Bakivo, “Appunti di viaggio” nella musica d’autore

Segnatevi questo nome: Bakivo, ne sentirete parlare. Sono un trio bolognese composto da Sara D’Angelo voce, Luca Cremonini chitarre e Pedro Judkowski contrabbasso. Il 18 aprile scorso hanno pubblicato un album, Appunti di Viaggio: nove brani con un incedere jazz, swingante quanto basta, con ampi inserti di bossanova e canzone italiana d’autore. Non a caso, oltre alle otto tracce frutto della composizione del trio, c’è uno standard, Estate, di Bruno Martino, proposta in 5/4, sentito omaggio a quella canzone melodica che il nostro Paese ha esportato nel mondo. 

Un disco gioioso – cosa piuttosto rara di questi tempi – che tende al Pop d’autore, alla raffinatezza di Pino Daniele nel suono delle chitarre, all’incedere brasileiro di Fabio Concato, al ritmo avvolgente dei Matia Bazar (a questo proposito ascoltate Tormentami). Sara ha una voce rétro, avvolgente, che calza alla perfezione nelle composizioni di Luca. Il trio sta insieme da nove anni (prima si chiamavano Four Seasons) e ha le idee chiare in fatto di musica: riportare la canzone italiana su binari melodici e armonici non banali. Quanto lo Urban (rap trap nostrani) è depressivo e solipsistico, tanto il Pop dei Bakivo è allegro e collettivo («la felicità, la bellezza, la leggerezza sono valori che è quanto mai necessario condividere», mi dice Sara). 

Insomma, un disco “didattico” nell’uso di armonie che possono sembrare desuete, in un’epoca minimal anche nell’uso delle note, ma terribilmente utile per raccontare l’altra faccia del sound italiano al di là del mainstream, dei like, dell’omologazione della massa. Non so quanto il loro messaggio potrà passare nella “grande distribuzione” della musica, radio incluse, ma come si diceva negli anni Sessanta se invece di un proiettile nel fucile ci metti un fiore è già un segno incisivo.

Sara, Luca e Pedro sono soprattutto amici, ed è proprio questa condivisione di valori che li porta sul palco a raccontare che la musica ha tante strade quante possono essere le emozioni, che lo stare insieme è un valore necessario: dal vivo, parlano con il pubblico, scherzano, lo coinvolgono grazie all’abilità comunicativa di Sara e Pedro, quest’ultimo «l’unico laureato al conservatorio, nato per sbaglio in Brasile, argentino figlio di polacchi, arrivato in Italia per studiare musica, un mattatore che regge il gioco, un animale da palcoscenico», mi racconta sempre Sara.

Quanto basta per organizzare uno Zoom con Luca e Sara e farmi raccontare il loro progetto.

Avete iniziato come Four Seasons. Poi avete cambiato in Bakivo…
Sara: «È stata una necessità, una mera questione di marketing. Se digiti su Internet Four Seasons viene fuori il mondo. Volevamo un nome che ci caratterizzasse. Dopo un mese di ricerche dove sono usciti i nomi più diversi e surreali, ha convinto tutti Bakivo: sono le prime due lettere dei nostri strumenti, basso, chitarra (con il vezzo della “k” al posto della “ch”) e voce».

Perché la scelta di questo sound particolare?
Sara: «Ci siamo trovati con gli stessi gusti musicali, jazz, bossanova e italiana rétro. Siamo tutti e tre ascoltatori di questi generi, nonostante le nostre diverse età. Io ho una voce particolare che richiama già di per sé sonorità rétro. Da quando, poi, abbiamo cambiato nome e iniziato questo nuovo percorso nel quale vogliamo proporre la nostra musica, Luca, che è il nostro principale se non unico compositore, va in questa direzione».

Dunque, la passione per la bossa-jazz ce l’avete nel sangue…
Luca: «Veniamo da quel mondo. Abbiamo anche ascolti diversi, io per esempio amo il mondo cantautorale, mentre Pedro il rock».

