Federico Ortica: la frontiera della musica? Tra legno e acciaio

La foresta di Piegaro in Umbria

La risonanza prima del suono. Il suono prima della musica. Per chi si occupa di composizione elettroacustica la ricerca del suono prodotto grazie alle vibrazioni degli elementi più improbabili, dagli alberi all’acciao, equivale alla ricerca del sacro Graal. Ore e ore di pazienti registrazioni, studi di sensori creati appositamente, software complessi. Il tutto per riuscire a carpire un suono che potrà poi esprimersi in una melodia, quindi, provocare emozioni, riflessioni, ma anche studio e composizione. Un percorso ad anello che guarda oltre il prevedibile… 

Questa ricerca è la materia di insegnamento (e studio continuo) di Federico Ortica. Perugino, 40 anni, musicista – ha studiato percussioni e musica elettronica – ed è docente di Composizione Elettroacustica al Conservatorio Francesco Antonio Bonporti di Trento. Federico è anche un sound designer, le sue performance sono viaggi sonori e visivi che richiedono mesi di preparazione e che creano una solida connessione tra geofonia, paesaggio sonoro e suono sintetico. 

Uno dei lavori che ha fatto molto parlare di lui qui in Italia, è quello che ha presentato nel luglio 2018 nella foresta di Piegaro, in Umbria, 146 ettari di bosco di proprietà della famiglia Margaritelli, la stessa del marchio Listone Giordano, brand di pavimenti in legno di lusso (una delle eccellenze italiane). Dal 2017 alcuni alberi di questa foresta protetta sono oggetto di studio e di esperimenti scientifici per monitorare la salute dell’ecosistema e, dunque, il benessere del territorio. 

In quest’angolo sospeso, il bravo Ortica ha stupito e coinvolto i presenti in una performance notturna per certi versi straordinaria. L’artista ha ripetuto lo spettacolo anche in Trentino, a Fai della Paganella, nel settembre dello scorso anno a Orme, il festival dei Sentieri, con una rappresentazione simile, Resonantrees, dove ha fatto suonare e “muovere” visualmente dei faggi anche grazie al video mapping curato da Andrea Marchi, esperto di progettazione e video.

Federico Ortica

La materia d’insegnamento e la sua attività artistica mi affascinano molto, quindi ho deciso di chiamarlo e di farmi raccontare il suo modo di fare musica.

Di solito si suonano strumenti fatti con il legno di alberi ma non l’albero stesso…
«Uno degli aspetti del mio lavoro è fare ricerca sulla risonanza dei materiali. Risonanza vuol dire anche mettere in vibrazione un determinato oggetto e capire in che modo può entrare, appunto, in risonanza. L’albero in sé è una forma di vita apparentemente immobile. Ha un’altra funzione nella sua vita, non certo quella di produrre suoni. Così ho modificato dei piccoli trasduttori che fissati nel legno possono sia captare che trasmettere suoni…».

Cioè fai diventare l’albero un diffusore acustico?
«Praticamente sì. Tramite un trasduttore, un dischetto fissato nella corteccia, collegato a un amplificatore e al computer, come si collegherebbe normalmente una cassa acustica. Invece di far vibrare il cono della cassa, induce vibrazioni nella pianta. Questi oggetti non sono invasivi, non compromettono la salute dell’albero, ma sono sufficienti a trasmettere un suono dentro al tronco. L’albero è una cassa acustica molto particolare, il suono si diffonde dalle radici ai rami e, in base alle frequenze, esprime suoni».

L’installazione dei trasduttori – Frame video

Sono anni che si studiano questi fenomeni…
«Certo. Queste esperienze servono a far capire cosa ci dice la natura. Ci sono molti colleghi che fanno lavori incredibilmente interessanti. Uno di questi è David Monacchi che nella sua lunga ricerca ha progettato anche un luogo “Sonosfera” ospitato nei Musei Civici di Pesaro, a Palazzo Mosca, dove possono essere ascoltate queste registrazioni o lo spagnolo Francisco Lópezmusicista e uno dei massimi esperti nella captazione di suoni. Per preparare la performance nel bosco di Piegaro mi ci sono voluti mesi. Ho fatto molte registrazioni in periodi diversi e in varie ore del giorno, che poi ho lavorato e rielaborato, un mix composto da soundscape naturali e suoni di sintesi digitali».

