“La Figlia di Dio”, Rossella Seno canta la bellezza contro l’orrore

 

No. Non devo pensarti figlio di Dio
Ma figlio dell’uomo fratello anche mio…

Bisogna partire da qui per parlare del nuovo lavoro di Rossella Seno, La Figlia di Dio, prodotto dalla Azzurra Music in collaborazione con l’Associazione Culturale Disobedience. Da Fabrizio De André e dalla sua Laudate Hominem, brano contenuto ne La Buona Novella, uno dei capolavori dell’artista genovese. Prima di dedicarvi all’ascolto del disco di Rossella – che ha ripreso nei suoi 12 brani anche Si chiamava Gesù, altra meravigliosa canzone del cantautore – vi consiglio di riascoltare e, per chi non lo avesse mai fatto per questioni d’età, ascoltare, quest’album importantissimo nella storia del cantautorato italiano. Tratto dai vangeli apocrifi, è la versione del cristianesimo secondo Faber. I cori potenti, stravinskijani, di Gian Piero Reverberi, l’attenzione all’uso degli strumenti a corda e a fiato, delle percussioni quando necessarie, ne fanno per i tempi un lavoro d’avanguardia. Continua a leggere

Caro Lucio rispondo… la “lettera” di Rossomalpelo a Lucio Dalla

L’altro giorno, con Dan Costa, siamo finiti a discutere di estetica della musica. Per il musicista italo-lusitano la musica non può avere interferenze, vedi il testo, perché questo “rovinerebbe”, anzi, interpreto meglio, “altererebbe” l’armonia e la purezza del suono. Visione più che legittima, se aprissimo un dibattito staremmo giorni a dire la nostra. Non per semplificare, ma c’è musica per ogni momento, un linguaggio che può assorbire altri linguaggi, e sta proprio qui la sua meraviglia! Per questo voglio condurvi, per dirla con i Pink Floyd, on the other side of the moon, per parlare non di melodie ma di parole, testi, poesie, estetica del linguaggio.

Me ne offre l’occasione un artista romano, una bella persona, di gran cultura e altrettanta passione, uno di quelli che usa la scrittura per far suonare la vita. Si chiama Sergio “Rossomalpelo” Gaggiotti. Di professione è musicista, paroliere, scrittore, sceneggiatore di testi teatrali, autore di colonne sonore. Nel suo lungo curriculum è stato pure arrangiatore e direttore artistico per il primo disco dei Presi per caso, gruppo musicale formato nel carcere di Rebibbia, attivo ancora oggi. Proprio questa settimana, Rossomalpelo è stato invitato dall’Instituto Cubano de la Música a esibirsi, in maggio, al festival Cubadisco, ma anche a tenere, con orchestre locali, una tournée sull’isola da cui nascerà un disco.

Mi ha incuriosito il suo ultimo lavoro uscito il 4 marzo: Carlo Lucio rispondo, album che risente fortemente della pandemia e dei lockdown, interpretati come smarrimento dell’oggi, dove in questo etereo benessere, l’arrivo di un virus, seppur bastardissimo, ha fatto saltare i concetti di libertà, condivisione, cultura, democrazia. La guerra di Putin, poi, non ha fatto altro che confermare la deriva di un mondo che ha perso i contatti con la realtà. Mi ha colpito il titolo dell’album, che richiama la frase iniziale de L’anno che Verrà, una delle canzoni più famose di Lucio Dalla, pubblicato nel 1979. Senza essere alla ricerca di facili protagonismi, visto il decennale della morte dell’artista bolognese, Sergio pensando a tutto quello che abbiamo passato e stiamo vivendo, ha trovato il modo per raccontare l’attualità rispondendo alla famosa lettera che Lucio indirizzò 43 anni fa e a cui nessuno, finora, aveva dato ufficialmente risposta.

Uno scambio epistolare, insomma. Dice: «Da piccolo ero rimasto colpito dal brano, uno che “canta una lettera”, ma anche dal fatto che nessuno si fosse pensato di dire: me lo chiedi? Ecco, ti spiego io cos’è successo».

