Interviste: VillaZuk, tecnologia, riflessioni e valori positivi

I VillaZuk: da sinistra, Francesca Paola Sirianni, Alessio Sisca, Domenico Scarcello, Andrea Minervini e Simone Stellato

VillaZuk. Ovvero Domenico Scarcello, voce e chitarre, 38 anni, e Andrea Minervini, basso, 35. Si conoscono da quando erano adolescenti. Sono nati in due paesi vicini, nella Calabria cosentina, la Sila alle spalle. Attivi dal 2010, frizzanti, creativi, i VillaZuk scrivono seguendo i dettami del cantautorato “storico” ma non si definiscono cantautori. Musicalmente, spaziano tra rock, pop, reggae, ma non sono nulla di tutto ciò. O meglio, ne sono un’azzeccata sintesi.

Testi per nulla banali e arrangiamenti positivi fanno sì che le loro canzoni, nonostante affrontino temi complessi, abbiano sempre una via d’uscita, la speranza di un lieto fine. E qui esce l’altro lato dei VillaZuk, quello dell’impegno sociale, del lavorare e tuffarsi in progetti in cui credono fermamente. La musica è il loro modo per tenere unito il tutto e far sì che tanta energia spesa per battaglie sacrosante possa essere trasmessa a chi li ascolta.

I VillaZuk hanno tre dischi all’attivo in dodici anni di sodalizio musicale, …a colorare libertà (2010), Meno male Robertino (2013) e Siamo tutti salvi (2022).

E veniamo a quest’ultimo, pubblicato il 21 gennaio scorso. Sostanzialmente diverso dai primi due. Perché, in nove anni da Meno Male Robertino, Domenico e Andrea sono cambiati, cresciuti, maturati, e con loro chi li segue da anni. Hanno scremato tanto, selezionando ciò a cui tengono di più nella vita come nell’arte. I loro pensieri sul mondo sono diventati dodici brani dove il tema di fondo è l’uso esasperato della tecnologia che ha rimbambito tutti e rischia di far dimenticare la vera sostanza della vita. Che si racchiude in poche, essenziali cose: affetti, rispetto, amore, semplicità, passione, speranza.

Il disco mette a disposizione dell’ascoltatore questi temi, “obbligandolo” a fermarsi e a riflettere, per capire chi siamo e cosa vogliamo davvero da noi stessi. In Ti sorriderò lo stesso cantano assieme a Fabio Curto: «Siamo schiavi della quantità che vince sopra il senso e penso che la qualità non vive di consenso…». La speranza è un altro tema che ritorna spesso, «è il primo rischio da correre, come un sasso da lanciare ad occhi aperti», citazione da Sole d’Autunno, con una chitarra che ricorda quella delle classiche ballad acustiche di Billie Joe Armstrong e dei suoi Green Days.

Si parla anche di figli, di paternità e maternità, di coppia, insomma, della vita comune, inviti a vedere la bellezza del diventare genitori, di prevedere e accettare le sfide imposte senza arrendersi mai. Un crescendo che culmina nel liberatorio Fate l’amore, apparentemente una goliardata, in realtà un piccolo inno! I VillaZuk riescono a raccontare lievemente anche la demenza senile attraverso un casuale incontro d’amore e rispetto (Buongiorno Signora); c’è anche il problema della carceri: Ricordati Sempre, è un toccante brano che parla di detenuti, silenzi e riflessioni.

Siamo tutti Salvi non è, come avrete capito, solo un disco come tanti. È molto di più, un intricato percorso nell’uomo del Terzo Millennio, cantato senza mai cadere nell’ovvio e nella “facile presa”. Per questo ho chiamato i VillaZuk. Ed è stata una chiacchierata a tre divertente e istruttiva…

Chi comincia? Domenico, Andrea? Come vi siete trovati?
Domenico: «Condividiamo 20 anni di musica, praticamente siamo un caso di antropomorfismo gemellare. Siamo cresciuti a venti chilometri di distanza, abbiamo due caratteri affini…»
Andrea: «Ci siamo conosciuti grazie alla musica…».
Domenico (guardando Andrea, scherza, ndr): «Lui aveva appena 14 anni, era così piccino! Io ne avevo 17».

