Musica e natura/ Liberi come falchi? Forse, ma…

Ho un collegamento giornaliero a cui non rinuncio. Pensate pure che sia naïf o freak, però, seguire la nascita e la crescita di tre esemplari di falchi pellegrini, nati in cima al tetto del Pirellone, uno dei simboli di Milano, è stato, ed è, rigenerante in un momento particolare come quello che stiamo vivendo.

I tre piccoletti sono figli di Giò e Giulia, due magnifici esemplari di Falco “peregrinus”, chiamato così perché il colore delle piume in testa li fa assomigliare ai cappucci usati dai pellegrini in altri secoli, e battezzati così in onore di Giò Ponti, l’architetto che ha progettato il Pirellone, e della di lui moglie.

Fantasie a parte, la coppia è stata avvistata tre anni fa durante i lavori di ristrutturazione del tetto del palazzo. Qualcuno in Regione ha fatto costruire un nido e ci ha messo una webcam per seguire la vita di questa famigliola ignara di trovarsi in un Big Brother per pennuti.

Permettetemi un’altra precisazione sul rapace in questione, alla stregua dei freddi elenchi di prestazioni di una supercar: velocità massima 320 km/h, apertura alare fino a 120 cm, lunghezza fino a 58 cm, visibilità garantita, tre chilometri.

Detto ciò, vi domanderete se siete atterrati per sbaglio in un blog per aspiranti ornitologi. Il punto è che la vista da lassù, l’arrivo della madre che porta il cibo a questi tre, che ormai appaiono ogni giorno che passa sempre più dei robusti giovanotti/e pronti/e a spiccare il volo, stimola riflessioni. In questo momento anche noi ci troviamo nel nostro nido, tentiamo di riaffacciarci al mondo, cerchiamo la libertà del poterci librare di nuovo in aria, ci sentiamo pronti a spiccare il volo di nuovo… eppure restiamo ancora immobili e impauriti, soprattutto a Milano dove pare che il virus non voglia mollare (molto per colpa dei nostri comportamenti). Proprio oggi il sindaco Beppe Sala nel suo quotidiano dialogo via Instagram s’è lanciato in una dura reprimenda contro chi pensa che tutto sia passato, mettendo in pericolo la città – il riferimento è al caos dei Navigli, presi ieri pomeriggio d’assalto in stile movida da happy hour.

Ritorno ai tre amici alati e a una canzone che mi viene naturalmente in testa, Three Little Birds, di Bob Marley & The Wailers dall’album Exodus (1977), disco dirimente nella storia del reggae e dell’artista. Sarà il levare del ritmo, il carisma del leggendario interprete, il sole che oggi lotta tra le nuvole per uscire, ma c’è quel senso di speranza e allegria che ti pervade quando Bob intona:

 

Rise up this mornin’,
Smiled with the risin’ sun,
Three little birds
Pitch by my doorstep
Singin’ sweet songs Of melodies pure and true,
Sayin’, (“this is my message to you-ou-ou:”)
Singin’: “don’t worry ‘bout a thing,
‘Cause every little thing gonna be all right.”
Singin’: “don’t worry (don’t worry) ‘bout a thing,
‘Cause every little thing gonna be all right!”…

Il reggae aiuta lo spirito, ti ben dispone e se poi ci sono tre “little birds” che ti rassicurano cinguettando che andrà tutto bene nelle tue piccole cose della vita, every little thing gonna be allright, accogli il messaggio di ottimismo e decidi di farlo tuo, osservando i tre falchetti, ormai adottati via web, che sembrano sempre più dei polli con il becco ricurvo.

Ma quando, inevitabilmente, ripiomba la preoccupazione e nemmeno Bob riesce a colorala, allora vale la pena di seguire il consiglio di Emilíana Torrini, l’artista italo-islandese che, nella sua Birds (dall’album Me and Armini del 2008), avvolgente folk psichedelico, canta la speranza:

Lend me yours wings
And teach me how to fly
Show me when it rains
The place you go to hide

(Prestami le tue ali, insegnami a volare, mostrami, quando piove, il luogo in cui ti rifugi…). 