Fammi capire: gli alberi stimolati producono dei suoni che vengono lavorati digitalmente e poi, durante la performance reintrodotti nell’albero che ha la funzione di una cassa acustica…
«In sintesi sì. La cosa interessante è che quando ascolti in sistemi composti da quattro o sei casse avverti nitidamente da dove proviene il suono perché queste sono disposte in un determinato modo. Con gli alberi, invece, non riesci a stabilire una diffusione lineare, non senti da che parte arriva il suono, è un continuo rimbalzare di onde sonore che creano una spazializzazione indefinita ma avvolgente. La cosa interessante per il pubblico è che può interagire abbracciando gli alberi, sentendo le loro vibrazioni. Èd è una bella sensazione appoggiare l’orecchio al tronco e sentire i suoni che vengono da dentro».

Federico Ortica fa suonare gli alberi di Piegaro – Frame video

Quanti trasduttori metti in un albero?
«Sono diversi, dipende dal tipo di albero e dalla grandezza del tronco, di solito una ventina per una questione di potenza, di watt: trasmettendo frequenze diverse nello stesso albero si possono anche ottenere battimenti e illusioni acustiche molto interessanti. Con suoni molto gravi senti vibrare le radici sotto i piedi».

Hai lavorato anche con altri materiali oltre agli alberi?
«Ho iniziato con lastre di acciaio armonico di un metro per un metro per uno spessore di 0,5 millimetri. Le appendo e le metto in vibrazione tramite trasduttori, mentre proietto immagini sulle lastre stesse… sono installazioni immersive».

Solen – Installazione con lastre di acciaio armonico

Di cosa ti stai occupando ora?
«Sto lavorando a un progetto che mi sta affascinando molto: riuscire a prendere il suono dentro l’albero e sentire, tramite delle casse acustiche, cosa succede all’interno di una pianta. È straordinario percepire quanta attività ci sia lì dentro! Per ora ho registrato il rumore dell’acqua che passa all’interno, ma anche i micromovimenti della pianta. In cuffia riesci ad ascoltare nitidamente anche una foglia che si muove. Sono suoni affascinanti che permettono di vedere l’albero come una forma di vita attiva, anche se apparentemente è immobile. Applicando certi tipi di microfoni, ad esempio, in giornate ventose, senti scricchiolii tremendi, sembra che debba spaccarsi tutto da un momento all’altro, e anche a volumi molto alti».

Poi registri e rielabori?
«Quando sintetizzi i suoni perdi il romanticismo dell’attimo in cui li ascolti dal vivo, in cuffia. Trascuri il lato emozionale che puoi avere in una situazione in tempo reale. La natura ha un milione di suoni in più non controllati dall’uomo, il quale, per inciso, ci sta mettendo un bell’impegno per rovinare tutto ciò. L’inquinamento acustico è diffuso, c’è una tonica di sottofondo formata purtroppo dal rumore del traffico, un bordone a cui ormai non facciamo più caso. Nella foresta di Piegaro o anche al Fai della Paganella, per esempio, è stato bello trovare una tonica di sottofondo costituita da suoni della natura».

Momento della performance nella foresta di Piegaro – Frame video

Breve divagazione sulla composizione elettronica, tua materia di insegnamento, cosa mi dici?
«Ormai comprende tanti stili e ruoli diversi. Anche nel pop c’è un uso supermassiccio. Fino a qualche anno c’era molta distinzione fra musica elettronica considerata colta e quella più pop considerata non colta. Per fortuna la rigida e inutile divisione sta scomparendo e stiamo assistendo a una contaminazione molto interessante. Tradotto nel lato musicale, significa poter spaziare in tutti questi nuovi campi – sound design, clubbing, sound art, installazioni sonore, performance, sensistica varia dei new media art. Chi progetta e compone un suono si deve confrontare con tutte queste realtà. Posso dirti che l’oceano della composizione elettronica è pieno di raffiche interessanti che arrivano da tutte le direzioni ed è difficile mantenere una traiettoria. È fondamentale sapersi orientare per ricercare il vento giusto che ci spingerà nella rotta che abbiamo in testa».

