I The Smiths son tornati. Grazie ai Simpsons!

Frame da “Panic on the streets of Springfield”

È da domenica scorsa che la notizia sta tenendo banco sulle riviste specializzate e sui quotidiani. Francamente esagerata. È uno scontro, verbalmente piuttosto violento, tra I Simpsons, i protagonisti di uno dei comics più fortunati della televisione disegnati da Matt Groening, e Morissey, frontman dei mitici The Smiths.

La vicenda è ormai nota a tutti: domenica 18 aprile va in onda una puntata della yellow family intitolata Panic on the streets of Springfield, dove la piccola Lisa dialoga con un amico immaginario, tal Quilloughby, leader degli Snuffs, gruppo anni Ottanta, la cui voce è stata prestata dall’attore Benedict Cumberbatch. Quando l’amico immaginario svanisce, questo si trasforma in un mostro, un mangiatore bulimico di carne che canta le peggiori teorie della destra americana contro immigrati e diversi…

Frame da “Panic on the streets of Springfield”

I riferimenti a Morissey e agli Smiths sono più che sostanziosi, nonostante la debole difesa degli autori della serie, a partire dal titolo Panic on the streets of Springfield: Panic è uno dei brani più famosi della band di Manchester, che attacca proprio con Panic on the streets of London, dall’album The World Won’t Listen del 1986. Anche il ciuffo di Quilloughby ricorda quello di Morissey come il poster di Oscar Wilde alla parete (uno degli autori preferiti e maggiormente studiati dall’artista al punto da identificarvisi in pieno). Continuando nelle similitudini, pure i titoli della canzoni sono una parodia di quegli degli Smiths, vedi Hamburger Homicide che ricorda tanto Meat is Murder, album e brano title track pubblicati nel 1985, diventato un inno per tutti i vegetariani del mondo e una condanna contro i maltrattamenti e le sofferenze degli animali da macello.

Le posizioni fortemente dissonanti degli ultimi anni dell’artista sessantunenne hanno corroso non poco la sua immagine, tanto che, senza troppe preoccupazioni, da autore che ha saputo cantare le contraddizioni di una società, quella degli anni Ottanta, in ogni sua piega e anfratto, con testi particolarmente significativi e una musica ripresa dalla future generazioni, il complicato Morissey s’è beccato l’accusa di xenofobia per certe sue prese di posizioni sulle razze e per un avvicinamento a For Britain, partito di estrema destra inglese. L’empatia dei fan nei confronti di Morissey e degli Smiths s’è trasformata per lo più in una tiepida riconoscenza. Non sono pochi gli amici che mi dicono: «Morissey era uno dei miei miti, ma ora non lo capiamo più, s’è divorato il cervello, non ha più niente da dire se non lamentarsi conto tutto e tutti»…

Frame da “Panic on the streets of Springfield”

Peter Katsis, manager di Morissey, ha definito sui social ufficiali dell’artista la puntata dei Simpson un attacco violento e razzista. Lo stesso Morissey ha rilasciato una lunga nota dove se la prende con gli sceneggiatori della serie definendoli ignoranti e dando dello stronzo a Benedict Cumberbatch per aver prestato la sua voce a un’operazione così becera…

Una querelle per pochi eletti, evidentemente. Sta di fatto, come ha fatto notare Mark Beaumont di NME, che, nel bene e nel male, quando i Simpson parlano di artisti famosi, a loro modo, s’intende!, questi ultimi ne ricavano sempre un grande vantaggio, per immagine e fama. Il titolo del pezzo è eloquente: “Qualunque cosa Morissey sostenga, il nuovo episodio dei Simpson potrebbe riabilitare l’immagine dei The Smiths”. A riprova, gli U2 per vedersi protagonisti di una puntata della fortunata e dissacrante serie della Fox hanno dovuto telefonare e supplicare, ricorda Beaumont.

Discorso trito: se sei un artista famoso, un personaggio pubblico, uno che ha cantato un certo tipo di cultura contribuendo a portare gli Smiths a essere una band senza tempo, e dunque dirimente non solo nella società inglese di quarant’anni fa ma anche nell’attuale situazione politica, devi accettare il dileggio, la satira e la critica, anche se dura. È il gioco delle parti a cui non puoi sottrarti o, peggio, minacciare ritorsioni che non farai mai, e nemmeno sfogarti con insulti isterici. Ma è anche la dimostrazione di quanto la band di Manchester sia stata, e sia tuttora, importante nel panorama della musica del Novecento. Il buono di tutta questa storia è che gli Smiths sono ritornati, più attuali che mai. E dobbiamo ringraziare i Simpson…

