Federico Ortica e Andrea Palombini: così canta il Mare

Ritorno su un artista che ho intervistato lo scorso anno. Si tratta di Federico Ortica, 41 anni, docente di Composizione Elettroacustica al Conservatorio Francesco Antonio Bonporti di Trento e sound designer di fama. Lo avevo sentito nel giugno del 2020 per un suo progetto che aveva del fantastico: far suonare gli alberi, usare una foresta come cassa di risonanza, ma anche sentire e rielaborare i rumori che gli alberi fanno di continuo, la linfa che scorre, le foglie che tremano impercettibilmente al vento, i rami che scricchiolano.

Esseri vivi come il mare che Federico, insieme ad Andrea Palombini, musicista e skipper che dal 2020 porta avanti un progetto battezzato Onde Sonore il cui sottotitolo è un gioco di parole: musica da mare, hanno deciso di far cantare.

Andrea Palombini, al timone, e Federico Ortica i protagonisti di questo incredibile viaggio sonoro.

È stato lo stesso Federico a chiamarmi «Ciao Beppe, sono in barca con Andrea, siamo partiti da Palermo e arriveremo a Olbia. Dieci giorni di viaggio per captare, con sofisticati microfoni, la vita nell’acqua durante la navigazione, nei porti, di notte e di mattina presto, e sull’imbarcazione – un Jeanneau Sun Odissey 40 – per cogliere la vera essenza dell’andar per mare». Nel progetto è coinvolta anche L’Associazione Spazio Musica di Cagliari, prestigioso luogo della musica d’avanguardia (si occupa di ricerca e produzione musicale da 39 anni).

Incuriosito, conoscendo Fabrizio, gli ho detto subito: «Mi interessa, eccome!». E lì sono partito con le domande: quanti microfoni, che tipo di apparecchiatura, cosa avete sentito, che sensazioni ne avete ricavato, ma il mare e la barca suonano davvero… insomma, una sana curiosità difronte a un progetto che unisce scienza e arte.

«In acqua abbiamo quattro idrofoni che possono arrivare fino a 9 metri di profondità, microfoni direzionali per catturare ogni minima vibrazione sulla barca e un mixer». Per l’esattezza, prosegue Ortica, «siamo partiti con dieci microfoni a contatto, quattro idrofoni, quattro microfoni ambientali, due trasduttori elettroacustici, più il Mixer, un impianto audio, due camere, un modem portatile. E poi gli strumenti: chitarra elettrica, amplificatori, ukulele, tromba, cajon e percussioni…  Abbiamo messo in risonanza la barca, è diventata una barca canterina… e a oggi, abbiamo registrazioni per oltre 10 giga», racconta Federico entusiasta.

Con questo viaggio-esperimento Ortica e Palombini – con l’aiuto di Nicola Casetta al field recording e di Andrea Marchi allo streaming audio/video, quest’ultimo assai complicato in barca – vogliono dimostrare anche che il suono dell’acqua non è solo il banale (anche se bellissimo e tranquillante) frangersi delle onde sugli scogli, ma rumori che, senza quei sofisticati microfoni, in navigazione non si sentirebbero, confusi con i tanti prodotti dall’imbarcazione, dal vento, dai flutti.

Oltre all’esperimento sonoro, durante il viaggio che si concluderà domattina, 5 giugno, a Olbia, ci sono stati incontri con musicisti che hanno usato come basi questi nuovi suoni per improvvisare, creando così melodie dove l’acqua assume una parte fondamentale del tutto. Emozioni? «Tante, sentire il canto dei delfini sott’acqua mi fa fatto venire la pelle d’oca, una registrazione meravigliosa, come pure le sartie in acciaio: in navigazione si sono trasformate in un’interessante sezione ritmica». Alcune registrazioni le potete ascoltare sul sito di Onde Sonore.