Siete stati folgorati dalla musica, insomma…
Andrea: «Lo racconto spesso ai miei alunni: 20 anni fa Internet non era così diffuso come ora, soprattutto dove siamo nati. Avevo la passione per il basso e per poter ammirare e provare gli strumenti marinavo la scuola passando le mattine in un negozio».
Domenico: «Abbiamo studiato musica privatamente. In comune, abbiamo avuto un bravissimo maestro d’armonia. Poi abbiamo avuto alcune esperienze insieme in un paio di progetti musicali, quindi abbiamo costituito i VillaZuk».

Da dove viene il nome della band?
Domenico: «Tanti anni fa ho scritto un brano che abbiamo pubblicato nel disco …a colorare libertà dal titolo Villaggio Zucca. Ho immaginato che dentro le nostre teste possa esistere un villaggio con una grande piazza centrale da cui si diramano tre strade, la percezione, il senno e l’immaginazione che portano a tre colline. In una c’è una capanna, in un altra un grattacielo, e nel terzo un grande prato magico che cambia colore. C’è una bimba che ogni mattina nella capanna prepara i biscotti e li lascia al portiere del grattacielo, scombussolando la vita così perfetta e scontata di tutta quella gente che vive pensando solo a se stessa. Spesso, quando cresciamo, abbiamo paura di non vedere la cura, finché il senno si arrende all’immaginazione… Nel testo c’è un refrain che dice: “è meglio una direzione giusta di una risposta facile”! Da qui siamo nati noi, i VillaZuk».

Un canzone, un nome, praticamente un manifesto!
Domenico: «In sostanza sì, in molti brani raccontiamo che la vita è uno sputo, un istante che vale la pena condividere con cose belle, nuove sensazioni…».

Com’è la vita a VillaZuk?
Domenico: «Ciascuno di noi ha fatto i suoi percorsi. Quello che è sicuro è che non riusciamo a stare senza musica. Lei guarisce da tutte le cose che accadono. Non ne fai più a meno. A Casali del Manco, nella presila cosentina, ho aperto una scuola, Kasa Klam che sta per cultura, lingue, arti e musica. Insegno ai bimbi e ragazzi mescolando tanti linguaggi».
Andrea: «Da un anno vivo a Roma. Qui insegno in una scuola primaria di Tor bella Monaca, una scuola di periferia con tanti colori di vissuto».

Con quali musicisti e canzoni vi siete formati?
Andrea: «Ho ascoltato e ascolto di tutto, molta fusion e jazz, sono molti gli artisti che seguo».
Domenico: «In una canzone ho sempre seguito di più i testi. Ascoltavo De Andrè (si percepisce, ndr!), Guccini, De Gregori. La parola è importante!».

Musica, insegnamento ma anche impegno sociale…in carcere e non solo!
Domenico: «Detta così sembriamo dei santoni tutti peace&love! Siamo sempre stati molto liberi nelle nostre scelte e ci piace condividere questo nostro essere con gli altri. La musica in questo è un grande veicolo, è importante per noi e per chi ci ascolta. Proprio in questa direzione va il nostro aiuto nelle carceri».
Andrea: «Nel 2014 abbiamo avviato un progetto, La Musica per un nuovo inizio, sulla musica e la scrittura di canzoni nella casa circondariale di Cosenza. Un percorso che avevamo intrapreso nel 2011, dopo un corso di formazione a Zaandam in Olanda, nell’ambito del PEETA project (acronimo di Personal Effectiveness and Employability Through the Arts), che coinvolgeva diverse nazioni. In Italia siamo stati i primi».
Domenico: «Tutto merito del nostro primo disco …a colorare libertà! Dopo la pubblicazione siamo stati contattati da un’associazione che si occupava di carceri perché aveva notato che eravamo particolarmente sensibili a certi temi sociali. Entrambi siamo sempre stati portati alla trasmissione dei saperi, dunque ci siamo buttati in quest’avventura».