Breaknotes/ Boris Johnson in ospedale con il virus

L’aveva sottovalutato, come del resto tanti tra di noi, increduli che potesse arrivare una tegola così forte in testa a tutti, senza distinzioni di ceto, censo, razza, religione. E così, dopo aver stretto le mani a persone contagiate dal virus, a dimostrazione che si è più forti di quella maledetta bestiolina (pure bellina a vedersi al microscopio), aver annunciato che gli inglesi dovevano prepararsi a una selezione della specie, dichiarazione darwiniana un po’ eccessiva – i più forti resistono, gli altri se ne andranno nel mondo dei più, il che produrrà per il popolo britannico l’immunità del gregge – Boris Jonhson, rinchiuso al 10 di Downing Street in quarantena da una decina di giorni, con una febbre alta che non lo lasciava e una fastidiosa tosse, la scorsa notte è finito all’ospedale. A BoJo, prime minister con una carriera giornalistica e politica trastullante, o se preferite, shambolic (casinista), come l’ha definita il quotidiano The Guardian, insomma uno che se si fosse applicato nella musica sarebbe stato, grazie alla capigliatura e alla faccia tosta, molto rock con escursioni persino nel punk più dissennato, deve fare i conti con la pandemia e soprattutto con se stesso.

Quello che Joe Jackson cantava in I’m The Man:

I’m the man
I’m the man that gave you the hula hoop
I’m the man
I’m the man that gave you the yo-yo

Sono l’uomo
Sono l’uomo che ti ha dato l’hula-hoop
Sono l’uomo
Sono l’uomo che ti ha dato lo yo-yo

E qui arriva la possibile risposta punk a BoJo dai Sex Pistols, dal loro primo e ufficiale album di studio Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols, in Problems

To people like me there is no order
Bet you thought you had it all worked out
Bet you thought you knew what I was about
Bet you thought you solved all your problems
But you are the problem

Per le persone come me non c’è ordine
Scommetto che pensavi di aver risolto tutto
Scommetto che pensavi di sapere di cosa stessi parlando
Scommetto che pensavi di aver risolto i tuoi problemi
Ma tu sei il problema… (possibili riferimenti al covid19?)

Nel momento in cui l’eterna Queen Elisabeth II faceva il suo discorso perfetto con i tempi e le reazioni regali di una donna ultragenerazionale, quattro limpidi minuti alla nazione, cercando di rasserenare e incoraggiare i suoi sudditi, BoJo è costretto a mostrare sempre alla nazione che comportarsi da cocky, impertinente, non paga. Il virus non guarda in faccia nessuno, dicevamo prima. Insomma, il tempo di Sex & Drugs & Rock’n’Roll per cantarla alla Ian Dury, per il primo ministro è davvero finito.

Metterà la testa a posto “The number one”? Sarà meno “rebel” nel suo conformismo British, e deciderà, magari, di sperare per i suoi connazionali un What a Wonderful World, per dirla alla Louis Armstrong, magari nella insolita e “personale” versione che proprio stamattina il mio amico Fabio mi regalava su whatapp, dell’australiano post punk Nick Cave con il frontman sdentato e pure un po’ alticcio dei The Pogues, Shane McGowan (video caricato dall’immenso Cave).

Johnson ha toccato, introiettato nel profondo, primo leader nel mondo, il virus malefico. D’altronde, anche Morrissey, altro artista inglese, ex frontman dei The Smiths, amato e odiato dai suoi stessi fan, uomo che non ha mai preso una posizione decisa, nella sua musicale scontrosità, canta nell’album che ha appena pubblicato (I am not a dog on a chain, disco niente affatto male…), scandendo chiaramente le parole I am not a dog on a chain:

 

I am not a dog on a chain, I use my own brain
I do not read newspapers, they are troublemakers
Listen out for what’s not shown to you and there you find the truth
For in a civilized and careful way they’ll sculpture all your views
So open up your nervous mouth and feel the words come streaming out

Non sono un cane legato a una catena, uso il mio cervello
Non leggo i giornali, sono i piantagrane
Ascolta ciò che non ti viene mostrato e lì trovi la verità
Perché in modo civile e attento scolpiranno tutte le tue opinioni
Quindi apri la bocca nervosa e senti che le parole escono fluenti

Per chiudere questo commento canoro alla malattia di Boris Johnson, non posso tralasciare un altro poeta del punk, Joe Strummer dei Clash, con una delle sue massime riportate da Stefano Gilardino nella sua interessante e completa La Storia del Punk (Hoepli editore, 2017): «Non scrivete slogan, scrivete la verità…».