. Con loro Rancore, ma anche Cranio Randagio, morto a 22 anni nel 2016, il duo piemontese Uochi Toki tanto per citarne alcuni. Torniamo ad Infernvm: vi propongo di ascoltare quello che, nella storia di Dante è il primo approccio al mondo degli inferi: Caronte.

 

Sì, sì
Sì, sì
Voi non vedrete più il cielo
Io vi porto le tenebre eterne,
Un urlo cieco squarcia il regno dell’eternità
Il timoniero nell’impero delle anime perse
Spinge fiero il vecchio legno nell’oscurità
Fra i dannati mille corpi si spingevano sui bordi
Tutta in riva all’Acheronte stretti a forza in mezzo ai solchi
Appena mille erano a bordo sotto i colpi di Caronte
Gli altri mille erano pronti verso l’Aldilà
Oggi il demonio sull’antico porto
Vanità è storia dell’umanità
Ogni devoto qua ha il suo psicopompo
Divinità ctonia della verità
Ogni anima è foglia che cade nell’ombra
Il nocchiero col remo percuote la folla
D’antico pelo pieno d’astio e di boria
Perché tutto ciò che odia è soprattutto la sua identità
Dove vai, dove vai, dove vai
Dove vai, dove vai, dove vai
Se cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Ed eravamo nudi come appena nati
Soli dove il mondo ci ha dimenticati
Sporchi, raffreddati, tesi e spaventati
Nell’attesa d’esser traghettati, presi e giudicati
Conati, bile, sangue e lacrime si fan vapore
La dura voga del traghettatore peccatore
Un’eco d’onda sopra l’Acheronte fa rumore
Ora è il momento di pregare forte il tuo Signore
Stringevo forte due monete per pagare il pegno
Per pagare il legno, soprattutto per sentirmi degno
Di traversare il fiume nero e poi scordare l’eros
Sono solo un passeggero in fuga verso il nuovo regno
Ed ora vieni, occhi di fuoco, vieni al tuo lavoro
Vieni ancora per fermare il gioco, poi torna per loro
Torna per l’oro sopra gli occhi con i remi rotti
Torna per chi in certe notti si è sentito sempre solo
Se cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole

Il romano Mostro, 26 anni, ha pubblicato il 3 marzo scorso Sinceramente Mostro. Di buona famiglia, Giorgio Ferrario, 27 anni, ha impiegato molto tempo per rielaborare la perdita di un fratello a causa di un incidente stradale. Depressione, adolescenza, sbandamenti, strada in risalita per ritrovarsi. Qui la struggente  Memorie di uno Sconfitto P2: chi dobbiamo essere per essere felici? Si domanda l’artista… E ancora: Cosa faremo poi quando saremo soli e vecchi?