Siete soddisfatti?
Domenico: «Sì, anche perché non potendo introdurre strumenti musicali nelle Case circondariali, abbiamo fatto un grosso lavoro di creatività, che ci ha regalato una forte emozione. Sono stato recentemente, come VillaZuk, una settimana nella Casa Circondariale di Taranto, da solo perché Andrea stava lavorando a Roma. È stata una bella esperienza, proficua. Abbiamo concepito un brano con i detenuti che è uscito pochissimi giorni fa, il 28 febbraio. Nel disco, invece, c’è Ricordati Sempre, brano scritto durante il secondo percorso che abbiamo tenuto nel carcere di Cosenza. ».

Avete mai avuto problemi dietro le sbarre?
Domenico: «No, nessuno, e nessun timore. L’unica mia paura vera sono i cani. Se, passeggiando da solo sulla Sila, per caso, vedo un lupo in lontananza, mi blocco, vado in panico! In cella, invece, mi trasformo (Andrea annuisce e concorda, ndr ). Dopo tanto tempo, riusciamo a gestire quest’esperienza molto bene. Il contatto è importante perché il detenuto è uno scrutatore attento che ti offre un altro sguardo su qualsiasi cosa. Nella detenzione di un individuo ci sono lunghi momenti di solitudine e silenzio, ed entrambi portano alla riflessione».

Ma non ci sono solo le esperienze con i detenuti…
Domenico: “Ci siamo interessati e ci interessiamo tutt’ora di temi come l’Alzheimer o, ancora più intimi, della donazione degli organi».

Oltre a voi, della formazione VillaZuk fanno parte anche tre altri musicisti…Andrea: «Sì, Francesca Paola Sirianni al violino e voci, Simone Stellato alle tastiere e voci e Alessio Sisca, batteria e voci».

Siamo tutti salvi è una dichiarazione provocatoria…
Domenico: «Non è certo un’affermazione! Tutto ruota attorno alla tecnologia, le nostre vite sono piene di tecnologia. C’è poco spazio di comunicazione reale a scapito di quella fittizia, virtuale. Siamo sempre più schiavi di regole che ci impongono e che accettiamo senza senso critico. Siamo diventati tante pecore remissive, seguiamo un pastore che non conosciamo, non sappiamo nemmeno che faccia abbia. Nel brano Siamo tutti Salvi, scritto con Francesco Scarcella, rincariamo la dose…».

E siamo alla fine dell’intervista. L’ascolto del disco è vivamente consigliato, perché è un percorso nelle ossessioni, speranze, aspettative di questi anni. A ben ascoltarlo, si possono trovare riferimenti alla pandemia e anche alla guerra che Putin ha scatenato in Ucraina una settimana fa. In realtà tutti i brani sono stati scritti prima del 2019. Sono attuali perché raccontano le nostre paure, i nostri pensieri, il nostro essere devotamente tecnologici senza se e senza ma. Sono testi che impongono, a chi li ascolta, una riflessione “forzata”. Qui di seguito le parole di Siamo tutti salvi: ognuno trovi il suo perché

