Avvenne a Napoli… che tornò la canzone napoletana

Ne avrete sicuramente sentito parlare nei giorni scorsi. Avvenne a Napoli passione per voce e piano, è un libro e un Cd con venti canzoni, lavoro del grande Eduardo De Crescenzo, del pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e del giornalista Federico Vacalebre, capo degli spettacoli de Il Mattino di Napoli. Una di quelle operazioni gradite e intelligenti che non si vedono tutti i giorni, grazie anche alla sensibilità di Elisabetta Sgarbi e della “sua” La Nave di Teseo, casa editrice sempre interessante e mai banale, e dell’etichetta Betty Wrong (la Betty Sbagliata, sempre lei, Elisabetta, in veste di discografica, progetto nato durante la pandemia).

Avvenne a Napoli. Un titolo che richiama un passato glorioso, brillante, avventuroso, un libro di Gabriel García Márquez o di Jorge Amado o di Osvaldo Soriano, uno spaccato di storia e cultura di cui oggi rimane ben poco, se non una annacquata – e spesso inutile – imitazione.

Eduardo De Crescenzo – Foto Peppe Russo

Un libro e un disco che parlano di un momento magico di Napoli, anni irripetibili, che hanno sconvolto i canoni musicali del tempo (stiamo parlando della metà Ottocento e dei primi anni del Novecento) e che hanno, di fatto, portato la città partenopea al centro di una rivoluzione in note. Le canzoni come vengono concepite oggi sono figlie di quei musicisti e parolieri, anzi, più corretto definirli, poeti. La forma canzone attuale, lo ricorda lo stesso De Crescenzo in una bellissima prefazione-diario al libro di Federico Vacalebre, nasce a Napoli e Napoli in quegli anni era diventata davvero la capitale mondiale di un nuovo genere che si è diffuso velocemente lungo tutti i continenti.

L’abruzzese Francesco Paolo Tosti e il poeta napoletano Salvatore Di Giacomo erano personaggi famosissimi, un po’ come Lucio Battisti e Mogol. Vacalebre del loro sodalizio compositivo scrive: «Come Lennon & McCartney, Jagger&Richards, Rodgers&Hart, Brecht&Weill». Tosti, amico di Gabriele D’Annunzio, fu prolifico compositore, le sue romanze per pianoforte e voce si dispersero per il mondo, a Londra entrò alla corte della regina Vittoria e del re Edoardo VII come maestro di canto. Per i suoi meriti, ricorda sempre Vacalebre, venne nominato baronetto, lo diventeranno poi i Beatles… Sono gli autori di Marechiare, composta nel 1885…

Salvatore Di Giacomo strinse una fitta collaborazione anche con il musicista pugliese Mario Pasquale Costa, pure lui una celebrità a Londra, qui la versione De Crescenzo/Mazzzariello di Era de maggio (1885). Mentre Eduardo Di Capua, il musicista che scrisse ‘O Sole Mio, leggenda sostiene l’avesse composta a Odessa, collaborò proficuamente con Vincenzo Russo. Ancora Federico Vacalebre: «Rimase sempre Vincenzino perché morì giovane e povero… Di lui esistono troppe leggende…». Insieme crearono Maria Marì (la donna amata da Vincenzo Russo) e I’ te vurria vasa’, capisaldi della canzone partenopea…

Julian Oliver Mazzariello

Canzoni da salotto, appannaggio della ricca borghesia, la quale poteva permettersi il pianoforte in casa, che però, ed è un’altra delle magie di Napoli, si diffuse tra la gente comune, dando per la prima volta una caratterizzazione piena e condivisa della canzone napoletana. Invece del pianoforte si usava la fisarmonica (strumento prediletto di Eduardo De Crescenzo), cambiava lo stile del testo, si trasformava anche l’interpretazione. Racconta De Crescenzo: «L’enorme successo della Canzone napoletana ha contagiato il popolo tutto, che tutto si scopre incline alla musica e alla poesia. Fuori dai conservatori e dalle accademie culturali, la composizione si fa più schietta…». 

L’operazione di filologia musicale è stata lunga e difficile. Perché De Crescenzo è artista estremamente rigoroso, e Julian Oliver Mazzariello, inglese, prodigio della tastiera, che ha scelto di vivere a Cava de’ Tirreni, ha dovuto lavorare non poco per riuscire a rendere il più possibile le atmosfere del tempo. Sono state necessarie ore e ore di studio, lontani durante il lockdown e insieme dopo, prove, ascolti, riletture, interpretazioni. Unica concessione alla contemporaneità la parte finale di Scétate, di Ferdinando Russo e Mario Pasquale Costa (1887), dove Julian pennella accordi jazz mentre Eduardo infiamma con uno scat strepitoso

Raggiungere la purezza originale per alcuni brani è stata impresa titanica, dato che non c’era molto materiale. Un esempio? La canzone che apre il disco, Fenesta Vascia, scritta da un anonimo poeta seicentesco, adattata nel 1825 con versi di Giulio Genoino e con le musiche di Guglielmo Cottrau. Federico annota: «Guglielmo Cottrau, compositore ed editore… trascrisse, editò e rielaborò, appropriandosene, canzoni popolari di cui fino a quel momento c’era qualche traccia testuale e nessuna musicale…».

Federico Vacalebre

Se volete comprendere la genesi, i timori, le ansie, le soddisfazioni di De Crescenzo durante questa intensa e intima avventura, leggete con attenzione la parte iniziale del libro, magari mettendovi in cuffia il disco. Capirete molte cose. Innanzitutto, sulla scelta molto attenta dei brani. ‘O sole mio, non la trovate, perché troppo calpestata, abusata, stuprata. Un lavoro all’incontrario che ha ridicolizzato la napoletanità, riducendo tutto a luoghi comuni, pizza e mandolino! Le canzonette dei neo melodici, hanno fatto il resto, degradando e decomponendo la forma canzone. Una sconfitta per la Napoli della musica colta e dei quattro Conservatori…

Quella di Eduardo De Crescenzo è una faccenda personale: un cantante, un musicista, un compositore che avverte il richiamo di una musica che è stata, per i tempi, rivoluzionaria, e da cui lui, consapevolmente, proviene: «… Si ripresentava un incubo di cui mi ero un po’ scordato e che vivevo a ogni provino quando agli inizi cercavo un posto nella musica: “Sei un cantante napoletano?” “No” dovevo rispondere, nonostante quella definizione fosse per me lusinghiera. Avrei dovuto aggiungere: “Ma se rispondo di sì, tu cosa ti aspetti che sia un cantante napoletano?” Al tempo un cantante napoletano era già un preconcetto, la “Canzone napoletana” era già un caotico preconcetto e non era il mio…».

La ricerca di un suono e di un testo il più possibile attinenti al periodo in cui fu scritto diventa un’esigenza impellente per Eduardo e Julian, ormai in piena sintonia artistica. In fin dei conti leggere e ascoltare Avvenne a Napoli è come fissare nella propria memoria un punto fermo della propria italianità. Non sono napoletano, ma Napoli è orgogliosamente una fonte copiosa di cultura italica, come lo è stato Bahia per la musica brasiliana. 

…«Mi chiamo Eduardo De Crescenzo, sono un musicista, un cantante-interprete, un compositore. Sono nato a Napoli, quando la canzone napoletana era già finita, ma imparai a suonarla… Ricordarla è stato un tuffo al cuore. Ricantarla, un dovere di testimonianza… Era un suono “dolcemente sussurrato” per voce e pianoforte…».