Venendo al disco: sono 24 minuti e 15 secondi ricchi di considerazioni, c’è tristezza, apatia, ironia, allegria. Gaggiotti è riuscito a riassumere due anni di pandemia in nove, concentrati, flash. Un equilibrismo perfetto. In questa narrazione c’è una piccola perla alla Tenco, nel più elegante ermetismo, che ho apprezzato molto, appena 44 secondi dove è racchiuso tutto il senso della solitudine, della lontananza, del desiderio, Il Peso dell’Assenza:

Così è questo
il peso dell’assenza.
Il vuoto, disegnato in frasi articolate,
oggi diventa sostanza
si fa massa.
Lo spazio è occupato dal nulla
e restano pugni chiusi
al termine di queste braccia.

Il “tutti liberi” dal lockdown è descritto in Aprono i bar, ambientato a Roma, in un bar d’angolo, una bella giornata di sole, la gente che cammina, le auto percepite come “un ingorgo diffuso”, mentre Quarantella, la traccia finale, un romanesco spoken word, accompagnato da un riff iniziale alla Calibro 35, ricongiunge il tutto in una forma ironica ma sostanziale…

Hai scritto a Lucio una bella e composta “missiva”, in nove punti…
«Questa mancata risposta è stato un mio cruccio per molti anni. Non capivo perché un cantante, allora, avesse sentito l’esigenza di prendere carta e penna e scriverci. Ho aspettato tanto prima di rispondere e il lockdown mi ha convinto a farlo. Aveva immaginato un futuro migliore, invece…».

Com’è nato il disco?
«Ho fatto tutto da solo, sia per il lockdown sia perché l’ho presa come una cosa personale. E poi sono un “indipendente” non devi rendere conto a nessuno, faccio quello che mi pare. Così ho pensato di pubblicarlo il primo marzo, il giorno che Dalla se ne andò. Caro Lucio rispondo vuol essere una narrazione del nostro presente per ricordare ciò che lui aveva previsto per il futuro».

Veniamo alla musica e al cantautorato, come la vedi?
«La musica si è sempre divisa in due, quella mainstream e “l’altra”. Quest’ultima è sempre stata in opposizione alla cultura dominante. Negli anni di Dalla c’era ancora chi desiderava scoprire musica interessante, c’erano i talent scout che frequentavano i locali, andavano in cerca di artisti validi… infatti sono nati i vari Graziani, De Gregori, Fossati e tutti i cantautori di quella generazione. Oggi non vedo più questo interesse. L’assurdo è che mi chiamano dal Messico per andare a fare una tournée, ma devo declinare perché non ho i mezzi per potermi permettere una serie di date così lontano. Il mercato c’è, c’è chi ha voglia di ascoltarci. Ma è più facile puntare su una musica da consumo».

I tuoi concerti sono un po’ all’antica…
«Vado a suonare raccontando, mi piace partecipare con il pubblico, ridere con lui, parlarci. Non sono io il protagonista della serata ma le persone che hanno scelto di venire ad ascoltarmi. Credo, inoltre, che nella musica ci siano fasi cicliche, come nella storia. La gente ora ha voglia di ascoltare racconti, musica “per adulti”».

Condivido la tua analisi, anche perché c’è molto di più oltre ai dolori egocentrici di tanti giovani Werther…
«Quello che manca, e sarebbe psicologicamente da studiare, è un racconto sociale. Le visioni dei trapper non mi piacciono. La strada diversa esiste: artisti come me non sopravvivono, lavorano! Un mio singolo, Il mare mi salva, ha venduto nel mondo oltre 250mila copie. Quando uscì la playlist di papa Benedetto XVI e si scoprì che al quarto posto c’era il mio brano, ho iniziato a ricevere telefonate da tutto il mondo, richieste di concerti, persino dalle Hawaii. Mi son detto “‘Ammazza che so’, Elvis Presley?”… Un artista non ha bisogno di essere mainstream per guadagnare. Credo nel successo personale, la fama è un’altra cosa. Per questo vado avanti a raccontare la mia realtà da indipendente. Il mercato batte altre strade, deve occuparsi di persone che fanno vendere».

