Interviste/ Paolo Alessandrini e la sua… “Matematica Rock”

Paolo Alessandrini, 49 anni, è l’autore di “Matematica Rock” – Foto Walter Criscuoli.

L’ho scoperto per caso, in una delle mie incursioni in libreria. E il titolo mi ha subito attirato: Matematica Rock. Il sottotitolo, Storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin, mi ha convinto all’acquisto. Per uno che di matematica non ha voluto mai capirne nulla, averlo tra le mani è stata una sfida. E confesso: fin dalle prime pagine mi ha catturato. Si sa, l’ignoto attira… Vabbè, non vorrei farvi credere che sono uno “zero assoluto” a far di conti, come si diceva un tempo, ma l’approccio ai temi promessi nel titolo è stato per me l’inizio di una gran bella avventura. Leggerlo, per chi è appassionato di rock e storie al limite dell’assurdo, è stato come divertirsi sulle pagine di un libro d’avventure, ricco di colpi di scena e spunti di riflessione. Al punto che ho preso il telefono e ho chiamato l’autore di questo “romanzo professionale” di 237 pagine pubblicato nel luglio dello scorso anno per Hoepli. Lui è Paolo Alessandrini, veronese, classe 1971, professore di matematica in un istituto professionale in provincia di Treviso e, nella precedente vita, ingegnere informatico di laurea e professione.

Come ti è venuta l’idea di scrivere un libro che parla di formule matematiche e musica?
«È nata tanti anni fa. Nel 2014 avevo scritto e pubblicato un breve e-book dal titolo La matematica dei Pink Floyd, perché avevo notato diversi punti di contatto curiosi, come la strana cover di Ummagumma (disco doppio dei Pink Floyd uscito nel 1969: un incastro di foto scattate nello stesso luogo poste una all’interno dell’altra, apparentemente identiche ma tutte diverse, ndr), il prisma di The Dark Side of The Moon, la canzone Chapter 24 (nona traccia del primo disco della band inglese, The Piper at the Gates of Dawn; Syd Barret nella scrittura si era ispirato al libro cinese dell’I Ching, ndr). Sono sempre stato uno molto curioso, così dai Pink Floyd mi sono allargato a molti altri gruppi o rockstar per scoprire legami tra matematica e questo genere di musica. Dischi, testi, immagini delle coeprtine, così è nato un libro particolare diviso in capitoli che sono le diverse branche della matematica, dall’aritmetica e algebra all’analisi».

Insomma, il rock è trasgressione, libertà vuoi dirmi che i grandi musicisti, da Elvis ai Genesis a Kate Bush ai Tool sono stati o continuano a essere anche delle profonde menti matematiche?
«No, affatto. Non vuol dire che Tony Banks, tastierista dei Genesis nel comporre Firth of Fifth abbia fatto un’operazione intenzionale  considerando i numeri di Fibonacci, probabilmente è stato un caso. Altri, invece, come Kate Bush che ha intitolato un brano Pi (il Pi greco), volevano dire sicuramente qualcosa. O ancora, i Queen in We Will Rock You con il famoso stomp-stomp-clap, brano in cui, per dare il massimo della potenza espressiva, Brian May s’è inventato in base a una sequenza di numeri primi un efficace effetto riverbero. Molti collegamenti matematici sono elaborazioni fatte a posteriori. Prendi, ad esempio, il lavoro che hanno fatto nel 2018 tre accademici americani, uniti dalla passione per i Beatles, sulle attribuzioni delle canzoni della band a Lennon o McCartney, uno dei grandi dilemmi del rock: affrontando il problema attraverso la matematica statistica, hanno concepito un algoritmo intelligente in grado di definire con una certa sicurezza chi tra i due artisti avesse realmente scritto, ad esempio, In my Life o The Word.

