“Love For Sale”, Tony Bennet e Lady Gaga: la musica come medicina…

Il primo ottobre è stato pubblicato Love For Sale, secondo disco della coppia Lady Gaga e Tony Bennett. Il primo, Cheek To Cheek (2014), alla sua uscita fu accolto con curiosità dalla critica per la strana e improbabile coppia che, apparentemente, non aveva nulla da condividere, subito smentito all’ascolto, una fusione professionale e perfetta di voci che dimostrò come Lady Gaga fosse molto più di una brava popstar.

Love For Sale è un lavoro che rivede, con la giusta dose di sofisticata eleganza, dodici brani di Cole Porter. Un disco da custodire e godersi non solo perché racconta una sostanziosa fetta di “classica” americana, ma anche perché racchiude in sé un qualcosa di unico.

A voler essere cinici si potrebbero fare tante supposizioni possibili sulle origini di questo nuovo album, viste l’età e le condizioni di salute di Tony Bennett, un signore di 95 anni affetto dal morbo di Alzheimer, e il cammino artistico della signora Germanotta, decisamente virato a una carriera fatta di successi cinematografici (vedi A Star is Born, dove s’è portata a casa un Oscar e House of Gucci, il film su Gucci diretto da Ridley Scott, che uscirà il prossimo 16 dicembre) e di una revisione del suo “aspetto” artistico verso una musica più colta.

Ascoltando il classicissimo I Get A Kickout Of You, reinterpretato con verve, si sente invece quanto i due siano affiatati, tempi perfetti, dialoghi vocali degni di un Bennett nel pieno delle sue capacità di re dei crooner. Questa magia è stata resa possibile grazie a una cosa sola: l’amore viscerale per la musica di Tony Bennett.

L’anziano signore che non riesce a riconoscere più nessuno, che vive, protetto dalla moglie perso in un mondo profondamente alterato, inaccessibile, si sveglia, ritornando perfettamente normale, solo quando ascolta e canta le centinaia di brani che ha interpretato nel corso della sua lunghissima attività.

Come per magia, ricorda i testi delle canzoni, sembra che una parte del suo cervello sia programmata a essere immune alla demenza che lo sta attanagliando. Il medico gli ha proibito di incidere o cantare ancora perché troppo faticoso, dopo il concerto di addio alle scene il 3 e il 5 agosto scorso battezzato One Last Time: An Evening with Tony Bennett and Lady Gaga al Radio City Hall di New York. In questo lungo addio ha chiesto a Lady Gaga di rifare un disco con brani di Cole Porter. Come ha dichiarato la stessa artista ad Apple Music: «So che ha 95 anni, ma ogni volta che canto con lui io vedo un ragazzino… È così liberatorio essere due anime che cantano insieme».

In questo momento catartico, in questi attimi liberatori sta la bellezza di Love For Sale. Un disco che racchiude tutto il rispetto per una vita di musica e di palco. Probabilmente è l’ultimo lavoro di Bennett, un album che suggella qualcosa che va oltre il “semplice” cantare e interpretare. In questo sta la sua unicità. Nel sorriso complice di Lady Gaga e negli occhi gioiosi di un ragazzino di 95 anni che sogna ancora in musica.

Tre dischi per il weekend: St. Vincent, Joe Barbieri, Vijay Iyer

1 – Daddy’s Home – St. Vincent

Come consuetudine, vi propongo tre dischi da ascoltare nel fine settimana. Parto subito con un’uscita fresca fresca, di giornata: Si tratta di Daddy’s Home, ultimo lavoro di St. Vincent, nome d’arte dietro cui si cela la brava Annie Clark, musicista e produttrice americana che vanta collaborazioni importanti, una a cui sono particolarmente legato, è quella con David Byrne in Love This Giant, album del 2012 (ricordate Who?). Dadd’ys Home è un disco irriverente e autobiografico (Annie racconta il periodo, dieci anni, in cui suo padre è stato rinchiuso in prigione per aver partecipato a una truffa azionaria pump & dump di oltre 43 milioni di dollari).

Inevitabili i ricordi dei dischi che giravano in casa, quella musica anni Settanta (lei è nata nel 1982), dove gli artisti amavano sperimentare. E lei reinterpreta quell’ansia quasi nevrotica di cambiare il presente mutando a sua volta la musica di quegli anni. Live in the Dream, per esempio, ricorda tanto Us and Them dei Pink Floyd, che poi si evolve in una forma altra, quasi una parodia del brano originale, con quegli effetti di sitar elettronico, molto usati in quegli anni da quasi tutte le band rock, ma con l’aggiunta dei suoi assoli di chitarra acidi e della batteria che scandisce secca, quasi apatica, in netto contrasto con i suoni avvolgenti di Gilmour e Mason. Sotto questi aspetti, un lavoro originale, non banale, uno spaccato della sua vita non solo di artista. Viene in mente quello che proprio St. Vincent, alle battute finali di What drives Us, docufilm di Dave Grohl che consiglio vivamente, dice: «Alla fine, suonare e scrivere fottute canzoni è ciò che amo fare, la cosa che mi piace di più in assoluto!».

2 – Tratto Da Una Storia Vera – Joe Barbieri

Passiamo a tutt’altro, veniamo a casa nostra per un’uscita di un mese fa: Tratto Da Una Storia Vera, di Joe Barbieri. Su Barbieri mi sono già espresso in questo post, è uno degli autori italiani più bravi e raffinati che possiamo vantare. A cavallo tra jazz, bossanova, arie classiche, è un artista completo. In questo album vanta, as usual, collaborazioni di rispetto, come Fabrizio Bosso nel brano che apre il disco La Giusta distanza, o Niente di Grave, con il violoncellista carioca Jaques Morelenbaum, o ancora In Buone Mani, cantata con Carmen Consoli e Promemoria, esplosione di gioia, con il grande trombonista Mauro Ottolini che ho intervistato qualche settimana fa su questo blog. Un album personale, autobiografico, dove dentro ci sono tutte le passioni musicali di Barbieri, quei generi e quegli amici che lo hanno reso l’artista che è oggi.

3 – Uneasy   Vijay Iyer, Linda May Han Oh, Tyshawn Sorey

E ora ci tuffiamo nel jazz con un pianista che per suonare non sceglie mai le strade più facili, ma ama avventurarsi in terreni affascinanti, in nuove sonorità, in fraseggi complessi che restituiscono all’ascoltare la meraviglia di una lingua, la musica, ricca di “sinonimi e contrari” senza ricadere sempre sulle solite “frasi fatte”. Lui è il newyorkese Vijay Iyer, 49 anni, per l’occasione in trio con altri due grandi musicisti, la contrabbassista e compositrice australiana Linda May Han Oh e il batterista (polistrumentista e compositore newyorkese) Tyshawn Sorey. Il risultato è Uneasy, titolo che potremmo tradurre con “A disagio”, uscito il 9 aprile scorso. A disagio per gli anni di pandemia, a disagio per le tensioni razziali in America ancora irrisolte – ascoltate Combat Breathing.

Ma anche artisti preoccupati di cercare di far capire quello che i tre stanno portando avanti in nome della creatività. Proponendo, ad esempio, anche dei superclassici, come Night and Day di Cole Porter, da ascoltare non come brano in sé ma come una trasformazione sul tema, un altro punto di vista, più complesso, appunto, per le implicazioni emotive e le storie professionali di ciascuno dei tre musicisti. Dunque, un disco da mettere in cuffia a cuore aperto, per lasciarsi conquistare da nuovi linguaggi, considerare altri orizzonti, al di là dei propri gusti personali.