Francesco Pergola, 23 anni, da Avellino. A parlarci insieme ha l’eloquio di un uomo di mezza età, maturo, consapevole e le idee di un artista che ne ha viste tante nella vita. Vi confesso che è stato uno degli incontri più interessanti e profondi che abbia avuto in questi ultimi tempi. Il motivo? Il 15 giugno scorso ha pubblicato il suo primo disco della sua seconda vita, Stream!, dieci brani per 42 minuti d’ascolto. Un classico LP, con due ipotetici lati, il primo, che chiameremo per comodità Lato A, è un concentrato di ricerca interiore, profonda, espressiva, senza sconti. Nell’altra facciata, il Lato B, i brani escono e fluiscono nei vari aspetti della vita, per creare, appunto, come dice il titolo, un flusso di idee, pensieri, note, parole.
Dedito alla musica elettronica e al clubbing, questo ragazzo sì è trovato a 19 anni ad abbandonare quel mondo per entrare in un nuovo pianeta, quello della musica dell’anima, con cui è cresciuto, Blues, Rock, Prog, Jazz, Pop, Funk. E nemmeno ventenne è entrato, per pura determinazione, negli studi della Real World a Box, nella contea di Wiltshire, per registrare un paio di brani di questo lavoro. Lì ha conosciuto tanti musicisti legati al mondo dell’etichetta e di Peter Gabriel (uno dei suoi miti assoluti: Stream che apre il lavoro, è un omaggio totale al geniale artista inglese), gente con il triplo abbondante dei suoi anni con cui ha stretto solidi legami di collaborazione e amicizia. «Può sembrare una cosa molto pretenziosa, ma volevo costruire un progetto di grande credibilità artistica e coinvolgere artisti, musicisti che mi hanno sempre affascinato tantissimo», mi racconta Francesco».
Come sei arrivato in Real World?
«Sono stato molto, molto sfacciato! C’è da dire che, essendo degli studi di registrazione, prenoti delle sessioni e vai… Senza farmi troppe domande, era il 2021, ho mandato una mail a Lisa Marton, la manager degli studi, per vedere se ci fosse la possibilità di fare alcune sessioni, mi ha risposto di sì, è stato semplice, abbiamo trovato un buco libero nel periodo di novembre, tra l’altro in un momento in cui c’erano anche tanti altri artisti che partecipavano a sessioni di registrazione, e sono partito. La cosa più bella è stata incontrare molti musicisti, tutti inglesi, che stavano lavorando. In questo effervescente calderone ho incontrato Chris Hughes, storico produttore dei Tears for Fears, mi ha dato una mano a concretizzare le prime canzoni».
Hai conosciuto anche Simon Phillips e Lenny Castro, se non sbaglio!
«È successo tutto dopo. In Real World abbiamo fatto due canzoni, Dove il sogno va e A presto e un brano ambient, elettronico che però alla fine è stato scartato dalla tracklist finale. Sono entrato in Real World con la voglia di fare questo genere di musica, che poi, appunto, è nel disco, quindi qualcosa che si avvicinasse alle produzioni dei miei miti assoluti, che sono appunto Peter Gabriel, Claudio Baglioni, Michael Jackson, i Toto, Bob Seger, comunque artisti di diverse estrazioni. Volevo concentrarmi sulla musica suonata, lavorare con i musicisti che ho sempre stimato e amato. Così, quando mi sono accorto di avere un bel po’ di brani, ho deciso di finalizzare le registrazioni e per farlo, oltre ai ragazzi della mia band, tutti giovanissimi, talentuosissimi e della mia terra, ho aggiunto un’altra fetta di musicisti Simon Phillips, Lenny Castro, Tony Franklin, Chicco Gussoni, Alessandro Tomei che è il sassofonista di Baglioni. Poi ci sono ingegneri del suono importanti, come per esempio Ted Jensen che ha curato il master. Mano a mano che scrivevo, condividevo con loro, ed è nato uno scambio: Lenny Castro ha partecipato a cinque brani del disco, Sam Phillips l’ho conosciuto al Blue Note di Milano quando è venuto a suonare con i suoi Protocol… È stato molto bello, un valore aggiunto che poi mi ha permesso di imparare tanto».

La cover di “Stream!”
Qual è il tuo background?
«Non ho una preparazione accademica, non ho frequentato il Conservatorio, ho studiato sempre da privatista. La mia principale formazione è stata sui dischi, sull’ascolto. La musica bisogna farla ma anche ascoltarla, viverla, capirla, senza farsi troppe domande. Ci sono tantissimi lavori che mi hanno segnato nel profondo per la composizione in generale, ad esempio penso spesso a Oltre di Baglioni, un disco dove c’è tutta un’architettura musicale, soprattutto di dettagli, che che lo rendono unico. Così come So di Peter Gabriel e potrei citartene altri mille che mi hanno influenzato su molteplici aspetti. Poi mi sono sempre concentrato sullo studio della chitarra che è il mio strumento principale, spesso le canzoni nascono da lì».
