Terra senza terra: il ritorno di Ilaria Pilar Patassini

Ilaria Pilar Patassini – Foto Paolo Soriani

Antefatto in Do minore. È un buon inizio per un racconto in musica, storia in cui si intersecano tanti personaggi. Il piccolo Tancredi, l’amico Pierre, discografico illuminato morto troppo presto, gli amanti di Architetture Lontane di Paolo Conte, la funambola Maria Spelterini, Tzia Gavina Puggioni, anziana e saggia donna sarda. Vicende che profumano di mare e anelano alla terra, che reclamano riflessioni profonde su cosa siamo diventati e dove vogliamo dirigerci. 

Antefatto in Do minore è una ninna nanna per sola voce così coinvolgente e ricca che staresti ore ad ascoltarla in loop. Terra senza Terra è l’album che la contiene, uscito per Parco della Musica Records pochi giorni fa, firmato da Ilaria Pilar Patassini. Di lei vi avevo già parlato nel febbraio dello scorso anno, fu una lunga intervista. Ilaria è tornata con due dischi pubblicati nel giro di pochi mesi, Italia Folksongs con Daniele Di Bonaventura e la sua Band’Union (ve lo consiglio, recuperare la musica popolare è un atto rivoluzionario di ricordo) e ora con Terra Senza Terra, disco che ha scritto con il chitarrista Federico Ferrandina con cui ha un solido e proficuo legame artistico da una decina d’anni.

Un lavoro complesso – con Patassini non può essere altrimenti – dove alla musica con oscillazioni tra jazz, cameristica e cantautorato raffinato si aggiungono testi efficaci, poesie, riflessioni, provocazioni. Il tutto per un mix emotivo dove c’è spazio per la tristezza e l’allegria, dove il pianoforte di Roberto Terenzi e la chitarra di Federico Ferrandina disegnano pennellate di colore per esaltare la voce calda e potente di Ilaria, come In tempo di pace, brano che ricorda il son cubano con accelerazioni e decelerazioni improvvise da manuale. È stata una anziana signora sarda a ispirarla,Tzia Gavina Puggioni: «Mi è capitato di ascoltarla in un’intervista realizzata qualche anno fa da Videolina (la televisione sarda). All’epoca era già novantenne, non si era mai spostata dal suo borgo di nascita, Lollove, vicino a Nuoro, eppure dava risposte lucide e taglienti sulla società dei consumi: se esiste crisi economica è anche perché “si cerca pane migliore di quello fatto col grano”», ricorda Ilaria. Con Niagara si entra in una malinconica bossa che ricorda le atmosfere di quel magico disco che fu Fina Estampa di Caetano Veloso. Lo spunto del brano è Maria Spelterini, una funambola italiana, la prima e forse l’unica donna ad aver attraversato le cascate del Niagara, nel 1876. «Il concetto di funambolo vale per tutte le donne che si devono districare tra mille cose ogni giorno», mi dice.

E se il brano che dà il titolo al disco, Terra senza terra si esprime in un lirico voce e pianoforte, Il passo indietro dell’amore segue l’imprinting del crescendo rossiniano con il Quartetto dei Solisti Lucani (Fabiola Gaudio e Brunella Cucumazzo al violino, Annamaria Losignore alla viola ed Enrico Graziani al violoncello) a lavorar d’archi fino a un’esplosione che Ilaria definisce «punk» con una chitarra elettrica molto rock, per andare a sfumare in una leggiadra ripetizione cameristica affidata al quartetto…

L’ultimo tuo lavoro, Luna in Ariete, uscito nel 2019, lavorava sulla dualità dell’uomo, in Terra senza terra ci sono più punti vista, l’orizzonte s’è allargato…
«È una storia nata da un accumulo di voci, ringrazio l’etichetta Parco della Musica Records che mi ha dato quasi carta bianca. Sono 11 tracce selezionate e lavorate con Federico Ferrandina. Abbiamo un rapporto conoscitivo reciproco, la pensiamo allo stesso modo, facciamo le nostre discussioni ma è un confronto sempre costruttivo».

Terra senza terra è quasi un brano profetico con tutto quello che sta succedendo, le inondazioni in Emilia, le grandi migrazioni forzate, non trovi?
«Terra senza terra è un brano per me prezioso. Federico Ferrandina lo ha pensato apposta per il pianismo di Roberto Terenzi. È una constatazione di ciò che sta accadendo ma anche un mio stato d’animo. Vivo tra Roma e Alghero, mi sono sempre sentita un’apolide, sono aria e acqua, appartengo agli elementi fluidi, riottosa persino a mettere il mio nome su un campanello. È quello stato di puer eterno, quel limbo esaltato dalla società liquida descritta da Bauman, dalla globalizzazione. Rifletto molto su questo e sono convinta che sia una difficoltà mia ma anche di tutta la generazione di mezzo a cui appartengo, impreparata alla transizione tra la società analogica del Novecento e quella digitale, condannata a una precarietà che predispone a una vita all’arrembaggio. Poi, i fatti di questi giorni in Emilia sono una dimostrazione di quello che l’uomo sta facendo, cioè sottraendo terra alla terra. Ciò lo possiamo applicare anche i migranti in fuga da violenze e fame: siamo tutti alla disperata ricerca di un altro alfabeto, così da un lato viviamo una materializzazione e dall’altro, per fortuna, abbiamo l’istinto di conservazione che ci guida»

Antefatto in do minore pur non avendo parole ma canto libero dice molto…
«È una ninna nanna che mi sono inventata per mio figlio Tancredi, un canto a cappella, un prologo a quello che narro nel disco ma anche il filo conduttore con l’album precedente Luna in Ariete. Ho chiuso una porta e ne ho aperta un’altra».

In Chance ti sei ispirata da una canzone di Paolo Conte!
«Sì, Architetture lontane, da quel meraviglioso disco che è Una faccia in prestito uscito nel 1995. È uno dei miei dischi preferiti in assoluto. Pensa solo a questo verso: Lei era un cavallo, un gatto, un’ondata di mare nordico al sole, vestita come uno vuole… 

Del dire addio è un brano emozionale…
«È stata la prima canzone ad arrivare. L’ho scritta per un amico caro, Pierre Ruiz, un uomo straordinario che aveva un rispetto e una conoscenza per la musica enorme. Era un top manager, sempre in viaggio, che aveva però fondato la casa discografica Esordisco. Aveva passione per la vita ed era anche un sommelier meraviglioso. È un po’ colpa sua se sono finita in Sardegna. Nel 2020 un malore improvviso lo ha portato via a 58 anni, mentre stava salendo al Monte Arcuento, in Costa Verde, luoghi che amava particolarmente. Un lutto che non ho elaborato subito: una parte del mio inconscio pensava fosse ancora in viaggio. Solo quando sono riuscita a scrivere questa canzone ho capito che non sarebbe più tornato. Poi tutti gli altri brani sono usciti naturalmente: l’ultimo regalo che mi fatto Pierre».

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