I nove brani che compongono appunti di viaggio vedono solo uno standard, Estate di Bruno Martino. Il resto è tutta farina del vostro sacco…
Sara: «Due testi sono miei (Io con te e Ferragosto) le musiche sono tutte composte da Luca. Ferragosto parla di un amore andato male mentre Io con te racconta di un altro amore nel momento migliore».
Luca: «Mentre in Ferragosto Sara s’è sforzata di dare una metrica regolare, facile, in Io con Te ci ha messo un sacco di parole, quindi trovare regolarità metriche è stato difficilissimo».
Sara: «L’avevo avvisato, lui è stato bravissimo! Ci ha messo una settimana per incastrare tutte le parole nella melodia».
Luca: «Il mood doveva essere molto leggero, divertente, quindi mi è venuta una canzone che mi ricorda il Jannacci dell’Amami, sgonfiami!».

Quanto conta l’improvvisazione nella vostra musica?
Luca: «Rispetto allo standard del jazz è assolutamente ridotta, non cerchiamo l’etichetta di jazzisti, veniamo da quel mondo, ma gli assoli, per scelta, sono limitati al massimo».
Sara: «Un minimo di libertà durante i concerti ce lo concediamo. Abbiamo un canovaccio che rispettiamo al 70 percento, dove ci muoviamo come vogliamo».
Luca: «Ci sono dei momenti, come per esempio nello skat di Sara o nell’assolo della chitarra che possono essere improvvisati. L’assolo lo inseriamo per avere un diversivo dalla voce».

A questo proposito: Sara hai una voce molto particolare… all’antica!
«In realtà la mia voce è molto limitata, tutta una gran fetta di musica cantabile me la sogno, come puoi sentire non ho una voce molto acuta. Così ho imparato – e ancora continuo a studiare – a sfruttare i miei limiti vocali, le potenzialità della mia voce, e cioè un timbro molto particolare, una grande agilità, anche se molto sottile, acquistando ogni volta che canto una piccola parte di voce nuova. In Accademia stavano quasi riuscendo a scoraggiarmi, ma non mi sono data per vinta!».

Da quanto suonate insieme?
Sara: «Nove anni».

Come vi siete incontrati?
Sara: «Una sera sono andata in un localino a Bologna ad ascoltare un trio maschile, che faceva musica anni Trenta e Quaranta. Con me c’erano mia sorella (che canta) e alcuni amici. Alla fine del concerto i musicisti hanno messo a disposizione gli strumenti per chi volesse esibirsi. Mia sorella mi ha chiesto di fare la seconda voce in uno dei suoi pezzi. Dopo qualche giorno sono stata contattata dal contrabbassista che mi aveva ascoltato per propormi di entrare in un trio in via di formazione. Era Pedro…e l’altro membro, Luca».

Così siete partiti…
Luca: «Con un quartetto che si è ridotto dopo pochissimo a un trio. Dopo un po’ di anni è tornata l’esigenza di allargare un po’ l’organico, però rimanendo sempre un trio. Gli altri musicisti che suonano con noi sono “ospiti”».

Avete collaborato anche con Bonnot che vi ha prodotto gli interventi di elettronica sul disco…
Luca: «Bonnot ha fatto molto di più. La sua è stata una produzione, gli abbiamo proposto i brani, ci ha suggerito di modificare alcuni arrangiamenti, così alcuni pezzi si sono trasformati seguendo  sempre la nostra esigenza di dirottarci su un terreno a noi poco conosciuto, il Pop».

Parliamo proprio della vostra allocazione: vi siete catalogati nella Pop music, ma sotto quale accezione di Pop?
Luca: «Non so dirtelo, ma se ti cito Pino Daniele, Fabio Concato o i Matia Bazar sicuramente hanno affinità con la nostra musica e quella musica la potrei definire tranquillamente pop. Quelle connessioni ce le avevamo dentro e sono venute fuori. Il Pop è un universo molto vasto, noi vogliamo proporne uno un po’ più raffinato non proprio dozzinale».
Sara: «Abbiamo inserito la marca melodica che è quasi sparita nella musica mainstream. C’è una tendenza a usare pochissime note, il cantato è un parlato, la melodia si è impoverita molto. Noi ci teniamo a riportare valore alla melodia».

