Giacomo Tantillo, Bandistikamente… banda!

Bandistikamente. Titolo fulminante, preciso, chirurgico. È quello che il trombettista palermitano Giacomo Tantillo ha dato al suo ultimo lavoro – fieramente autoprodotto – uscito in formato fisico il mese scorso (in digitale è disponibile da novembre 2023). Otto brani per 33 minuti d’ascolto che celebrano il ruolo della banda musicale nella vasta prateria dell’orchestrazione.

In Italia, secondo dati forniti dalle associazioni bandistiche, ci sono oltre cinquemila bande che occupano dai 150 ai 180mila musicisti oltre ad altrettanti allievi, vivaio che garantisce continuità. Un’attività che parte dal basso, che dà l’opportunità, anche e soprattutto a chi non ha le disponibilità, di imparare a suonare uno strumento e studiare musica. 

Quando si parla di bande a qualcuno – come al sottoscritto – viene in mente il mitico Antonio Scannagatti, il personaggio che il principe De Curtis portò al cinema con la regia di Steno nel Film Totò a colori, oppure Virgil Starkwell, alias Woody Allen, nel celebre Prendi i soldi e scappa, mentre suona il violoncello in una banda marciante portandosi dietro la sedia…

Bandistikamente riassume tutto ciò, la capacità culturale di una formazione musicale che ha visto la luce nel periodo napoleonico e il divertimento celebrato in tanti film, romanzi e concerti. E lo fa con il garbo e la forza di un lavoro che, di fatto, è un omaggio alla banda. Giocoso, istruttivo, intenso nel suo incedere da marcia ma innovativo nella ritmica, volutamente “commerciale” «per aprirsi al grande pubblico», come mi spiega il trombettista di Bagheria, con cambi improvvisi tra latin jazz, reggae, reggaeton, funky. Giacomo ha scelto pezzi noti, fondamentali nelle storie bandistiche, come L’orientale e Ligonziana entrambe di Nino Ippolito, prolifico autore di marce sinfoniche del secolo scorso. Quest’ultima vede uno squillante scambio di trombe tra Tantillo e Roy Paci, che ha curato gli arrangiamenti e partecipato alla produzione di alcuni brani.

Non è, dunque, un semplice disco che si rifà alla banda, ma una seria riscrittura ritmica di pezzi noti, per dimostrare quanto ancora queste “marcette” che ricordano le feste religiose o le sagre di qualche comune di provincia, siano più che mai versatili e attuali. Nobilitare il suono bandistico è un’operazione che dà merito a Giacomo il quale, come accaduto per Fresu o per molti altri musicisti, ha iniziato la sua scuola di note e di vita proprio nella banda del suo paese.

Un disco che celebra le bande musicali. Perché?
«Perché ci sono molte associazioni nel nostro paese che lavorano sulle bande. In Sicilia ogni paese e ogni città ne ha una. Anzi, in alcuni casi ce ne sono addirittura più d’una, c’è una forte cultura della banda soprattutto al Sud…».

Sardegna inclusa: Paolo Fresu ha iniziato i suoi studi musicali nella banda di Berchidda…
«Esatto. Tra l’altro ho fatto ascoltare il disco a Paolo e gli è piaciuto molto! Come disco e come progetto».

Jazz e banda negli Stati Uniti sono un binomio “naturale” da sempre, in Italia ci stupiamo ancora!
«In Italia viene per lo più usata per seguire le processioni nelle attività religiose. Mentre, invece, il suo impiego si dovrebbe allargare, attraverso concerti, contaminazioni, progetti».

Veniamo a Bandistikamente: la tua è una banda un po’ anomala me li vedo a sfilare con un pianoforte…
(Ride, ndr) «Infatti non è itinerante, è una formazione da palco! ».