Chi ha avuto la fortuna di trovarsi nei porti di attracco di Onde Sonore, ha potuto ascoltare le registrazioni montate da Federico, ma anche artisti come Alessandro Deledda, pianista che ama contaminare jazz ed elettronica e che in barca ha presentato il suo ultimo lavoro La Linea del Vento: se volete ascoltarlo andate sul suo sito. Non lo cito a caso: provate ad ascoltare, per esempio, il brano di Deledda Have You Met Mr. Pongo? e aggiungeteci, dal sito di Onde Sonore, la registrazione della “Navigazione da Cagliari a Villasimius”: troverete assonanze e una melodia che fonde jazz e mare, pianoforte e vento…

Federico Ortica: la frontiera della musica? Tra legno e acciaio

La foresta di Piegaro in Umbria

La risonanza prima del suono. Il suono prima della musica. Per chi si occupa di composizione elettroacustica la ricerca del suono prodotto grazie alle vibrazioni degli elementi più improbabili, dagli alberi all’acciao, equivale alla ricerca del sacro Graal. Ore e ore di pazienti registrazioni, studi di sensori creati appositamente, software complessi. Il tutto per riuscire a carpire un suono che potrà poi esprimersi in una melodia, quindi, provocare emozioni, riflessioni, ma anche studio e composizione. Un percorso ad anello che guarda oltre il prevedibile… 

Questa ricerca è la materia di insegnamento (e studio continuo) di Federico Ortica. Perugino, 40 anni, musicista – ha studiato percussioni e musica elettronica – ed è docente di Composizione Elettroacustica al Conservatorio Francesco Antonio Bonporti di Trento. Federico è anche un sound designer, le sue performance sono viaggi sonori e visivi che richiedono mesi di preparazione e che creano una solida connessione tra geofonia, paesaggio sonoro e suono sintetico. 

Uno dei lavori che ha fatto molto parlare di lui qui in Italia, è quello che ha presentato nel luglio 2018 nella foresta di Piegaro, in Umbria, 146 ettari di bosco di proprietà della famiglia Margaritelli, la stessa del marchio Listone Giordano, brand di pavimenti in legno di lusso (una delle eccellenze italiane). Dal 2017 alcuni alberi di questa foresta protetta sono oggetto di studio e di esperimenti scientifici per monitorare la salute dell’ecosistema e, dunque, il benessere del territorio. 

In quest’angolo sospeso, il bravo Ortica ha stupito e coinvolto i presenti in una performance notturna per certi versi straordinaria. L’artista ha ripetuto lo spettacolo anche in Trentino, a Fai della Paganella, nel settembre dello scorso anno a Orme, il festival dei Sentieri, con una rappresentazione simile, Resonantrees, dove ha fatto suonare e “muovere” visualmente dei faggi anche grazie al video mapping curato da Andrea Marchi, esperto di progettazione e video.

Federico Ortica

La materia d’insegnamento e la sua attività artistica mi affascinano molto, quindi ho deciso di chiamarlo e di farmi raccontare il suo modo di fare musica.

Di solito si suonano strumenti fatti con il legno di alberi ma non l’albero stesso…
«Uno degli aspetti del mio lavoro è fare ricerca sulla risonanza dei materiali. Risonanza vuol dire anche mettere in vibrazione un determinato oggetto e capire in che modo può entrare, appunto, in risonanza. L’albero in sé è una forma di vita apparentemente immobile. Ha un’altra funzione nella sua vita, non certo quella di produrre suoni. Così ho modificato dei piccoli trasduttori che fissati nel legno possono sia captare che trasmettere suoni…».

Cioè fai diventare l’albero un diffusore acustico?
«Praticamente sì. Tramite un trasduttore, un dischetto fissato nella corteccia, collegato a un amplificatore e al computer, come si collegherebbe normalmente una cassa acustica. Invece di far vibrare il cono della cassa, induce vibrazioni nella pianta. Questi oggetti non sono invasivi, non compromettono la salute dell’albero, ma sono sufficienti a trasmettere un suono dentro al tronco. L’albero è una cassa acustica molto particolare, il suono si diffonde dalle radici ai rami e, in base alle frequenze, esprime suoni».

L’installazione dei trasduttori – Frame video

Sono anni che si studiano questi fenomeni…
«Certo. Queste esperienze servono a far capire cosa ci dice la natura. Ci sono molti colleghi che fanno lavori incredibilmente interessanti. Uno di questi è David Monacchi che nella sua lunga ricerca ha progettato anche un luogo “Sonosfera” ospitato nei Musei Civici di Pesaro, a Palazzo Mosca, dove possono essere ascoltate queste registrazioni o lo spagnolo Francisco Lópezmusicista e uno dei massimi esperti nella captazione di suoni. Per preparare la performance nel bosco di Piegaro mi ci sono voluti mesi. Ho fatto molte registrazioni in periodi diversi e in varie ore del giorno, che poi ho lavorato e rielaborato, un mix composto da soundscape naturali e suoni di sintesi digitali».