Nasco nel caldo del deserto
Apparentemente tutto calmo, tutto fermo
La sabbia copre il cemento
Non posso camminare, con le mani cerco il vento
Una culla fatta di legno
Fatico a dormire, un pensiero mi tiene sveglio
Mamma mi tiene in braccio, lontano dalla polvere
Ma come tocco terra, capisco che devo correre
Piccoli passi ma veloci, fuggo da incubi feroci
Correndo mi perdo i giochi
Incontro i serpenti, cammelli coi beduini
Cerco almeno di tenere i miei fratelli più vicini
In quella casa, che casini
Corro in salita, sopra le dune
Scorpioni sui miei vestiti, ‘fanculo le mie paure
Da qui vedo le strade, non mi posso fermare
Quei piccoli passi ora sono delle falcate
Ma l’adolescenza è una tempesta, la sabbia si fa asfalto
Imparo a soffocare la rabbia dentro a un pianto
Chi scappa, qua è solo un codardo
Ma io non scappo, io sto cercando
Io continuo a correre, supero anche i miei amici
Corri in mezzo agli autobus, nel traffico, fra tutti gli edifici
Mi allontano ad ogni passo, sguardo basso ed occhi grigi
Chi dobbiamo essere per essere felici?
Ma a vent’anni nella giungla, sfreccio nella foresta
Tu non puoi fermarmi, spacco i rami con la testa
Ho il cuore più duro, sicuro, di una corteccia
Non sono un uomo, sono un’arma, io sono una freccia
E mi dimentico gli affetti, corro a denti stretti
Perché ho troppa paura che la vita non mi aspetti
Cosa faremo poi quando saremo soli e vecchi?
Resto il più bello di tutti in una stanza senza specchi
Le fughe dalle pantere, gufi e le lune piene
Qui è dove le bestie mangiano le tue preghiere
Mi volto un’ultima volta, vedo mio fratello cadere
Solo un altro passo e sono immerso nella neve
Ma tu lo sapevi che è vero
Che i sogni più grandi sono fatti di vetro
Feci un respiro e decisi che non mi sarei guardato più indietro
Per la prima volta io non so come rialzarmi
Nessuno può trovarmi o lanciarmi una corda
Il ghiaccio che mi blocca, il cuore come gli arti
Non mi farà più scrivere, mi chiuderà la bocca
Basta poco, uno schiocco di dita
Fuori il gelo, però dentro io scoppio di vita
La mia fine non è ancora questa
Vuol dire che corro, corro al doppio di prima
E sono fuori io da solo, nudo nella bufera
Sopravvissuto a tutto, lupo della Siberia
Ho camminato a lungo, fino ai piedi di questa montagna
Pensavo solo “Ora non posso non farcela”
Dio mi guarda e dice solo “Dove vai?”
Troppo scivolose le suole delle mie Nike
Mentre mi avvicino al sole gli urlo forte “Ora vedrai”
Non sarò come la neve perché io non cadrò mai
Ventisette, sono in cima, sorrido per l’impresa
Davanti a una discesa, che mi porta ad un’altra salita
Da qua sopra che apprendo il senso di questa vita
La mia meta è una ricerca che non è finita
Una bufera si avvicina, è vero
Ma pare come un amico, il tramonto dietro la crina
Io metto tutto quanto in una rima
E vado alla conquista della mia vita
Vediamo chi arriva prima

Il milanese Maruego, 27 anni, origine marocchine, una vita movimentata, ha camminato  alcuni anni con Ghali con cui ha iniziato a cantare, contribuendo a portare la trap in Italia. Le loro strade poi si sono divise. Un inizio con buoni singoli, nel 2017 il primo album Tra Zenith e Nadir. Il 3 aprile, pubblica il singolo La vie en rose Nel testo della canzone non manca una citazione: si tratta di uno dei versi più famosi della storia del rap italiano, quello di Neffa nel pezzo Lo straniero dei Sangue Misto: «Io quando andavo a scuola da bambino la gente nella classe mi chiamava marocchino…».

Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera
E quando andavo a scuola da bambino
la gente della classe mi chiamava marocchino,
vucumprà torna da dove sei venuto
io salgo sopra il podio da abusivo
muto, chico, sto su un marciapiede con la shisha
i miei partiti quando c’era un shh dentro al frigo
fumo per Milano come fosse mia
oh bella Madonnina, lo sai te quiero mucho
io sto per strada come un’intifada in guerra con la clava
e non mi andava ma in carovana non avevo nada
e lei danzava sì con il ventre proprio come un cobra
e mi son perso tra le sue curve dune del Sahara
Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera
Da marocchin, Kho a Maru il king
In culo alla routine
Spetta a te se essere un se
O essere un sì
Ora che MC co-copia MC, come col Canta Tu
Contento te se pensi che ti bastasse l’autotune
E dammi un beat che li lasci in peace
Che li manda in tilt
Senti un click, baby, è la mia bic
Io il mujaeden
Questo flow non conosce stop
Non conosci il team
Senti “boom” come giù a Kabul
Se veniamo lì
Questa merda mi entra dentro come un virus
Si insidia come iblis
Infine poi ti investe come un Urus
Ho pregato Dio, fra’, per una nuova chance
Mi son visto allo specchio, ero io l’escamotage
Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera