L’eredità sociale (e musicale) degli anni Ottanta in un libro

Per uno come me, nato agli inizi dei Sessanta del secolo scorso, dove c’era solo la televisione in bianco e nero con un paio di canali, l’evoluzione tech e l’involuzione culturale della specie umana sembrano il viaggio a bordo di un’astronave narrato da Kurt Vonnegut: Winston Niles Rumfoord e il suo cane Kazak in giro per lo spazio profondo risucchiati in un infundibulo cronosinclastico. Distorsioni temporali, queste sono state le tappe dell’adolescenza e della giovinezza di chi è nato in quegli anni.

Adolescenti nei Settanta, con la colonna sonora di Led Zeppelin, Genesis, Yes, King Crimson, Pink Floyd, Guccini, De Andrè, Dalla, Sly & the Family Stone, Marvin Gaye…, affascinati dalle ideologie, con la voglia di conoscere, con la presunzione di farcela comunque, dall’essere contro per necessità vitale.

Giovani uomini e donne negli Ottanta. E qui quel dispettoso infundibulo cronosinclastico ci ha mandati dritti in un bel guaio: dall’idea di comunità si passa al singolare, dall’impegno si scivola nell’edonismo, dalla cultura dell’apprendere si perpetua la licenza del disinteresse. Nei Novanta, quando di anni ne avevamo trenta, l’edonismo ha ceduto alla depressione e, nella musica al grunge dei Nirvana e al pessimismo indie dei Radiohead… Il resto fino ai giorni nostri non è marcante. Anzi, a ben guardare, l’aeronave di Niles continua a stazionare nel parcheggio degli Eighties, con spostamenti minimi. 

Vi starete chiedendo se prima di scrivere queste righe mi sono scolato una cassa di Raboso del Piave di Cecchetto. Invece, la stura dei pensieri, che è un po’ l’inizio di una fase di riorganizzazione dei ricordi, me l’ha fornita un libro che consiglio di leggere, Gli Ottanta. L’Italia tra evasione e illusione di Luca Pollini (E115, 480 pagg, 22 euro).

Luca è un giornalista e saggista, attualmente è il direttore di una storica rivista degli anni Settanta che ha riportato in vita nel marzo scorso, Re Nudo, magazine trimestrale e sito internet. Sì, proprio quella che organizzò il festival omonimo di cultura alternativa anche a Milano al parco Lambro: nella prima edizione meneghina del 1974 suonarono Angelo Branduardi, Biglietto per l’Inferno, PFM, Alan Sorrenti, Demetrio Stratos, Adriano Pappalardo, Pino Daniele…

Il mio amico Alessandro, che a quei tempi si destreggiava in una delle prime emittenti radiofoniche libere che aveva contribuito a fondare, conserva gelosamente un vinile del ’75 che testimonia quel Re Nudo, tra musica, imprecazioni, discorsi seri, semiseri e cazzari. Il prossimo anno cadranno i 50 da quel lontano ’74, e il bravo Pollini sta organizzando un festival in onore e lascito di quegli anni, sempre dedicato alla cultura alternativa. Forse al Parco Lambro, molto più probabilmente alla Triennale di Milano.

Gli Ottanta. L’Italia tra evasione e illusione non è un romanzo, e nemmeno un saggio. È pura cronaca, e la sua bellezza sta proprio qui. Una miriade di fatti. Messi in fila, divisi tra politica, musica, comunicazione, arte, vicende di cronaca bianca e cronaca nera che fotografano il decennio in questione. A leggere quel diario appuntato con meticolosità, oggi si riesce a vedere ancora più distintamente gli Ottanta che qualcuno ha definito mitici, invece altri, leggi Indro Montanelli, “di fango”.

Non sono stati due lustri qualsiasi, questo è certo, piuttosto un solco profondo che ha diviso il prima e il dopo, «l’esplosione del consumismo e la fine del comunismo», sostiene con sapida sintesi Pollini. «Un decennio dove i giovani dicono basta all’impegno sociale e non si ribellano più. La prima generazione post-ideologica, dove la lotta di classe viene sostituita dalla lotta per il possesso», continua l’autore.