La metafora della mia/nostra possibile (forse, un giorno) libertà continua, anzi, trova una delle sue maggiori espressioni in Neil Young, con la sua Birds contenuta nel bellissimo album After The Gold Rush (1970): piano e voce per parlare di oggi e domani. Today e Tomorrow si altalenano nel brano,  precipitandoti, oserei, sul filo della depressione, facendoti però riflettere su quello che siamo diventati, uomini e donne  confusi, Feathers fall around you piume che che perdiamo e ci impediscono di “volare”.

La presa di coscienza “Younghiana” si riflette nelle parole di Sia, cantautrice  pop australiana, nel suo Bird Set Free (da This Is Acting del 2016): I Struggle to fly now, oh/ But there’s a scream inside that we all try to hide (Sto cercando di volare ora, ma c’è un grido dentro che tutti cerchiamo di nascondere), per poi riuscire a liberarsi dell’ansia con un urlo: I shout it out like a Bird set free (Grido forte come un uccello liberato).

In questi giorni, molti artisti si sono cimentati e si stanno dedicando a registrazioni o dirette streaming, per mantenere un diretto contatto con il pubblico ma anche per ingannare la quarantena. Dall’altra parte dell’oceano lo stanno facendo più che mai, essendo “lucchettati” a casa. Come John Legend, o Chris Martin: il frontman dei Coldplay  è diventato, sempre su Instagram, una sorta di juke box, suonando i brani che i fan gli chiedevano di cantare.

Una delle esibizioni “in quarantine” che ho più apprezzato è stata quella di Sheryl Crow, di un paio di giorni fa: al piano ha interpretato Beware The Darkness, uno dei brani più sentiti di George Harrison dall’album (da riascoltare!) All Things Must Pass, fatto uscire nel novembre del 1970, pochi mesi dopo lo scioglimento dei Beatles. Vi lascio il testo, così potete cantarlo con Sheryl. Un atto di libertà in attesa della libertà!

Watch out now, take care
Beware of falling swingers
Dropping all around you
The pain that often mingles
In your fingertips
Beware of darkness
Watch out now, take care
Beware of the thoughts that linger
Winding up inside your head
The hopelessness around you
In the dead of night
Beware of sadness
It can hit you
It can hurt you
Make you sore and what is more
That is not what you are here for
Watch out now, take care
Beware of soft shoe shufflers
Dancing down the sidewalks
As each unconscious sufferer
Wanders aimlessly
Beware of Maya
Watch out now, take care
Beware of greedy leaders
They take you where you should not go
While Weeping Atlas Cedars
They just want to grow, grow and grow
Beware of darkness

Anche la pandemia da covid19 ha il suo… Live Aid

Dunque ci siamo, il 18 aprile – fuso italiano le 2 del mattino – anche la pandemia da covid19 avrà il suo “Live Aid concert”. Organizzato da Lady Gaga che ne ha lanciato l’idea, subito raccolta dalle grandi rockstar del pianeta, si chiamerà One World: Together at Home. Tra i musicisti che hanno dato la loro adesione oltre a Lady Gaga, Sir Paul McCartney, Elton John, Andrea Bocelli, Alanis Morisette, Chris Martin dei Coldplay, Billie Joe Armstrong, frontman dei Green Day, Lizzo, Billie Eilish, il grande Eddie Vedder dei Pearl Jam, Steve Wonder… Un evento insolito rispetto a quelli dello stesso genere organizzati nel corso degli anni, come ricordato qui sotto.