Siamo tutti salvi
Avanti i ladri ed i signori lasciate fuori i sogni buoni e le intenzioni
portate dentro i portafogli, le mogli, i vostri figli
e qualche dose di paura e di consigli
Avanti il povero ed il ricco, chi resta sempre indifferente e chi di stucco
chi ha voglia di sentire oggi le emozioni forti forti
e le parabole precise di contorti
E il tendone si aprirà davanti agli occhi con la bocca piena di demagogia
non si muore se si muore con i maghi e con i trucchi
non si cambia se si cambia geografia
e per magia siamo tutti salvi
Avanti tutta bella gente non trascurate il deretano accomodante
lanciando solo una moneta che delega stasera
i vostri sogni come in una vita intera
Avanti senza l’incertezza passate il limite che ancora v’imbarazza
portate dentro i vostri cuori a togliere i rancori
delle croci sopra tutti i nostri nomi
E il tendone si aprirà davanti agli occhi …
Il circo fa il pienone, il pienone del pianeta
e cambiano le facce e può cambiare la moneta
e non importerà la lingua, il colore e quale sesso
lo spettacolo continuerà e sarà sempre lo stesso
Con un domatore al traffico un mimo alla dogana
un trapezista all’attico che fa volare grana
al grande mago bravo a far vedere il paradiso in una banca
ed i pagliacci alle poltrone a raccontar cos’è che manca
e quando arriva il mangiafuoco e le sorelle
anche il cannone sarà pronto a non buttare tra le stelle
E il tendone si aprirà davanti agli occhi
non si muore se si muore con i maghi e con i trucchi
non si cambia se si cambia geografia
E il padrone sceglie i nostri desideri e staremo tutti bene e così sia
un biglietto per amore ed in omaggio un bicchiere
e si lava tutto con filosofia e per magia siamo tutti salvi

Bono imbarazzato? Sì, ma soprattutto “frainteso”…

La locandina di Awards Chatter, andato on line domenica scorsa, con Bono e The Edge

Ci mancava pure la polemica sulle ultime dichiarazioni di Bono. Il frontman degli U2 è stato giudicato, attaccato, se mi permettete, manipolato, anche da bravi colleghi di casa nostra per certe affermazioni estrapolate durante una bella e divertente chiacchierata fatta in un podcast piuttosto famoso negli Usa, gli Awards Chatter del The Hollywood Reporter. Bono era ospite assieme a The Edge, al secolo David Howell Evans, il chitarrista inglese della band. Un bel podcast che vi consiglio; se avete voglia di ascoltarlo andate a questo link. Da quella bella chiacchierata a tre, chissà perché sono state estrapolate – e stravolte – un paio di dichiarazioni, tanto che i titoli sui giornali di oggi risultano pressoché tutti  uguali: «Bono imbarazzato per la sua voce», «Bono non sopporta il nome della band». «Bono…».

Una delle band più importanti nella storia del Rock, dirimente e influente, che ha venduto quasi 160 milioni di dischi, sbancato i botteghini con il suo U2 360°, il tour più proficuo di sempre, circa 737 milioni di dollari di incassi (2009/2011) che ha vinto palate di Grammy e due Golden Globe che viene così sputtanata dal suo frontman? Sembra strano. Per Bono un clamoroso effetto Tafazzi? Ripensamenti dopo aver superato i sessanta? Sarà mica bipolare? 

Niente di tutto ciò, tranquilli. Il frontman ha sì ammesso di sentirsi in imbarazzo per la sua voce, ma parlando del primo disco della band, Boy. Ha confessato di essere arrossito di vergogna quando, mentre guidava, gli è capitato di ascoltare in radio una canzone di quel disco. Aggiungendo anche che gli U2, all’inizio, facevano musica per suonare nei locali e non per essere registrata, dunque, il suo modo di cantare era eccessivo, non “amalgamato” con la musica di una band, che per sua stessa ammissione, suonava già straordinariamente bene.

Quanto al nome dato al gruppo, vien da sorridere: per i due intervistati U2 era quello meno peggio a disposizione, in una lunga scelta di nomi improbabili. Quindi, frontman e chitarrista si sono lanciati in una divertente confessione-ricordo sul perché fossero nati i loro appellativi, Bono e The Edge, cercando di ricordare quelli degli altri due membri, Adam Clayton e Larry Mullen… Aneddoti che rendono ancor più leggendaria la band irlandese e accativante il podcast.