Fammi capire: gli alberi stimolati producono dei suoni che vengono lavorati digitalmente e poi, durante la performance reintrodotti nell’albero che ha la funzione di una cassa acustica…
«In sintesi sì. La cosa interessante è che quando ascolti in sistemi composti da quattro o sei casse avverti nitidamente da dove proviene il suono perché queste sono disposte in un determinato modo. Con gli alberi, invece, non riesci a stabilire una diffusione lineare, non senti da che parte arriva il suono, è un continuo rimbalzare di onde sonore che creano una spazializzazione indefinita ma avvolgente. La cosa interessante per il pubblico è che può interagire abbracciando gli alberi, sentendo le loro vibrazioni. Èd è una bella sensazione appoggiare l’orecchio al tronco e sentire i suoni che vengono da dentro».

Federico Ortica fa suonare gli alberi di Piegaro – Frame video

Quanti trasduttori metti in un albero?
«Sono diversi, dipende dal tipo di albero e dalla grandezza del tronco, di solito una ventina per una questione di potenza, di watt: trasmettendo frequenze diverse nello stesso albero si possono anche ottenere battimenti e illusioni acustiche molto interessanti. Con suoni molto gravi senti vibrare le radici sotto i piedi».

Hai lavorato anche con altri materiali oltre agli alberi?
«Ho iniziato con lastre di acciaio armonico di un metro per un metro per uno spessore di 0,5 millimetri. Le appendo e le metto in vibrazione tramite trasduttori, mentre proietto immagini sulle lastre stesse… sono installazioni immersive».

Solen – Installazione con lastre di acciaio armonico

Di cosa ti stai occupando ora?
«Sto lavorando a un progetto che mi sta affascinando molto: riuscire a prendere il suono dentro l’albero e sentire, tramite delle casse acustiche, cosa succede all’interno di una pianta. È straordinario percepire quanta attività ci sia lì dentro! Per ora ho registrato il rumore dell’acqua che passa all’interno, ma anche i micromovimenti della pianta. In cuffia riesci ad ascoltare nitidamente anche una foglia che si muove. Sono suoni affascinanti che permettono di vedere l’albero come una forma di vita attiva, anche se apparentemente è immobile. Applicando certi tipi di microfoni, ad esempio, in giornate ventose, senti scricchiolii tremendi, sembra che debba spaccarsi tutto da un momento all’altro, e anche a volumi molto alti».

Poi registri e rielabori?
«Quando sintetizzi i suoni perdi il romanticismo dell’attimo in cui li ascolti dal vivo, in cuffia. Trascuri il lato emozionale che puoi avere in una situazione in tempo reale. La natura ha un milione di suoni in più non controllati dall’uomo, il quale, per inciso, ci sta mettendo un bell’impegno per rovinare tutto ciò. L’inquinamento acustico è diffuso, c’è una tonica di sottofondo formata purtroppo dal rumore del traffico, un bordone a cui ormai non facciamo più caso. Nella foresta di Piegaro o anche al Fai della Paganella, per esempio, è stato bello trovare una tonica di sottofondo costituita da suoni della natura».

Momento della performance nella foresta di Piegaro – Frame video

Breve divagazione sulla composizione elettronica, tua materia di insegnamento, cosa mi dici?
«Ormai comprende tanti stili e ruoli diversi. Anche nel pop c’è un uso supermassiccio. Fino a qualche anno c’era molta distinzione fra musica elettronica considerata colta e quella più pop considerata non colta. Per fortuna la rigida e inutile divisione sta scomparendo e stiamo assistendo a una contaminazione molto interessante. Tradotto nel lato musicale, significa poter spaziare in tutti questi nuovi campi – sound design, clubbing, sound art, installazioni sonore, performance, sensistica varia dei new media art. Chi progetta e compone un suono si deve confrontare con tutte queste realtà. Posso dirti che l’oceano della composizione elettronica è pieno di raffiche interessanti che arrivano da tutte le direzioni ed è difficile mantenere una traiettoria. È fondamentale sapersi orientare per ricercare il vento giusto che ci spingerà nella rotta che abbiamo in testa».

Che genere di musica ascolti?
«Tutto, perché tutto ha un perché. Se vuoi utilizzare il suono in modo originale devi ascoltare – e tanto – per capire dove sta andando il mondo. Comunque un artista che trovo molto interessante, nel mio campo di interesse è sicuramente Ryoichi Kurokawa (classe 1978, nato in Giappone ma vive e lavora a Berlino, n.d.r.). Ascoltatelo qui in al-jabr (algebra).