Ogni artista starà, ovviamente, chiuso nella sua abitazione/studio/giardino da dove si esibirà. “Insieme a casa”, promette l’incipit dell’evento. Per il resto potremmo immaginarcelo come uno show stile Live Aid, considerato il maggior concerto rock di sempre, organizzato da Bob Geldof per raccogliere fondi contro la fame in Eritrea, tenutosi in successione satellitare, il 13 luglio 1985, al Wembley Stadium di Londra e al John F. Kennedy Stadium di Philadelphia. Fu quello che portò nell’Olimpo degli Intoccabili i Queen con la loro spettacolare esibizione: l’ingresso cinematografico allo stadio di Wembley di Freddie Mercury – incarnato da Rami Malek – visto di spalle nel film Bohemian Rapsody, è uno dei più bei momenti di cinema degli ultimi anni, ma rappresenta anche la tensione e il pathos di quel momento. 

Qui sarà diverso, un grande evento musicale senza pubblico, nada di folle oceaniche, nessun contatto fisico, tutto rigorosamente oltre il metro, tutto affidato alla mente, alla capacità di coesione, ai sentimenti, all’unità, alla percezione che il mondo dopo la pandemia non sarà più lo stesso, che la normalità di prima non sarà più la normalità di domani.

L’altra sera Ra5 (che dio la benedica!) ha ripreso da una delle teche Rai il concerto poi diventato film The Concert for New York City, organizzato da Paul McCartney per la città New York, in ginocchio dopo l’attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Un concerto, sempre di beneficenza, dedicato soprattutto ai Pompieri e alla Polizia cittadina che hanno sacrificato molte vite per salvare più persone possibili in quel terribile disastro. Il mega show è “andato in onda” il 20 ottobre sempre dello steso anno, al Madison Square Garden. Belle le sequenze di Paul, dietro le quinte mentre segue le esibizioni dei vari artisti (allora furono proiettati anche docufilm, testimonianze di registi famosi da Martin Scorsese a Woody Allen a Spike Lee), le visite in camerino di amici e rockstar come James Taylor, i loro ricordi di giovani musicisti quando James, poco più che ragazzo, condivideva con Paul, allora nei Beatles, lo stesso mitico studio di registrazione – a lui toccava registrare la sera, quando i Fab Four avevano terminato il loro lavoro -, l’arrivo di Bill Clinton che confessa a Taylor quanto gli manchino le loro escursioni in barca, l’abbraccio con Elton John, l’esibizione brillante di Mick Jagger e Keith Richards, quella degli Who, di Eric Clapton, Sheryl Crowe, David Bowie, dei Bon Jovi, diventato un album e anche un film. Altra parentesi: bello l’incontro del baronetto con i pompieri, che ringrazia ricordando come anche suo padre in gioventù fu un fireman

Questo, come il Live Aid o altri concerti “benefici” è uno degli esempi di come la musica riesca sempre ad accendere anime e menti, a rendere sensibili, coinvolgere le persone attraverso un’arte condivisa. La musica arriva ovunque, è un veicolo di forza, fiducia, sogni, amore, utile in un momento di grande sconforto e apparente impotenza com’è oggi.

Gigi Radice, un mio caro amico, ieri mi ha ricordato, in questi mesi di “separazione forzata”, l’esistenza di un link, una produzione della Playing For Change Foundation – fondazione che si prefigge di diffondere la cultura musicale nei ragazzi in difficoltà con progetti ultranazionali – realizzata nel settembre del 2019, in tempi non sospetti, dunque!, con grandi musicisiti del rock blues internazionale, da un’idea di Robbie Robertson e Ringo Starr per celebrare i 50 anni dall’uscita di The Weight, canzone simbolo del gruppo canadese The Band, contenuta nel loro primo album Music From Big Pink, di cui Robbie faceva parte. Un brano straordinario, usato nelle colonne sonore di film, ripreso da un’infinità di musicisti, insomma, un’icona della musica e della controcultura americana. Ascoltatelo e vedetelo questo video dove partecipano 21 musicisti, c’è anche Roberto Luti, bluesman livornese di grande bravura, Char, uno dei migliori chitarristi rock giapponesi, l’hawaiana Taimane, esperta di ukulele, il nepalese Rajeev Shrestha genio del sitar, le sorelle Rebecca e Megan Lovell, in arte Larkin Poe (di loro ne ho parlato in quest’altro post) registrati in dieci paesi diversi – America, Italia, Giappone, Inghilterra, Congo, Barhein, Spagna, Argentina, Nepal, Jamaica – per cinque continenti.