Che genere di musica ascolti?
«Tutto, perché tutto ha un perché. Se vuoi utilizzare il suono in modo originale devi ascoltare – e tanto – per capire dove sta andando il mondo. Comunque un artista che trovo molto interessante, nel mio campo di interesse è sicuramente Ryoichi Kurokawa (classe 1978, nato in Giappone ma vive e lavora a Berlino, n.d.r.). Ascoltatelo qui in al-jabr (algebra).

Musica e Moda/ Così nasce la colonna sonora per una sfilata

La prossima settimana, dal 18 al 24 febbraio, a Milano si terrà la Fashion Week. Passerelle, eventi, viavai di modelli/i, eccentricità autentica e ostentata… ma anche musica. Sfilate e note sono un binomio essenziale e perfetto, uno dei registri usati dagli stilisti per mostrare collezioni e comunicare tendenze, raccontando storie in passerella. Ricordate Grace Jones, 70 anni portati con la spavalderia di una quarantenne, sulla catwalk parigina di Tommy Hilfiger? Ha sfilato e danzato sulle note di Pull Up To The Bumper, suo successo del 1981.

Alberto Riva

Per farmi raccontare l’importanza della musica nella presentazione di una collezione di moda ho fatto una lunga chiacchierata e relativa intervista (vale la pena leggerla tutta!) con Alberto Riva, 60 anni, musicista, produttore, compositore… Alberto è il classico artista, creativo e vulcanico, milioni di aneddoti da raccontare e una sterminata conoscenza di musica. Breve curriculum vitae, tastierista di Jo Squillo, membro del Gruppo Caribe, quelli che tra il 1988 e il 1994, fecero nascere e crescere le “One Nights” milanesi dalle balere di liscio all’Ippodromo del Galoppo. Quindi, sound designer per grandi stilisti, professore di storia della musica (docenze allo IED), organizzatore di eventi…

Dritti al punto: quanto è importante la musica in una sfilata di moda?

«Per me è fondamentale. È una sfaccettatura di quello che sei come stilista, del tuo mondo, richiama i sensi, dà il ritmo di uscita in passerella, evoca sensazioni…».

Doverosa precisazione: c’è la soundtrack creata da musica di repertorio e quella composta per l’occasione. Puoi raccontarci come nasce il tutto?

«Si parte con un primo briefing con lo stilista. Quindi inizio la ricerca dei brani più adatti da sottoporre a un secondo incontro: frugo nel mio enorme archivio, nei negozietti di dischi usati, sulle piattaforme digitali. Brani vecchi, vecchissimi, moderni e modernissimi, talvolta ricevuti promozionalmente dalle case discografiche prima ancora d’essere lanciati sul mercato. Una volta scelti (in abbondanza) mi incontro con lo stilista (o con il suo team creativo) per selezionarli. Sono diversi, a seconda che l’evento si faccia a Milano, Parigi o in Germania, e che sia per la linea Uomo o Donna. Il numero varia in base a due fattori: la durata dello show e i tagli, cioè il tempo di ogni singolo brano (talvolta in relazione alle uscite degli abiti divisi per tema) all’interno della sfilata stessa. Mediamente si utilizzano dai cinque ai 15 brani».

Quindi si passa al mixaggio…

«È la fase più importante del lavoro, che permette di avere una microvisione all’interno della macrovisione, entrando all’interno di ogni singolo brano in un processo chiamato “Edit”. Posso così scegliere le parti migliori di ogni singola canzone, tagliare l’intro o la coda, raddoppiarne frammenti più o meno lunghi, togliere alcune parti, eventualmente, fare sovraincisioni, talvolta anche con strumenti musicali aggiunti. Queste ultime sono molto importanti, perché offrono la possibilità di far suonare all’unisono per un certo periodo di tempo due brani o parte di essi, anche piuttosto diversi tra loro, come quando ho scelto una canzone di Bugo, C’è Crisi, con una di Petrolini, Ma cos’è questa crisi. Altrettanto fondamentali sono i passaggi che legano i brani con atmosfere sonore diverse, che risulteranno gradevolmente armoniche dopo essere state trattate con infiniti accorgimenti tecnici, come effetti sonori, loop, echi, delay, spazializzazione del suono… A mixaggio semidefinitivo ci si incontra di nuovo con lo stilista per sottoporre il risultato, intervenendo con leggere modifiche, anche in relazione alle uscite degli abiti. Quindi si procede con il mix definitivo della colonna sonora che andrà in scena.