Cosa ti ha spinto a scrivere questi 33 minuti di musica molto condensati?
«Per me la banda rappresenta una tappa fondamentale per la crescita di un musicista, specialmente uno strumentista. Dovrebbe essere un passaggio obbligatorio! Suonando in banda un musicista si forma soprattutto dal punto di vista della resistenza, specialmente per gli strumentisti a fiato, perché comunque tu cammini e suoni ininterrottamente per un paio d’ore. È un processo che ti aiuta a rinforzare tutta la muscolatura. Ho sempre suonato in bande da quando ho iniziato a studiare. Poi per ragioni artistiche non l’ho più frequentata perché impegnato in concerti e tournée. Quindi, visto che mi ha aiutato molto, dovevo rendere onore a questa attività e mi son detto: farò un progetto a modo mio, soprattutto per riavvicinare i giovani alle bande (purtroppo, durante il Covid si sono allontanati soprattutto qui nelle mie parti, a Bagheria e Palermo). Ho usato volutamente delle sonorità “commerciali” pensate per il grande pubblico, uno stimolo per far conoscere ai ragazzi la marcia magari nelle modalità che oggi ascoltano di più». 

Su cosa hai lavorato di più?
«Ho stravolto la marcia dal punto di vista ritmico, perché alla fine la melodia è quella e non si può cambiare. Anche i titoli dei brani sono gli stessi dati dai compositori. Ho riarrangiato i brani in una chiave più moderna per far conoscere la vera storia della marcia tradizionale. Mi sono anche aiutato con un video. Ho coinvolto la banda Pietro Mascagni di Bagheria che percorre una stradina suonando e a un certo punto, a Villa Cattolica, mi unisco a loro, a rimarcare la tradizione che si unisce all’innovazione. Sono molto legato alla banda perché mi ha permesso di aiutare i miei a pagarmi gli studi al conservatorio, di comprarmi gli strumenti».

Giacomo, perché la tromba?
«Bella domanda! Ingenuamente l’ho scelta a 12 anni, prima suonavo la chitarra in chiesa, bei tempi! Poi ho conosciuto un maestro molto preparato che mi ha fatto provare tantissimi strumenti prestandomi per una settimana il sassofono, quindi il clarinetto, poi la tromba. Quando la presi in mano pensai solo che fosse lo strumento più semplice visto che aveva solo tre tasti… Nella mia incoscienza mi sono scelto il più complesso, con tre tasti devi fare tutte le note! Mi sono appassionato sentendo suonare il mio maestro, mi piaceva quel suono squillante, prepotente, affascinante. E poi era anche facile da trasportare!».

Poi hai iniziato il percorso jazz che ti ha portato a suonare in tutto il mondo…
«Ho frequentato per un periodo il Berklee di Boston: avevo vinto una borsa di studi, sono sempre stato una persona molto operativa, se c’è da fare una cosa la faccio a costo di sacrifici. A maggior ragione come siciliano, visto che siamo sempre un po’ dimenticati. Ho cercato di restare in contatto con le persone che per me avevano interesse e valore, alcune di queste mi hanno aperto la strada. Quando ero studente al conservatorio ho fatto l’audizione per l’Orchestra nazionale Jazz dei Conservatori. Lì ho avuto la fortuna di conoscere Paolo Damiani con cui ho suonato tantissimo con l’orchestra e in varie formazioni. Mi sono proposto di presentare miei progetti, dischi autoprodotti. Ora sono un po’ più tranquillo dal punto di vista artistico perché insegno al conservatorio Toscanini di Ribera (Siracusa), unico docente di tromba jazz di ruolo in Sicilia. Quindi posso permettermi di fare concerti mirati che mi danno l’opportunità di migliorare la mia immagine. Ho fatto una selezione e questo mi ha aiutato molto perché dedico tempo alla composizione e a creare i miei progetti. Sono molto fortunato!».