Come hai iniziato a suonare?
«Da autodidatta. A 16 anni ho preso in mano la mia prima chitarra, mi riusciva facile imparare, avevo orecchio, vedevo chi sapeva suonare e imparavo. A 20 anni ho saputo che c’era un’orchestra in cerca di musicisti. Così, da incosciente, mi ci sono fiondato. Durante le prove per ottenere il posto, finché s’è trattato di eseguire un brano tutti insieme è andato liscio, fingevo di leggere lo spartito invece andavo a orecchio. Il problema s’è manifestato quando è arrivato il momento di fare la mia parte, non sapendo leggere la musica non lo avevo capito. Ho fatto una figura così brutta che mi sono vergognato di me stesso, mi sono imbarazzato da solo!  Il direttore mi ha guardato e mi ha detto: “Impara a leggere e poi torna”»…

L’hai fatto?
«Certo, mi sono impegnato, mi sono iscritto al conservatorio, ho frequentato i primi tre anni di chitarra. Poi ho capito che la mia vera passione era la composizione. Mi piace scrivere per tutte le parti, chitarra, basso, pianoforte, batteria… Comunque sì, il direttore poi mi prese a suonare nell’orchestra. Avevo imparato la lezione».

Quando componi scrivi prima i testi o la musica?
«Ho l’esigenza di raccontare quello che sento e che vedo. Lavoro tanto sui testi fino a quando il mio “io” ipercritico non è soddisfatto. Poi adatto la musica al testo. Se sono in 4/4 e le parole non ci stanno, passo ai 9/4. Detto questo, la musica deve avere comunque un buon livello qualitativo».

La scrittura ti coinvolge molto…
«L’unica cosa che non oso affrontare è il romanzo. Scrivo racconti, ci sono narrazioni per le quali non basta una canzone. Il teatro mi piace molto, anche quello moderno, amo l’attore che non mi fa più sentire che sono a teatro, mi piacciono molto i monologhi. Scrivevo molto per il teatro e il cinema, ma i due anni di pandemia hanno bloccato questo flusso».

Curiosità personale, ma scrivi a penna o a computer?
«Le canzoni che le scrivo a mano, mentre i racconti al computer, altrimenti, conoscendomi, mi perderei tutti i fogli».

Domanda alla Marzullo e chiudo: c’è qualcosa che porti sempre con te?
«La mia chitarra, non esco senza! Mio padre me ne regalò una a 16 anni e dopo due mesi morì. Non osavo tirarla fuori dalla custodia. Ci sono voluti un paio d’anni perché mi decidessi a prenderla tra le mani. Per l’amore di quel gesto, ora la porto sempre con me. Non è la stessa, ne uso una, più piccola, una Parlor, ha un gran bel suono!».

Tanto per ricordare la lettera di speranza del grande Lucio e la risposta di Rossomalpelo, vi allego i testi…

L’Anno che verrà

Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va
Si esce poco la sera, compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire
Del tempo ne rimane
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando
Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno
Ogni Cristo scenderà dalla croce
Anche gli uccelli faranno ritorno
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno
Anche i muti potranno parlare
Mentre i sordi già lo fanno
E si farà l’amore, ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo furbi
E i cretini di ogni età
Vedi, caro amico, cosa ti scrivo e ti dico
E come sono contento
Di essere qui in questo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro amico cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare
E se quest’anno poi passasse in un istante
Vedi amico mio
Come diventa importante
Che in questo istante ci sia anch’io
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
Io mi sto preparando, è questa la novità

 

Caro Lucio rispondo
Caro Lucio rispondo, con molto ritardo
Ma qui le cose non vanno, stiamo ancora lottando
Aspettiamo che il mondo rinasca nel vuoto di giorni in cui non si esce
E non è più stato Natale
è soltanto un lunghissimo tempo sospeso nel vuoto
Al quale gli uccelli però, fanno ancora ritorno
Ma non ci sono preti che si sposano
E qualcuno crede ancora che ammazzare
Sia naturale conclusione di un amore
E non ci son più santi né uomini, che i capitani
fuggono e non si riesce a fermarli.

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso (x2)

Caro Lucio comunque qualcosa è cambiata davvero
Bergamo ha un Marzo rubato,
le sedie dei vecchi son vuote
E Rosso è di nuovo l’esatto contrario del bene
Ma è solo un lunghissimo tempo sospeso nel vuoto
Al quale gli uccelli, sicuro, fanno ancora ritorno
E anche se non ci sono preti che si sposano
Crediamo ancora nell’amore che non distingue generi
Ma si fa cogliere
E non ci son più santi né uomini, che i capitani
fingono e non si riesce a fermarli.