Per molti, un ritorno al passato, per i più giovani un sano, robusto rock blues reinterpretato con gli strumenti più vari, a dimostrazione che la musica è musica che si faccia con una chitarra o un sitar, con la voce o con un tamburo. Musica che unisce a dispetto della cultura d’origine e del linguaggio usato sulle sette note. A vederlo ora, in piena quarantena, è un inno alla resistenza… Qui il testo, per cantarlo insieme in questo lungo abbraccio di note…

I pulled into Nazareth, was feelin’ about half past dead
I just need some place where I can lay my head
Hey, mister, can you tell me where a man might find a bed?
He just grinned and shook my hand, “no, ” was all he said
Take a load off, Fanny
Take a load for free
Take a load off, Fanny
And (and) (and) you put the load right on me
(You put the load right on me)
I picked up my bag, I went lookin’ for a place to hide
When I saw Carmen and the Devil walkin’ side by side
I said, hey, Carmen, come on let’s go downtown
She said, “I gotta go, but my friend can stick around”
Take a load off, Fanny
Take a load for free
Take a load off, Fanny
And (and) (and) you put the load right on me
(You put the load right on me)
Go down, Miss Moses, there’s nothin’ you can say
It’s just ol’ Luke and Luke’s waitin’ on the Judgment Day
Well, Luke, my friend, what about young Anna Lee
He said, do me a favor, son, won’t you stay and keep Anna Lee company?
Take a load off, Fanny
Take a load for free
Take a load off, Fanny
And (and) (and) you put the load right on me
(You put the load right on me)
Crazy Chester followed me and he caught me in the fog
He said, I will fix your rack, if you’ll take Jack, my dog
I said, wait a minute, Chester, you know I’m a peaceful man
He said, that’s okay, boy, won’t you feed him when you can?
Yeah, take a load off, Fanny
Take a load for free
Take a load off, Fanny
And (and) (and) you put the load right on me
(You put the load right on me)
Catch a cannon ball now to take me down the line
My bag is sinkin’ low and I do believe it’s time
To get back to Miss Fanny, you know she’s the only one
Who sent me here with her regards for everyone
Take a load off, Fanny
Take a load for free
Take a load off, Fanny
And (and) (and) you put the load right on me
(You put the load right on me)

Due marzo, quattro compleanni per altrettanti rocker

Sono solo coincidenze, ma… oggi, 2 marzo, sono nati quattro artisti che, in modo diverso, hanno dato e stanno dando, un contributo determinante alla declinazione del genere rock. Sto parlando di Lou Reed (andatosene, purtroppo 7 anni fa), Mark Evans, Jon Bon Jovi e Chris Martin. Tutti venuti al mondo lo stesso giorno, il primo nel ’42, il secondo nel ’56, il terzo nel ’62 e il quarto nel ’77. Tra due giorni, il 4 marzo (era il 1943), ricorre anche l’anniversario della nascita del nostro mitico Lucio Dalla, morto a Montreux il 1 marzo del 2012, otto anni fa. La vita dell’artista bolognese s’è accesa e spenta a marzo. Marzo, dal latino Martius, era il mese dedicato a Marte, il dio della guerra, padre di Romolo e Remo, dunque protettore di Roma e dell’Impero romano. Marzo è sinonimo anche di pazzia, “essere nato a marzo” significa avere un carattere tosto, irrequieto, volubile. E gli artisti in questione, incluso Lucio, rispettano in pieno lo spirito di questo mese.