Dunque, il rock è spontaneo e la matematica una rigida disciplina?
«No per niente. Voglio pensare che il rock sia rivoluzionario, trasgressivo, libero, spontaneo. E  paradossalmente anche la matematica è così, nonostante sia considerata generalmente arida e rigida. Sapendola interpretare ed esplorare in maniera diversa, non convenzionale, è in realtà una disciplina molto libera, creativa, trasgressiva. Tornando alla musica, questa è profondamente matematica, se n’era accorto già Pitagora notando come i suoni piacevoli non nascessero in modo casuale. Le scale, le armonie, i ritmi hanno a che fare con la matematica, inconsciamente chi fa musica la percepisce. Leibniz diceva “fare musica è contare senza essere consci di contare”. Nel mio libro ho voluto analizzare un lato un po’ insolito della musica e della matematica».

Breve divagazione: suoni qualche strumento?
«Ahimé, sono la pecora nera della famiglia. Mio padre ha insegnato per anni al conservatorio di Verona armonia e contrappunto. Le mie due sorelle sono entrambe musiciste. Sono cresciuto in mezzo alla musica, è stata ed è il mio pane quotidiano, direi che il mio DNA musicale s’è sviluppato sotto forma di matematica. Canto in un coro polifonico a 4 voci, la Corale Ravel, sono un basso. Facciamo di tutto, dal gregoriano alla musica barocca a Mozart, passando per Ravel e anche per brani rock pop come Impressioni di Settembre della PFM  o Barbara Ann dei Beach Boys. Mi diverto molto».

Insegni matematica attraverso la musica?
«No, dai. Voglio solo dimostrare ai miei allievi che la matematica non è qualcosa di noioso e spesso incomprensibile che venuta giù dal cielo, cristallizzata per l’eternità. Come la musica, si evolve, cambia. Nella storia di questa disciplina ci sono state menti trasgressive che hanno dato nuovi impulsi e prospettive allo studio matematico. Prendi, ad esempio, i numeri immaginari inventati da un gruppo di matematici creativi nel Cinquecento: la radice quadrata di -1 non si può calcolare. Ma se una cosa non si può fare si può sempre trovare un modo per farla lo stesso…».

Nella storia non sono esistiti i matematici puri, questi erano filosofi, storici, teologi, giuristi e anche matematici…
«Esatto, oggi le discipline sono settoriali, non c’è solo il matematico, ma chi si occupa di specifiche sue aree, a differenza, per esempio, di Cartesio che era filosofo e grande appassionato di matematica; essendo ricco di famiglia, ha vissuto la sua vita studiando. Secondo me la matematica non è una vecchia disciplina ma un’arte. Fa parte della cultura di un popolo, come la musica, il cinema, la pittura. È una forma di espressione umana. Brian May, chitarrista dei Queen è un fisico, Johnny Buckland, il chitarrista dei Coldplay, è laureato in matematica…».

Paolo Alessandrini in una delle sue presentazioni-spettacolo assieme al chitarrista Stefano Zamuner e alla cantante Giorgia Pramparo

Torniamo al tuo libro, lo stai presentando in modo particolare…
«Avevo due strade. La prima, istituzionale, una classica esposizione con risposta a eventuali domande. Ma l’argomento del libro si presta particolarmente a una conferenza-spettacolo sulla materia, dove trovano posto la matematica e anche la musica. Sfruttando la collaborazione di un amico chitarrista, Stefano Zamuner, e della cantante Giorgia Pramparo abbiamo preparato quindi una presentazione che è anche uno spettacolo vero e proprio. L’abbiamo portato in molti luoghi, al Festival della Statistica di Treviso o a quello della Scienza a Genova, ma anche a Dolomiti in Scienza a Belluno. Per i lettori del libro ho preparato una playlist su Spotify, con tutti i brani citati in sequenza di capitoli».

Prima di chiudere, quali sono le tue passioni musciali?
«Chi mi conosce lo sa: sono un beatlesiano incallito. Da sempre. Sono stato fortunato: qualche anno fa credevo che i Fab Four non avessero spunti matematici, invece ne hanno, eccome! Mi piace il rock progressivo, ascolto i Radiohead. Ma non solo: amo immensamente anche molta parte della musica classica e del jazz. Sono uno curioso, te l’ho detto, cerco di cogliere il meglio da tutta la musica!».

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