Buon 2023, che sia un anno di musica

Ci stiamo lasciando alle spalle un anno difficile, dove, al di fuori della musica, si sono concatenati molti avvenimenti che hanno (stanno) condizionando il nostro vivere. E la musica, così capace di annusare il mondo, seguirà sicuramente le traiettorie delle Mongolfiere, quelle cantate da Gianmaria Testa: cercherà quelle tracce impercettibili che solo un artista può fare nella sua lucida creatività. Continua a leggere

In attesa dell’anno che verrà…

Frame da “Shame Shame” dei Foo Fighters

E così siamo arrivati agli sgoccioli del 2020. Abbiamo imparato molto da quest’anno bisestile e dirimente. Mai ce lo saremmo aspettati così, lo diciamo ogni giorno. Rimpiangiamo il concetto di libertà, anche se troppo spesso sconfinava nel farsi gli affari propri, ci sentiamo prigionieri degli eventi, incatenati, seppure la catena – permettetemi la citazione d’antan da The Chain (Rumours, 1977) dei Fleetwood Mac, “Chain keep us together/Running in the shadows” – ci tiene uniti, correndo nell’ombra.

Stiamo imparando a vivere in un altro modo, inevitabile costruire il proprio mondo, confortevoli corazze che ci proteggono e ci fanno sentire più sicuri. Una delle mie è la musica. In questi mesi ho ascoltato molto, scoperto artisti e canzoni bellissime, potenti, tristi, rigorose, disegni perfetti di emozioni: le praterie del pentagramma sono infinite, la creatività degli artisti è stata stimolata dal virus, dalla crisi, dal bisogno di connessione reale e non virtuale. Temi che ricorrono, direttamente o indirettamente, in molti testi tradotti in musica, dall’hip hop al jazz, alla dance, al rock, all’elettronica. I found a reason and buried it/ Beneath the mountain of emptiness (ho trovato una ragione e l’ho sepolta/Sotto la montagna della superficialità) cantano i Foo Fighters in Shame Shame, brano tratto da Medicine At Midnight, album in uscita il prossimo 5 febbraio. Si domanda l’israeliana Noga Erez (bravissima!) nella sua You So Done: Joke, joke, did a joke you make me? What’s a queen to a joker, tell me? What’s home to a claustrophobic? What’s a sea to a dead fish? (Scherzo, scherzo, mi hai fatto uno scherzo? Cos’è una regina per un giullare, dimmi? Cos’è la casa per un claustrofobico? Cos’è un mare per un pesce morto?)…

Frame da “You So Done” di Noga Erez

A questo punto dovrei farvi gli auguri. Di cercare di migliorare, tutti insieme, questo mondo così malato. C’è un vecchio brano dei Rancid, gruppo punk rock californiano, Sick Sick World, che a un certo punto dice: It’s a Sick Sick World so what do you do kid?/Come on down, it’s your turn, yeah it’s your turn! È un mondo malato, allora cosa fai ragazzo?/Vieni giù, è il tuo turno, sì è il tuo turno! (da Rancid B Sides and C Sides 2008). 

In questi giorni, però, sono parco di auguri, mi sembrano così fuori luogo e inutili… Forse, oserei una speranza: che la scienza sia con noi! Profetizzare, anche sotto forma di augurio, non porta da nessuna parte, come sostiene Bob Dylan, in False Prophet (da Rough e Rowdy Ways): Can’t remember, when I was born/ And I forgot when I died (Non riesco a ricordare, quando sono nato/E ho dimenticato quando sono morto).

Frame da “What am I” di Jordan MacKampa

Quello che mi sento di dirvi, è che non si perda la speranza di diventare persone migliori, forgiate da perdite e dolori, da ansie e paranoie, illuminate e positive in un viaggio che, prima o poi, finirà. Jordan MacKampa nella sua What am I si pone una domanda ossessiva: So what am I, what am I, what am I/When’s there’s so much to lose now? (Dunque, cosa sono? Cosa sono? Cosa sono? Quando c’è così tanto da perdere adesso?). È una domanda a cui tutti dovremmo dare una risposta…