Davvero non capisco questa alzata di scudi. Qual è la notizia? Che Bono si imbarazza a riascoltare la sua voce degli esordi? È stato sincero, ammettendo pure che, allora, non aveva tutte le nozioni tecniche necessarie per affrontare una registrazione il più possibile perfetta, mancavano dei dettagli fondamentali, s’è spinto a dire. In fin dei conti alla fine dei Settanta, come molti altri gruppi in quell’incredibile decennio, erano soltanto dei ragazzi che avevano un sogno, fare musica, e molto da raccontare («quello che avevamo in testa e nel cuore», come sostiene il frontman), oltre a una grande creatività e determinazione.

Gli U2 sono una delle vittorie e degli orgogli del Rock, patrimonio “untouchable” della musica del Novecento. Suvvia, siamo seri! Se poi si vuol approfittare della Mega Wave Bono e surfare sulla cresta del gossip per sentito dire, beh questo è un altro discorso…

Il prog italiano da conoscere secondo Bandcamp

Mi ha incuriosito un post uscito qualche giorno fa su Bandcamp. Si parla del rock progressivo italiano. Dopo il ricordo del cinquantenario di Aqualung dei Jethro Tull, è inevitabile non parlare del prog di casa nostra, che, a differenza di altri Paesi, è vivo e suona con noi!

Sulla scia delle mitiche formazioni rock-prog degli anni Sessanta e Settanta, penso a Le Orme, la grande, immensa PFM, Il raffinato Banco del Mutuo Soccorso, il prog italiano ha intrapreso una strada molto nitida che si disegna attraevrso un legame con le storiche band italiane e inglesi (i Tull, gli Yes, i Genesis, i Caravan…) cercando, nello stesso tempo, di “attualizzare” le sonorità adeguandole, storicamente, a passaggi inevitabili avvenuti nella storia del rock, alle recenti interpretazioni jazz e pure a un pop fondamentalmente mutato. Insomma, un genere che riempie il cuore di gioia di vivere, come è scritto nell’articolo.

Ma veniamo al post, che vi consiglio di leggere. Il titolo è indicativo: Italy’s Cooking: A Menu of Today’s Italian Prog. Il sito di musica indipendente paragona la musica prog del Belpaese alla fantasia e creatività italiana in cucina. Similitudine azzeccata, visto che le quindici band presentate vanno a costituire una preziosa e golosa cena dove gli ingredienti sono dosati sapientemente tra sonorità provenienti dai più vari ambienti musicali.

Quello che “salta all’udito”, oltre alla innegabile preparazione tecnica dei musicisti, è una passione che passa le generazioni fondendole, come i bresciani Phoenix Again (qui Silver da Unexplored, 2017) o le partiture innovative dei The Winstons, band milanese composta da tre fratelli figli della musica, Rob Winstons, Linnon Winstons e Enro Winstons (al secolo Roberto Dellera, bassista degli Afterhours, Lino Gitto ed Enrico Gabrielli), tre musicisti polistrumentisti coi fiocchi, protagonisti della scena indie italiana da tempo. Ascoltateli in Ghost Town dall’album del 2019 Smith.

Nel caleidoscopio prog, Genova vanta varie band e progetti artistici, segnalati da Bandcamp, come Il Tempio delle Clessidre, La Maschera di Cera, La Coscienza di Zeno, La Dottrina degli Opposti (progetto pensato dal polistrumentista Andrea Lotti, ex membro de La Coscienza di Zeno). Da Vicenza arrivano i Syncage, quelli meno “tradizionalisti” della quindicina, per un prog rock di grande impatto più virato al metal e all’ambience, con riff “gutturali” e acidi di chitarra e praterie jazz: ascoltate School brano del 2017 da Unlike Here.

Per ogni band nel post c’è un brano da ascoltare, come consuetudine di Bandcamp, a comporre quel menu così equilibrato e sapido del nostro prog nazionale.