La musica mainstream oggi in Italia è Pop solo perché diffusamente popolare, ma i rapper e trapper sono esattamente l’opposto di quello che fate voi…
Luca: «C’è povertà armonica. La sfida è di riallacciarci ad artisti del passato, quando scrivo canzoni i miei riferimenti – cito nomi altisonanti – sono Gershwin, Cole Porter, Henry Mancini… Non voglio elevarmi ai loro livelli ma il modello è quello. Penso sia importante non perdere la qualità melodica, oggi smarrita o addirittura banalizzata».
Sara: «Credo sia importante oggi arricchire anche la parte armonica…».
Luca: «In effetti con Bonnot ho fatto uno scambio: lui viene da un altro mondo è molto attento al groove, ha capito cosa volevamo ed è stato molto rispettoso. In alcuni brani mi diceva: “Ma quanti accordi ci sono!”, ed è vero che abbiamo un modo di armonizzare che sa un po’ di passato. In un’intervista Ligabue diceva che gli accordi diminuiti fanno schifo, io invece ne faccio un uso smodato…».

I compositori brasiliani hanno fatto dei diminuiti una pietra miliare…
Luca: «Se ascolti le canzoni di Djavan sono Pop, ma di una ricchezza armonica spaventosa, dentro c’è di tutto, non solo bossanova, ma anche funk, samba e altri generi… Questa varietà c’era anche nella tradizione musicale italiana. Per andare in là con gli anni, ti ricordo la ricchezza melodica di Bruno Martino. È una tradizione per noi importante, non si può cancellare».
Sara: «Con il nostro modo di fare musica ci impegniamo a veicolare i valori della bellezza, della leggerezza, della semplicità, dell’autenticità, tutte cose che, per quella che è la mia sensibilità, la musica trap non riuscirebbe mai a trasmettermi, è una musica rabbiosa, urlata, aggressiva, depressa. Noi vogliamo recuperare sentimenti, valori, emozioni, capacità di entrare in empatia con l’altro. La gente ha bisogno di questo, ne siamo convinti».

La vostra non è certo la musica banalotta che passa continuamente per radio…
Luca: «La musica esprime il momento storico che la rappresenta. Quella di Vasco è diversa da quella di De Andrè, generazioni, situazioni, flussi diversi. È giusto che si evolva, ora siamo in un momento decadente di suo, non è che dobbiamo ridere per forza, però è anche giusto trovare dentro di noi quell’aspetto umano che ci accomuna».
Sara: «Si sta guardando la vita quotidiana indossando un paio di occhiali molto scuri, e ciò è molto pericoloso».

Sara, tu vieni dal teatro giusto?
«Sì sono attrice, vengo da Enna e a Bologna sono arrivata per studiare recitazione. Faccio tuttora teatro, soprattutto per bambini, genere molto snobbato anche dagli addetti ai lavori. I bimbi sono un pubblico cattivissimo perché senza filtri, ti dicono ciò che pensano. Si appassionano a quello che vedono, partecipano. Quei bambini sono il pubblico di domani, vanno istruiti. La mia speranza è che quando cresceranno magari ritorneranno ancora a teatro».

Cosa vi aspettate da questo lavoro?
Luca: «La musica la fai perché è una necessità, un’urgenza. Personalmente a me piace il ruolo di divulgatore. Abbiamo citato generi di nicchia come jazz e bossa. La mia missione è suonare la nostra musica non solo nei club dove l’80 per cento del pubblico è composto da musicisti. Il nostro scopo è mettere a disposizione un buon brano – nella struttura melodica, armonica e nel testo – a tutti. Poi lo sappiamo, fare un disco è inutile oggi».
Sara: «Un album è un percorso emotivo e narrativo che si cerca di costruire dalla prima all’ultima canzone. Mettiamo a disposizione un punto di vista diverso, melodia, ottimismo e un solido lavoro».

Fare un disco però ha sempre meno senso nel mercato digitale…
Luca: «L’esigenza di scrivere e pubblicare un album è nostra. Oggi si va per singoli, sono l’unico ascolto. Vedi il brano La mia piccola saudade, uscito come singolo ha avuto un rapporto di ascolti rispetto al disco di venti a uno. L’album è un desiderio, far conoscere il nostro mondo. Quanto alle aspettative, meglio averle basse perché è tutto molo difficile. Fare un disco oggi è semplice, se sei uno smanettone te lo crei in casa con uno dei tanti programmi disponibili, sostituisce le vecchie demo. Dunque, la musica di qualità la fai per te. Sarò pessimista ma credo di non sbagliare tanto: che tu ci sia o meno nessuno se ne accorge».