E arriviamo all’evento clou, la sfilata. 

«Va più o meno così: mi trovo in Regia Audio, a fianco della Regia Luci, coordinata e gestita dal Direttore delle luci con cui lavoro in sintonia. Ben lontani i tempi in cui si operava con registratori e nastri Revox, cassette, cassette Dat, minidisc e Compact disc, oggi la tecnologia utilizza chiavette usb o direttamente computer! In Regia Audio utilizzo un monitor audio di riferimento per i volumi di sala e sono attrezzato con mixer, cuffia per i mixaggi, due/tre lettori cd con chiavetta sulla quale ho montato le varie parti musicali dello show (generalmente: intro a passerella vuota, sfilata, sera, finale) e gli effetti sonori. Il tutto confluisce in amplificatori e diffusori audio, woofer e subwoofer commisurati all’ampiezza della sala. Se la regia è posizionata fuori vista, ho a disposizione un monitor video per vedere le quinte d’uscita e la passerella stessa. Il Direttore delle luci e il sottoscritto (che potrebbe essere definito Sound Designer, erroneamente DJ, ma io preferisco Menestrello!) sono dotati di intercom (cuffia con microfono che permette di ascoltare e parlare), in collegamento con il regista della sfilata, che si trova dietro le quinte, assieme allo stilista e alle modelle che usciranno. È lui che ci trasmette gli start/stop, i cambi e quant’altro (allunga questo brano, riduci un po’ la luce per quest’uscita, vai a buio, pronto per il mix con la musica del finale, aspetta…, aspetta… ora…, cambio!).

Qui potete ascoltare e vedere un lavoro di Alberto Riva per NABA, l’accademia di belle arti, registrato alla Triennale di Milano lo scorso anno, curato da Romeo Gigli… Con lo stilista Alberto collabora da oltre un decennio: «Ha una grande cultura e un’infinita curiosità musicale. Lavorare con lui è sempre stimolante…».

Il tuo lavoro in sala, però, inizia prima…

«Sì, quando il pubblico entra faccio partire la cosiddetta musica “del sitting” che, pur essendo diffusa a volume non alto, riflette di solito lo spirito musicale che si ascolterà durante la sfilata. È importante perché inizia a mettere lo spettatore in uno stato d’animo ideale per fruire dello spettacolo. Può durare un’ora o più: bisogna tener conto dei temuti, quanto probabili, ritardi tra l’orario d’inizio previsto per la nostra sfilata e quella precedente, a sua volta ritardata da quella ancora precedente e così via… Bisogna permettere ai giornalisti e ai buyers più importanti di raggiungere la location e di prendere posto in sala. Quando il pubblico s’è accomodato e dietro le quinte tutto è pronto, il regista dà gli ok per l’inizio».

Il tuo compito?

«Ora è semplice: premo “Play” sul mio lettore audio e, a passerella vuota, musica, luci e marchio del Brand sono i padroni della scena. L’intercom trasmette: “Quattro, tre, due, uno, FUORI!”…Cambiano le luci, io cambio musica, sfumo la traccia numero uno, quella dell’Intro, e alzo dolcemente il cursore del lettore audio con la seconda traccia, la più corposa, quella della Sfilata vera e  propria. Ok, la prima modella è in scena, il primo cambio musica è perfetto; ora la colonna sonora si snoda tranquillamente, già mixata e preparata con i cambi di canzone e d’atmosfera. Le modelle sfilano una dopo l’altra finché si riaccende la lucina di chiamata intercom: “Audio e Luci, attenzione! La ragazza appena uscita in passerella è l’ultima, sta per entrare la “Sera”, cioè gli abiti da cerimonia. La seconda traccia se ne va e parte la terza, attribuita alla “Sera”, generalmente con musica più soft e suadente, con ulteriore cambio luci. Gli abiti da sera, quando ci sono, sono di solito molti meno rispetto alla sfilata vera e propria, così, dopo pochi minuti, arriva un’ altra allerta: “Attenzione, la ragazza con l’abito lungo rosso è l’ultima della “Sera”. Pronti al Finale!”