Nel mainstream attuale non è che la tua musica c’entri molto (e per fortuna!)…
«Secondo me in Italia su questo tema abbiamo un grosso problema, il potere dell’arte viene sottovalutato, e non c’è niente di peggio, visto che la politica e il prodotto artistico che esce dalle varie generazioni sono lo specchio di quel determinato tempo. Oggi abbiamo una grande crisi culturale, sociale e di conseguenza tutto ciò si riflette anche nella musica, diventata semplice consumo, prodotti fast food, brani da sentire per intrattenimento dove non esiste una ricerca sonora, né lessicale né letteraria, dove non c’è sperimentazione e nemmeno innovazione. Sin da piccolissimo, grazie ai miei genitori, mi sono legato alla musica che continuo ad ascoltare oggi: mio padre mi ha sempre messo davanti a un televisore a guardare i Dvd dei grandi concerti. Dal Blues, il mio primo grande amore musicale, Buddy Guy, Robert Cray, B.B. King, Eric Clapton, ai Beatles, a Paul McCartney con il suo Live in Red Square, al Live in Bucarest di Michael Jackson, e ancora ai concerti di Peter Gabriel, Baglioni, Prince, Bryan Adams… Tutti ascolti che inevitabilmente mi hanno segnato, sono rimasti nel mio inconscio. Per me ascoltare questa musica è la quotidianità, mi rendo conto che sono delle scelte, chiamiamole diverse, rispetto a quelle che può prendere un mio coetaneo che fa lo stesso mio mestiere».
Sei orgogliosamente un indipendente, perché?
«Oggi è una continua guerra su chi fa più numeri, chi fa più stream, chi fa più quello chi fa più quell’altro… Parliamoci chiaramente, a meno che non fai dei numeri abnormi di ascolti, tutto ciò non vale assolutamente niente. Entri nel cuore della gente, le persone si appassionano alla tua causa artistica? Boh! Dov’è quell’investimento che sta alla base della produzione per poter guardare in maniera più lungimirante? Per questo sono rimasto indipendente, mi sono fatto la mia etichetta discografica dove investo nei miei progetti e posso seguire cose diverse. Insomma, finché ho la forza e la possibilità voglio crederci.
Qual è il filo conduttore di Stream!?
«Il sogno, narrato tramite un percorso che è sempre un qualche cosa di difficoltoso, complesso. Credo sia la vita stessa, alla fine questo disco parla di uno spaccato di vissuto, cerca di indagare dove può arrivare quel sogno. È una strada difficile piena di interrogativi, principalmente esistenziali, legati anche a una questione sociale, c’è una forte indagine globale da questo punto di vista. Ci sono brani di carattere emotivo personale, prendi Via da me, e altri di carattere più sociale e politico come Terra di utopia, che si pongono degli interrogativi forti ai quali forse non c’è risposta. Però, la cosa importante è porsi queste domande che ti permettono poi di indagare e di continuare a cercare un qualcosa in più dalla vita. C’è un’ambivalenza fra le due strade ma alla fine coincidono perché, è un altro aspetto di quest’album, nasce dalla solitudine nel mio studio a casa, con i miei strumenti. È stato un processo compositivo che ha incontrato prima i musicisti che lo hanno arricchito, rendendolo quello che è oggi, e quindi gli ascoltatori, un flusso di partecipazione crescente».
Dunque il tuo obiettivo è…
«…Accompagnare l’ascoltatore in un piccolo viaggio musicale dove ci sono tutte le mie contaminazioni artistiche – dal Rock al Pop, dal Funk al Blues fino alla musica più elettronica ma soprattutto alla World Music, per definizione una contaminazione generale, una ricerca che mi ha appassionato moltissimo. È un lavoro molto sentito, personale. Io ci sono in tutte le canzoni, tutto quello che senti è una completa visione mia, senza filtri. Ho cercato di dire tutto nella maniera più diretta possibile, senza lasciarmi vincolare da altri fattori esterni».
In questa tua visione del mondo continui a vivere ad Avellino, non sei venuto a Milano o a Roma per “far musica”. Il mondo è lì dove sei nato!
«La terra utopica alla fine forse è proprio l’Irpinia, il territorio intorno ad Avellino è il mio grande rifugio, il luogo dove passo le giornate in mezzo alle campagne e ai colli a scrivere. Questa terra è talmente radicata in me che è difficile da lasciare, non ho voglia di andarmene, anche perché qui sono in una condizione ideale per scrivere, ho il mio studio, i miei collaboratori più stretti… si è creato una sorta di piccolo ecosistema artistico dove posso lavorare in grandissima tranquillità. Poi, è ovvio che bisogna spostarsi a Milano per promuovere il disco e quant’altro, ma alla fine Milano è solo a quattro ore e mezza di treno da qui!».