Lou Reed, nato, cresciuto e spentosi nella sua New York, una giovinezza difficile – a causa della sua bisessualità a metà degli anni ’50 fu sottoposto ad elettroshock – cantore dei bassifondi della Grande Mela è colui che ha dato una sterzata al rock com’era concepito in quel periodo. Per molti versi è um precursore del punk per il suo modo graffiante di suonare la chitarra, la voce volutamente monocorde, il suo modo di apparire sul palco, giubbotto di pelle nera e occhiali Rayban. Con i Velvet Underground & Nico, nel loro primo disco, regala al rock uno dei suoi “anthem”: I’m Waiting for The Man. Nella sua turbolenta e creativa vita Lou conosce e collabora con John Cale, Andy Wharol, Iggy Pop, David Bowie, l’Underground è il suo nido e lo sarà sempre in cerca di nuove forme d’arte, mai cristallizzarsi in un genere. L’incontro sentimentale e musicale con Laurie Anderson, compositrice d’avanguardia, speculare a lui in tutto e per tutto, lo porterà a percorrere strade complesse nella musica e a produrre pezzi marcanti, come In Our Sleep (1994), dove Lou e Laurie raccontano la loro storia d’amore, coinvolgente intesa in un brano minimal, essenziale nella musica e nelle parole: In our sleep as we speak, Listen to the drums beat, As we speak, In our sleep as we speak, Listen to the drums beat, In our sleep, In our sleep where we meet, In our sleep where we meet.

Il nome di Mark Evans potrà non dire molto a qualcuno, ma il sessantaquattrenne signore di Melbourne è stato per due anni, dal 1975 al 1977, il bassista degli AC/DC. Fu licenziato da Angus per divergenze sullo stile della musica dopo la tournée in Europa, in Germania fu l’ultimo concerto con la band, ma anche perché il suo successore, Cliff Williams, oltre a suonare il basso, sapeva anche cantare. Mark, che nel 2011 ha pubblicato un libro autobiografico sulla sua storia inclusi gli anni passati nella famosa band, Dirty Deeds: My Life Inside & Outside of AC/DC, continua a suonare; dal 2017 è entrato nei Rose Tattoo, storico gruppo australiano di hard rock capitanato da Angry Anderson. Ascoltiamo qui gli AC/DC con Mark in Let There be Rock.

E arriviamo a Jon Bon Jovi, vero nome, John Francis Bongiovi Jr. Di lui le cronache hanno parlato proprio un paio di giorni fa, quando il rocker, nato nel New Jersey da padre di origini italiane (i nonni erano siciliani), s’è incontrato negli studi di Abbey Road a Londra con il principe Harry per registrare un brano a scopo di beneficenza. Jon, 57 anni, è da sempre uomo impegnato politicamente e socialmente. Con i Bon Jovi, suo storico gruppo, Jon rilascerà il 16esimo album in studio della band dal titolo Bon Jovi 2020 il prossimo 15 maggio. Per ora ascoltiamo Limitless.

L’ultimo in ordine di anno di nascita è Chris Martin, il frontman dei Coldplay. Che dire di Chris e della sua band? Navigano in acque alterne, dal pop rock alla disco, al rock. Il loro ultimo lavoro, Everyday Life mi è piaciuto molto. Chris tuttofare, gioca con la musica e con i generi, è maturato e si sente. Come dimostra anche lo spin off di Everyday Life rilasciato il 21 febbraio assieme a Jonny Buckland, chitarrista del gruppo. Si tratta di una versione “acustica” di tre brani del disco, BrokEn, Champion of the World e Cry Cry Cry (quest’ultimo brano, in versione originale, è stato anche “tradotto” in video con la regia di Dakota Johnson e Coirey Bailey). Tutti e tre “reimagined” con due membri in meno della band, un gruppo di archi e tre coristi in più.  Ascoltiamo insieme BrokEn.