È il periodo dove, non a caso, gli stilisti rendono il capo firmato un oggetto di desiderio accessibile inventandosi il prét-à-porter. Il periodo dove vengono gettate le fondamenta per quell’illusione wharoliana di notorietà che i social hanno oggi amplificato all’infinito. «La superfamiglia Giannini (sei gemelli, primo caso italiano, ndr) è stato il primo caso di esposizione mediatica», continua Luca. «Oggi, con le dovute differenze, soprattutto economiche, esiste la famiglia Ferragnez. E ancora: Alfredino Rampi, il bimbo che cadde in un pozzo a Vermicino nel 1981 e che non si riuscì a salvare: fu il primo esempio di reality nella storia della televisione». Oggi i reality… beh lasciamo stare! 

E la musica? Già la musica: ha agito di conseguenza, salvo dovute eccezioni. Vale la frase che viene citata anche nel libro: «Spararono a John Lennon e iniziò un decennio di merda», ricorda sempre Luca. 

Gli Ottanta sono stati un decennio “leggero e spensierato” anche in quest’arte. Il mainstream cambia: non più il rock dei grandi gruppi, ma il pop, anzi, il rock si adegua al pop, per essere più precisi. E poi c’è la disco music che in Italia si traduce nello spaghetti-disco (Righeira, Sandy Marton, Sabrina Salerno, e via elencando). Illusione e leggerezza. In quegli anni stazionavo tra i Ramones, i Police, Miles Davis e Chuck Mangione, Clapton, i Dire Straits, i Green Day, i Disnosaur Jr., gli Smiths… cercando di evitare con tutte le mie forze quella leggerezza forzata. Deformazione adolescenziale dei Settanta «dove esisteva una colonna sonora comune, che univa, si andavano a comprare i dischi in negozio dopo ampie consultazioni e poi si chiamavano gli amici per ascoltare insieme», commenta sempre l’autore. 

Claudio Cecchetto, che ebbe l’intelligenza di intercettare il sentimento di quegli anni, nell’introduzione del libro lo spiega perfettamente:

«…come ogni rivoluzione, anche quella degli anni Ottanta significava cambiamento, totale: tutto doveva essere nuovo o, meglio, “di moda”. Ogni cosa invecchiava nel giro di poco, pochissimo tempo: i vestiti, le auto, la musica… Tutto era “usa e getta”, veniva creato in fretta e altrettanto in fretta buttato perché ci si voleva divertire… consumando. La novità diventava la caratteristica più ambita, più desiderata, a volte anche a scapito della qualità. Avevi un’idea? Avevi anche lo spazio, la possibilità di emergere, di farti notare. Tutti volevano cose nuove, ma serviva chi le inventasse, chi le creasse; c’era un bisogno senza limiti da soddisfare». 

E veniamo al 2023. Nell’anno dell’Intelligenza Artificiale aperta a tutto e a tutti, musica inclusa, quattro decenni dopo, siamo ancora intrappolati con poche voci fuori dal coro in quel mondo, effimero, post ideologico, condizionato dall’apparire a tutti i costi.

I social hanno dato un bell’aiutino. Il solipsismo è inevitabile. «Gli Ottanta non sono finiti, quell’opera di trasformazione culturale e politica continua ancora. Per capirlo basta osservare le auto che passano: 50 anni fa erano ben caratterizzate, riconoscevi da lontano il modello, oggi sono tutte più o meno uguali. È un mondo piatto, omogeneo. Così anche la musica. L’ascolto digitale dei brani, la visione digitale dei film allontana dalla realtà. Tra dieci anni nessuno saprà più vedere e capire la bellezza di un film. Guardare Barry Lindon di Kubrick, girato tutto in luce naturale e a lume di candela, è impossibile su un telefonino per noi che l’abbiamo visto al cinema. Sinceramente, i ragazzi oggi mi fanno tenerezza», conclude Luca.

E io, come il cinico Winston Niles Rumfoord che può vedere e prevedere passato e futuro grazie a quell’imbuto (infundibulum) in cui s’era infilato, continuerò a registrare questi passaggi. Ovviamente con un buon calice di Raboso in mano, accompagnato da una generosa fetta di salame con del pane croccante.

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