Forever Young. No, non è il brano degli Alphaville uscito nel 1984, che per inciso dava il nome anche all’album, ma il titolo di un disco fresco, fresco d’uscita, oggi, firmato da Sarah Jane Morrison e dal Solis String Quartet. Una collaborazione già rodata, ricordate All You Need Is Love?, album monografico sui Beatles uscito nel 2022?
L’impianto è lo stesso: la voce baritonale di Sarah, “sporca” al punto giusto, voce Blues, potente e inconfondibile e gli archi del quartetto napoletano che ha fatto della ritmica un punto di forza. Due violini (Luigi Di Maio e Vincenzo De Donna), una viola (Gerardo Morrone) e un violoncello (Antonio Di Francia, che è anche l’arrangiatore dei progetti del Solis) con cui cavalcano senza timore generi musicali ed epoche storiche.
Il disco è dedicato al Club dei 27, quei mostri sacri della musica del Novecento che sono morti a 27 anni, una sorta di maledizione che ha contribuito ad aumentarne la fama e favorirne l’immortalità. Il Club è capitanato da Robert Johnson, chitarrista blues, morto nel 1938 a cui sono seguiti Otis Redding, mancato nel 1967, Brian Jones dei Rolling Stones, morto nel 1969, Jimi Hendrix e Janis Joplin, nel 1970, Jim Morrison, nel 1971, Kurt Cobain, nel 1994, e l’ultima, Amy Winehouse, nel 2011.
Proprio Amy – e la passione che Sarah nutre per lei – è lo spunto primordiale di questo lavoro. Spiega la Morris: «Per me la Winehouse è stata la più grande paroliera di tutti i tempi. Sento di conoscerla attraverso le sue canzoni: la sua verità emotiva era terrificante e vulnerabile, ma così vera, immaginare cosa avrebbe continuato a creare è tragico. Ho fatto molte ricerche su di lei e ho capito che il suo limite era dove si trovava la magia».
Aggiunge Gerardo Morrone: «Tutto è nato a Rimini, avevamo suonato a Cattolica, stavamo riposandoci e discutendo su progetti futuri. Sarah ci ha proposto un monografico sulla Winehouse, poi parlandone insieme è venuta l’idea di omaggiare anche gli altri grandi artisti che hanno perso la vita in modo tragico a 27 anni. Hanno suonato per pochi anni, però hanno prodotto musiche immortali, erano dei geni!».
Nel lungo elenco dei brani attinti dal Club dei 27 sono stati scelti 12 pezzi equamente divisi tra Amy Winehouse, Otis Redding, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain e Jim Morrison, più un medley strumentale – da manuale – di due brani di Hendrix, Purple Haze e Gipsy Eyes.
Un lavoro intenso, che trasmette l’impulsività, il dolore, la grazia di artisti che hanno dato un contributo immenso alla musica e che possono sedere di diritto accanto a Mozart, Bach o Beethoven. Sarah Jane Morris non è una semplice interprete, ha la capacità di rimanere se stessa e trasmettere l’emozione del brano come se fosse a sua volta Amy Winehouse, Janis Joplin o Kurt Cobain. La potenza delle parole è il motivo per cui Sarah s’è sentita così ispirata. «Janis Joplin era una donna molto intelligente, le case discografica temevano la sua intelligenza, non si piegava facilmente», ricorda la cantante. Il fatto che siano morti giovani dimostra l’inadeguatezza di questi ragazzi che volevano vedere più in là degli altri, sognavano di cambiare la musica e la poesia, cercavano di plasmare un nuovo mondo, andare oltre i paletti che la società postbellica di allora aveva posto.
Forever Young vuole essere un omaggio alla genialità di questi artisti ma anche un monito, un’allerta sul momento di incertezza che sta vivendo la musica oggi, travolta – come tutto del resto – dalla tecnologia, dai nuovi populismi, dalla conflittualità e dall’individualismo più sfrenato che rischiano di far perdere anima e direzione all’Arte. Si capisce, dunque, la necessità e l’orgoglio di un lavoro registrato in presa diretta.
Lo spiegano Antonio Di Francia e Luigi Di Maio: «Abbiamo registrato pensando di trovarci dal vivo su un palco. Per riuscire a fare questo è stato necessario studiare molto, prepararsi. Non c’è nessun intervento in post-produzione, magari la stessa canzone l’abbiamo ripetuta un paio di volte e poi scelto la versione che più ci piaceva, nulla di più». «Non abbiamo usato l’auto-tune», rincara con orgoglio Sarah Jane. Una scelta ben precisa secondo la cantante di Southampton: «Lo dico sempre a fine concerto, il disco è la materializzazione del lavoro di noi artisti, come un quadro, una scultura, un mobile pregiato. Lo tenete orgogliosamente in casa, lo mostrate, lo fate vedere, in questo caso, ascoltare. Penso che, se tutti comprassero più dischi come si faceva un tempo, la musica sarebbe più libera e meno superficiale».
Un disco importante. Che si porta dentro più significati, un piccolo faro nel grande oceano dell’appiattimento, del guadagno per il guadagno, della semplificazione voluta e cavalcata. Forever Young vuole piantare un solido paletto. Un lavoro non facile, forse ci vorrà più di una generazione per arrivare a un cambiamento vero nella musica. Ora ci troviamo nel pieno di un nuovo Medio Evo, un’età di mezzo dove “le streghe” – leggi chi va in direzione ostinata e contraria – devono essere ancora bruciate.