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso (x2)

Ecco, caro Lucio, non ho scritto forte come hai fatto tu
Che non son mai stato lontano
Ma ho ricordi, di vetri appannati e disegni e pomeriggi di capelli da contare
Con lo sguardo fino in fondo al buio di quel mare
Dove in fondo, nessuno, è mai solo davvero

Non è mai lo stesso quando sei diverso
Non è più lo stesso quando qui è diverso
Non sei mai lo stesso quando sei diverso
Non sei più lo stesso, non sei più lo stesso

Interviste: VillaZuk, tecnologia, riflessioni e valori positivi

I VillaZuk: da sinistra, Francesca Paola Sirianni, Alessio Sisca, Domenico Scarcello, Andrea Minervini e Simone Stellato

VillaZuk. Ovvero Domenico Scarcello, voce e chitarre, 38 anni, e Andrea Minervini, basso, 35. Si conoscono da quando erano adolescenti. Sono nati in due paesi vicini, nella Calabria cosentina, la Sila alle spalle. Attivi dal 2010, frizzanti, creativi, i VillaZuk scrivono seguendo i dettami del cantautorato “storico” ma non si definiscono cantautori. Musicalmente, spaziano tra rock, pop, reggae, ma non sono nulla di tutto ciò. O meglio, ne sono un’azzeccata sintesi.

Testi per nulla banali e arrangiamenti positivi fanno sì che le loro canzoni, nonostante affrontino temi complessi, abbiano sempre una via d’uscita, la speranza di un lieto fine. E qui esce l’altro lato dei VillaZuk, quello dell’impegno sociale, del lavorare e tuffarsi in progetti in cui credono fermamente. La musica è il loro modo per tenere unito il tutto e far sì che tanta energia spesa per battaglie sacrosante possa essere trasmessa a chi li ascolta.

I VillaZuk hanno tre dischi all’attivo in dodici anni di sodalizio musicale, …a colorare libertà (2010), Meno male Robertino (2013) e Siamo tutti salvi (2022).

E veniamo a quest’ultimo, pubblicato il 21 gennaio scorso. Sostanzialmente diverso dai primi due. Perché, in nove anni da Meno Male Robertino, Domenico e Andrea sono cambiati, cresciuti, maturati, e con loro chi li segue da anni. Hanno scremato tanto, selezionando ciò a cui tengono di più nella vita come nell’arte. I loro pensieri sul mondo sono diventati dodici brani dove il tema di fondo è l’uso esasperato della tecnologia che ha rimbambito tutti e rischia di far dimenticare la vera sostanza della vita. Che si racchiude in poche, essenziali cose: affetti, rispetto, amore, semplicità, passione, speranza.

Il disco mette a disposizione dell’ascoltatore questi temi, “obbligandolo” a fermarsi e a riflettere, per capire chi siamo e cosa vogliamo davvero da noi stessi. In Ti sorriderò lo stesso cantano assieme a Fabio Curto: «Siamo schiavi della quantità che vince sopra il senso e penso che la qualità non vive di consenso…». La speranza è un altro tema che ritorna spesso, «è il primo rischio da correre, come un sasso da lanciare ad occhi aperti», citazione da Sole d’Autunno, con una chitarra che ricorda quella delle classiche ballad acustiche di Billie Joe Armstrong e dei suoi Green Days.

Si parla anche di figli, di paternità e maternità, di coppia, insomma, della vita comune, inviti a vedere la bellezza del diventare genitori, di prevedere e accettare le sfide imposte senza arrendersi mai. Un crescendo che culmina nel liberatorio Fate l’amore, apparentemente una goliardata, in realtà un piccolo inno! I VillaZuk riescono a raccontare lievemente anche la demenza senile attraverso un casuale incontro d’amore e rispetto (Buongiorno Signora); c’è anche il problema della carceri: Ricordati Sempre, è un toccante brano che parla di detenuti, silenzi e riflessioni.

Siamo tutti Salvi non è, come avrete capito, solo un disco come tanti. È molto di più, un intricato percorso nell’uomo del Terzo Millennio, cantato senza mai cadere nell’ovvio e nella “facile presa”. Per questo ho chiamato i VillaZuk. Ed è stata una chiacchierata a tre divertente e istruttiva…

Chi comincia? Domenico, Andrea? Come vi siete trovati?
Domenico: «Condividiamo 20 anni di musica, praticamente siamo un caso di antropomorfismo gemellare. Siamo cresciuti a venti chilometri di distanza, abbiamo due caratteri affini…»
Andrea: «Ci siamo conosciuti grazie alla musica…».
Domenico (guardando Andrea, scherza, ndr): «Lui aveva appena 14 anni, era così piccino! Io ne avevo 17».