Qual è il momento più difficile?

«Insieme all’inizio, proprio quest’ultimo: bisogna sincronizzare l’uscita di scena dell’ultima ragazza, il semibuio e conseguente deciso cambio luci, contemporaneo all’uscita in scena di tutte le ragazze per il “Finale”, a sua volta sincronizzato con la sfumata della musica “Sera” e l’inizio dolcemente mixato di quella, generalmente chiassosa e “in gloria”, del “Finale”, con applausi, respiro di sollievo nostro e urla liberatorie e di esultanza dal backstage. Quindi riparte la musica del “sitting”, valevole anche per l’”outing”. Certo, l’errore di mixaggio, d’imperfetta sincronia tra audio, luci e regia durante i cambi è sempre in agguato, ma dopo quasi 150 sfilate, soprattutto tra Milano e Parigi, certe cose vanno in automatico…Il valore aggiunto dell’esperto…».

Questo per la musica mixata. Fino a qualche anno fa, quando le piattaforme di video sharing non erano ancora esplose, si pagava la Siae per l’evento e finiva lì. Oggi, con milioni di potenziali visualizzazioni come la mettiamo con la questione diritti di pubblicazione dei brani?

«La Maison, assolti gli obblighi Siae necessari alla messa in onda della musica durante – e limitatamente – alla sfilata, non avendo richiesto (sarebbe costato troppo e sarebbe stato necessario un anno di lavoro) e non possedendo i diritti editoriali di ogni singolo brano, non può utilizzare la colonna sonora, specialmente sul proprio sito o sul Web (dovrebbero trasmettere la sfilata… muta!). Per questo motivo, sempre più spesso, i Brand mi chiedono di comporre una soundtrack con musica originale per lo show. In qualità d’autore, dunque, proprietario del brano, cedo i diritti di utilizzo, così il cliente dispone di una colonna sonora originale, di sua proprietà. In questo caso parto da un briefing con lo stilista che mi segnala i suoi ambienti musicali di riferimento e il mood della sfilata. Quindi, per me inizia la fase compositiva, mediante l’utilizzo del pianoforte o dell’elettronica e successivamente la scelta dei vari strumenti da utilizzare. Mi chiudo poi con i miei collaboratori per due o tre giorni in Studio di registrazione, dove iniziamo a stendere la soundtrack, valutando arrangiamenti e stile in relazione al brief».

Ci sono criteri nella scelta dello studio di registrazione?

«La tipologia di Studio varia in base a diversi fattori: il budget a disposizione per la produzione della colonna sonora, il genere di musica utilizzata (dovendo, ad esempio, lavorare con parecchi musicisti non posso certo utilizzare un Home recording studio, più che sufficiente, invece, con la tecnologia d’oggi per una soundtrack di musica elettronica). Altra caratteristica importante per la scelta dipende dal fatto che lo stilista venga o meno in studio durante la produzione: esistono studi equipaggiati in maniera superba che magari si trovano in una zona troppo periferica o nel sotterraneo di un condominio non molto bello di facciata e, dunque, non sono sufficientemente di rappresentanza, per cui pur essendo tecnicamente superiori ad altri vengono scartati perché finirebbero per deprezzare il lavoro artistico. Pare assurdo, ma “il magico mondo della Moda” vive anche di queste cose!».

Curiosità: in molte sfilate si vedono i musicisti che suonano…

«In scena possono esserci pure musicisti che talvolta si esibiscono live sulla colonna sonora preregistrata, anche se il più delle volte vengono utilizzati in funzione scenografica e, per abbattere i costi del live (microfonazione, prove, ecc.), suonano in playback quello che abbiamo precedentemente registrato in studio».

Ultima domanda, giuro! Non ti è mai capitato che, ormai esperto, oltre alla musica ti venisse chiesto di montare l’organizzazione completa (luci, attori, musicisti…)?

«Sì, ultimamente, piuttosto spesso! Addirittura per la security, il catering, funamboli, telecamere, permessi comunali. Avendo fatto anche questo nella vita, mi sono organizzato. Ma questa è un’altra storia, se vuoi te la racconto un’altra volta!».