Tre dischi per l’8 marzo

Oggi sono usciti tre lavori molto interessanti, diversi tra loro, com’è giusto che sia. Sono tutte artiste, il mio omaggio alla musica al femminile. Ci si muove tra il folk, il jazz e lo spoken world, dunque, nell’ordine, Lorena McKennit, Norah Jones e Moor Mother. Vediamole insieme.

1 – The Road Back Home (Live) – Lorena McKennit
«Ci sono molti modi per definire la parola casa. Potrebbe essere la struttura in cui viviamo, ma possono anche essere le espressioni culturali della comunità che in qualche modo arrivano nei nostri cuori e nelle nostre anime e ci uniscono, senza che ne comprendiamo completamente il motivo». La 67enne cantautrice e polistrumentista canadese ritorna con un disco registrato nel 2023 frutto di quattro concerti tenuti in altrettanti festival tenutisi nel Sud dell’Ontario. Dieci tracce,  molte delle quali risalenti all’inizio della sua carriera. Canzoni “inedite” riproposte con un progetto ben preciso: dopo aver calcato i palchi di tutto il mondo, la McKennitt ha sentito l’esigenza di intraprendere un viaggio all’incontrario per non dimenticare luoghi e aspettative di una giovane musicista che credeva nella forza della sua musica e che oggi è l’indiscussa regina del Contemporary Celtic Folk, con tanto di etichetta discografica fondata nel 1985, la Quinlan Road Limited che, ovviamente, pubblica questo lavoro. Un disco in formato digitale, vinile e cd registrato molto, molto bene e una band “nuova” grazie a un incontro fortuito a Stanford, la città dove Loreena vive da quarant’anni, con alcuni musicisti celtici con cui ha stretto un proficuo sodalizio.

2 – Visions – Norah Jones
A prima vista le reazioni dei vari critici, soprattutto americani, è discorde sull’ultimo lavoro della Jones. Ad ascoltarlo hanno ragione entrambi. Troppo pop? Forse sì, ma che pop! Troppo poco “jazz”? Uhmm… può essere, visto che l’artista ci ha abituati ad altre “profonde riflessioni”. Anche la voce cambia in Visions. Visioni, pennellate che – per stessa dichiarazione di Norah – le sono venute di notte. Non pensieri meditabondi ma immagini positive, anche quando, nella stessa Visions, canta un addio: Visions in my head/And everyone is dead/ And I don’t believe I’ll wake up this time/ It’s time to say goodbyе to your world/ It’s time to say goodbye, brano essenziale, una chitarra, dei fiati e la sua voce. In tutto il lavoro corre quel soul non esasperato, soffice grazie anche al producer, il polistrumentista Leon Michels, membro degli Sharon Jones & the Dap-Kings, band seminale scioltasi con la morte di Sharon nel 2016, che è intervenuto anche nella stesura dei testi. Le dodici tracce volano tra pianoforti, piano Rhodes, fiati, cori, chitarre, synth onirici. Raggi di sole in tempi di pioggia. 

3 – The Great Bailout – Moor Mother
Moor Mother, alias Camae Ayewa, classe 1981, è una musicista, una poetessa, un’attivista. Non poteva non un lavoro denso, ispirato, da ascoltare con molta calma e predisposizione, forse il più difficile che ha pubblicato. Un abbandono ai suoi racconti come in Guilty, singolo che ha anticipato l’album e che apre il disco, dove troviamo Lonnie Holley, l’arpista Mary Lattimore e la cantautrice Raia Was, uno spoken word di dieci minuti che elenca le ingiustizie della Gran Bretagna colonialista, sovrapponendo in modo stridente la durezza delle parole alla musica eterea, quasi angelica dettata dall’arpa. Un disco che segue questi “opposti” li cerca con un’elettronica pesante un rumore acido, scomodo, irritante in contrapposizione ai vocalismi di Kyle Kidd in Compensated Emancipation o in Liverpool Wins. Un disco di denuncia, duro straziante che alla fine ti lascia senza parole. Non è per tutti, ma tutti possono provare a berlo a piccoli sorsi. Voci che si rincorrono in cerca di polifonia, rumori di fondo per sporcare o rendere ancora più efficace il messaggio. Qualcuno l’ha definita “una lettura fredda e crudele dei fatti della storia dell’America e della brutalità razziale dell’Occidente in generale, compreso il modo in cui si manifesta attraverso le linee di genere e di sessualità ». Ecco che un senso tutto questo ce l’ha e non solo perché oggi è l’8 marzo…