Siete stati folgorati dalla musica, insomma…
Andrea: «Lo racconto spesso ai miei alunni: 20 anni fa Internet non era così diffuso come ora, soprattutto dove siamo nati. Avevo la passione per il basso e per poter ammirare e provare gli strumenti marinavo la scuola passando le mattine in un negozio».
Domenico: «Abbiamo studiato musica privatamente. In comune, abbiamo avuto un bravissimo maestro d’armonia. Poi abbiamo avuto alcune esperienze insieme in un paio di progetti musicali, quindi abbiamo costituito i VillaZuk».

Da dove viene il nome della band?
Domenico: «Tanti anni fa ho scritto un brano che abbiamo pubblicato nel disco …a colorare libertà dal titolo Villaggio Zucca. Ho immaginato che dentro le nostre teste possa esistere un villaggio con una grande piazza centrale da cui si diramano tre strade, la percezione, il senno e l’immaginazione che portano a tre colline. In una c’è una capanna, in un altra un grattacielo, e nel terzo un grande prato magico che cambia colore. C’è una bimba che ogni mattina nella capanna prepara i biscotti e li lascia al portiere del grattacielo, scombussolando la vita così perfetta e scontata di tutta quella gente che vive pensando solo a se stessa. Spesso, quando cresciamo, abbiamo paura di non vedere la cura, finché il senno si arrende all’immaginazione… Nel testo c’è un refrain che dice: “è meglio una direzione giusta di una risposta facile”! Da qui siamo nati noi, i VillaZuk».

Un canzone, un nome, praticamente un manifesto!
Domenico: «In sostanza sì, in molti brani raccontiamo che la vita è uno sputo, un istante che vale la pena condividere con cose belle, nuove sensazioni…».

Com’è la vita a VillaZuk?
Domenico: «Ciascuno di noi ha fatto i suoi percorsi. Quello che è sicuro è che non riusciamo a stare senza musica. Lei guarisce da tutte le cose che accadono. Non ne fai più a meno. A Casali del Manco, nella presila cosentina, ho aperto una scuola, Kasa Klam che sta per cultura, lingue, arti e musica. Insegno ai bimbi e ragazzi mescolando tanti linguaggi».
Andrea: «Da un anno vivo a Roma. Qui insegno in una scuola primaria di Tor bella Monaca, una scuola di periferia con tanti colori di vissuto».

Con quali musicisti e canzoni vi siete formati?
Andrea: «Ho ascoltato e ascolto di tutto, molta fusion e jazz, sono molti gli artisti che seguo».
Domenico: «In una canzone ho sempre seguito di più i testi. Ascoltavo De Andrè (si percepisce, ndr!), Guccini, De Gregori. La parola è importante!».

Musica, insegnamento ma anche impegno sociale…in carcere e non solo!
Domenico: «Detta così sembriamo dei santoni tutti peace&love! Siamo sempre stati molto liberi nelle nostre scelte e ci piace condividere questo nostro essere con gli altri. La musica in questo è un grande veicolo, è importante per noi e per chi ci ascolta. Proprio in questa direzione va il nostro aiuto nelle carceri».
Andrea: «Nel 2014 abbiamo avviato un progetto, La Musica per un nuovo inizio, sulla musica e la scrittura di canzoni nella casa circondariale di Cosenza. Un percorso che avevamo intrapreso nel 2011, dopo un corso di formazione a Zaandam in Olanda, nell’ambito del PEETA project (acronimo di Personal Effectiveness and Employability Through the Arts), che coinvolgeva diverse nazioni. In Italia siamo stati i primi».
Domenico: «Tutto merito del nostro primo disco …a colorare libertà! Dopo la pubblicazione siamo stati contattati da un’associazione che si occupava di carceri perché aveva notato che eravamo particolarmente sensibili a certi temi sociali. Entrambi siamo sempre stati portati alla trasmissione dei saperi, dunque ci siamo buttati in quest’avventura».

Siete soddisfatti?
Domenico: «Sì, anche perché non potendo introdurre strumenti musicali nelle Case circondariali, abbiamo fatto un grosso lavoro di creatività, che ci ha regalato una forte emozione. Sono stato recentemente, come VillaZuk, una settimana nella Casa Circondariale di Taranto, da solo perché Andrea stava lavorando a Roma. È stata una bella esperienza, proficua. Abbiamo concepito un brano con i detenuti che è uscito pochissimi giorni fa, il 28 febbraio. Nel disco, invece, c’è Ricordati Sempre, brano scritto durante il secondo percorso che abbiamo tenuto nel carcere di Cosenza. ».