Hai inserito nel disco anche l’Ensemble Trombe del Conservatorio A. Toscanini di Ribera…
«Sì sì! Nel primo brano del disco, The King: l’originale inizia con uno squillo di trombe: ho voluto riportare lo stesso squillo nella mia versione. Ho convocato tutti i miei studenti, abbiamo fatto una ripresa in conservatorio con la mia scheda audio e microfono e quindi inserita nel disco».

Autoproduci i tuoi dischi, perché?
«Non ho un bel rapporto con le case discografiche, perché loro non ti producono il disco. Di solito ti chiedono il master, ma il master è… il disco! Allora mi son detto che potevo fare da solo, non ho bisogno di altri. Mi appoggio a un’azienda di Milano che fa le stampe, mando il progetto, grafica inclusa e mi occupo anche della Siae».

Meglio da soli!
«Ma sì, nel momento in cui la casa discografica ti chiede il master che fa poi? Questo è la spesa più grande che hai perché devi pagare lo studio di registrazione, i musicisti, gli spostamenti. La casa discografica te lo stampa e poi ti chiede pure i soldi, perché sei obbligato a comprarti il disco che paghi 5/6 euro la copia, oltre ai diritti Siae, i 12/24 per sempre! Non lo concepisco. Se la casa discografica ti deve produrre lo dovrebbe fare in toto, pagare master, musicisti, ecc. Allora lì avrebbe un senso. Ma se deve limitarsi a stampare il disco e a metterlo sui social… lo posso fare anch’io! Bandistikamente è il secondo lavoro che faccio in questa modalità, il primo è stato Water Trumpet, del 2019, grazie al quale ho vinto un bando Siae/Ministero della Cultura, ho rappresentato per due anni la nuova generazione di jazzisti in Italia andando a suonare anche al Toronto Jazz Festival e a Stoccolma. E tutto ciò, nonostante fosse un disco autoprodotto. In America i giovani musicisti jazz fanno così, addirittura non vanno più nello studio di registrazione perché si creano degli home recording in casa».

Al disco ha collaborato anche Roy Paci…
«Mi ha aiutato dal punto di vista degli arrangiamenti e un po’ della produzione musicale. Venendo dal jazz, ed essendo questo un progetto più commerciale sempre legato al jazz, ho voluto farmi aiutare da Roy, che questo sound lo mastica meglio e da più tempo. È un musicista che stimo molto. Se l’avessi fatto tutto io venendo dal jazz mi sarei andato a complicare la vita, invece lui mi ha dato la struttura del disco».

Infatti, hai lasciato le parti più “jazz” al pianoforte…
«Esatto, mentre nei live l’abbiamo cambiato. Ogni singolo brano è stato rivisto, abbiamo riaperto le tracce affinché alcuni solisti della band potessero esprimersi con degli assoli. Tra l’altro nei live ho inserito anche la voce, Eleonora Tomasino, una cantante siciliana di origini nigeriane molto brava, che fa anche rap, ha scritto dei testi per l’occasione che purtroppo nel disco non ci sono perché in quel periodo Eleonora era impegnata».

In quanti vi muovete?
«In sette, Giacomo Tantillo & The Zizas! Oltre a me, Michele Mazzola sax baritono, Salvatore Sciaratta al trombone, Pietro Sardo all’Euphonium, Gaspare La Sala alla batteria, Giuseppe Preiti alle tastiere e Valeria Tomasino alla voce. La formazione, rispetto ai musicisti che hanno suonato nel disco, è diversa (hanno suonato Fabio Giachino al piano e tastiere, Riccardo Vinci al basso elettrico e Cristian Martina alla batteria, oltre ad Antonio Putzu al duduk e low whistle ne L’orientale, e Vito Scavo al trombone in Cuore abruzzese, Zingarella e Saracena, ndr). Ho optato per una band di musicisti del territorio così possiamo provare senza problemi di spostamenti. Abbiamo fatto dei test sul palco ed è andata bene: la gente si diverte, c’è una bella aria di festa!».

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