Avete mai avuto problemi dietro le sbarre?
Domenico: «No, nessuno, e nessun timore. L’unica mia paura vera sono i cani. Se, passeggiando da solo sulla Sila, per caso, vedo un lupo in lontananza, mi blocco, vado in panico! In cella, invece, mi trasformo (Andrea annuisce e concorda, ndr ). Dopo tanto tempo, riusciamo a gestire quest’esperienza molto bene. Il contatto è importante perché il detenuto è uno scrutatore attento che ti offre un altro sguardo su qualsiasi cosa. Nella detenzione di un individuo ci sono lunghi momenti di solitudine e silenzio, ed entrambi portano alla riflessione».

Ma non ci sono solo le esperienze con i detenuti…
Domenico: “Ci siamo interessati e ci interessiamo tutt’ora di temi come l’Alzheimer o, ancora più intimi, della donazione degli organi».

Oltre a voi, della formazione VillaZuk fanno parte anche tre altri musicisti…Andrea: «Sì, Francesca Paola Sirianni al violino e voci, Simone Stellato alle tastiere e voci e Alessio Sisca, batteria e voci».

Siamo tutti salvi è una dichiarazione provocatoria…
Domenico: «Non è certo un’affermazione! Tutto ruota attorno alla tecnologia, le nostre vite sono piene di tecnologia. C’è poco spazio di comunicazione reale a scapito di quella fittizia, virtuale. Siamo sempre più schiavi di regole che ci impongono e che accettiamo senza senso critico. Siamo diventati tante pecore remissive, seguiamo un pastore che non conosciamo, non sappiamo nemmeno che faccia abbia. Nel brano Siamo tutti Salvi, scritto con Francesco Scarcella, rincariamo la dose…».

E siamo alla fine dell’intervista. L’ascolto del disco è vivamente consigliato, perché è un percorso nelle ossessioni, speranze, aspettative di questi anni. A ben ascoltarlo, si possono trovare riferimenti alla pandemia e anche alla guerra che Putin ha scatenato in Ucraina una settimana fa. In realtà tutti i brani sono stati scritti prima del 2019. Sono attuali perché raccontano le nostre paure, i nostri pensieri, il nostro essere devotamente tecnologici senza se e senza ma. Sono testi che impongono, a chi li ascolta, una riflessione “forzata”. Qui di seguito le parole di Siamo tutti salvi: ognuno trovi il suo perché

Siamo tutti salvi
Avanti i ladri ed i signori lasciate fuori i sogni buoni e le intenzioni
portate dentro i portafogli, le mogli, i vostri figli
e qualche dose di paura e di consigli
Avanti il povero ed il ricco, chi resta sempre indifferente e chi di stucco
chi ha voglia di sentire oggi le emozioni forti forti
e le parabole precise di contorti
E il tendone si aprirà davanti agli occhi con la bocca piena di demagogia
non si muore se si muore con i maghi e con i trucchi
non si cambia se si cambia geografia
e per magia siamo tutti salvi
Avanti tutta bella gente non trascurate il deretano accomodante
lanciando solo una moneta che delega stasera
i vostri sogni come in una vita intera
Avanti senza l’incertezza passate il limite che ancora v’imbarazza
portate dentro i vostri cuori a togliere i rancori
delle croci sopra tutti i nostri nomi
E il tendone si aprirà davanti agli occhi …
Il circo fa il pienone, il pienone del pianeta
e cambiano le facce e può cambiare la moneta
e non importerà la lingua, il colore e quale sesso
lo spettacolo continuerà e sarà sempre lo stesso
Con un domatore al traffico un mimo alla dogana
un trapezista all’attico che fa volare grana
al grande mago bravo a far vedere il paradiso in una banca
ed i pagliacci alle poltrone a raccontar cos’è che manca
e quando arriva il mangiafuoco e le sorelle
anche il cannone sarà pronto a non buttare tra le stelle
E il tendone si aprirà davanti agli occhi
non si muore se si muore con i maghi e con i trucchi
non si cambia se si cambia geografia
E il padrone sceglie i nostri desideri e staremo tutti bene e così sia
un biglietto per amore ed in omaggio un bicchiere
e si lava tutto con filosofia e per magia siamo tutti salvi