Venti dischi (più uno) per raccontare un anno particolare/3

Capitolo terzo. Qui trovate altri cinque album che ho ascoltato in questi ultimi mesi. C’è di tutto, dal pop al jazz passando per il post hardcore e l’indie. La musica, almeno per me, viaggia attraverso stati d’animo. I generi diventano relativi. Mi piacciono le apparenti contraddizioni, annusare l’aria quando è più pungente o più calda e rassicurante. Gettarmi nel vento forte che fa sbandare e toglie il respiro. Ecco, qui c’è tutto questo…

11 – On SunsetPaul Weller (uscito il 3 luglio)
Al tramonto la musica può essere confortante. Può ispirare, rilassare, energizzare, preparare a una bella notte. Ascoltando l’ultimo lavoro di quell’istrione di Paul Weller (a onor del vero il 27 novembre è uscito un On Sunset Remix, piuttosto interessante, un formato Ep, cinque brani – due  di questi, rielaborazioni dello stesso, Rockets) quello che salta all’orecchio è che il prolifico ex Jam e Style Council questa volta ha tirato fuori un disco davvero ben costruito. Ne ho parlato in questo post in agosto. È un disco “estivo”, ma può andar bene anche in queste uggiose giornate di fine autunno, per tirarti su il morale. L’effetto energizzante di questo album è il motivo per cui lo segnalo. Ascoltatevi Baptiste, o la stessa On Sunset ma anche More, o Rockets, e ne converrete.

12 – Axiom (live)Christian Scott aTunde Adjuah – (uscito il 28 agosto)
Questo disco ha una sua eccezionalità: è l’ultimo concerto dal vivo che è stato suonato al Blue Note di New York prima che la pandemia obbligasse la chiusura della metropoli e della vita sociale. Certo, Christian e la sua band composta da sette elementi di incredibile valore, non potevano saperlo, ma possiamo leggere queste 12 tracce jazz come un messaggio di stile, personale e pregnante, nel jazz contemporaneo. Christian è un trombettista, si diverte a miscelare stili, parte con il classico acuto tipo mariachi messicano per poi scendere nell’improvvisazione, vedi la prima traccia, X. Adjuah (I owns the night), lasciare che le percussioni di Weedie Braimah e la batteria di Corey Fonville si lancino in un ossessivo percuotere di tempo ed emozioni, per ritornare a un assolo di piano di Lawrence Fields o al flauto di Elena Pinderhughes in Diaspora. Riparte il funk con la sua tromba e il contrabbasso di Kris Funn – vedi GuinnevereChristian è un musicista che pensa solo alla musica, ha quello in testa, e lo fa con idee sempre innovative. Il suo è anche un chiaro messaggio politico, il suono delle sue radici lo grida forte all’America in un momento così delicato nel conflitto razziale, acuito in questo 2020 con l’assassinio di George Floyd. Uno dei migliori lavori dell’anno. Le percussioni mi inchiodano ogni volta alle cuffie…

13 – Go BravelyDenise Chaila (uscito il 2 ottobre)
Di lei ho scritto il 9 ottobre scorso, quindi non mi dilungo ulteriormente. Il suo genere è l’hip hop, viene dall’Irlanda, ma è nata in Zambia, ha una laurea in sociologia, e i suoi testi, come la musica, sono aperti senza essere sfrontati, elegantemente crudi, ispirati e ispiratori. Vedi Chaila, il suo cognome, brano per riaffermare che la dignità delle persone parte anche dall’essere rispettate per il nome che portano, seppur difficile da pronunciare, o Go Bravely, l’incitazione che dà il titolo al disco… Nuovi corsi in Irlanda…

14 – LamentTouché Amoré (uscito il 9 ottobre)
Cambiamo decisamente genere, ma non senso. Un altro modo di raccontare il mondo quello dei Touché Amoré, band losangelina di post hardcore capitanata da Jermey Bolm, cantante, produttore, scrittore. Lament è il loro quinto album, e decisamente il loro miglior lavoro. Forse perché la band si è affidata a Ross Robinson, nell’ambito dell’hard rock e post hardcore il numero uno (ha prodotto Korn, Limp Bizkit, Deftones, Sepultura, Slipknot, per citarne alcuni). In questo lavoro c’è tutto il pathos di Bolm, il suo rapporto con la perdita dell’amicizia e stima con colleghi e amici e soprattutto con la morte della madre portata via da un tumore (non le era vicino perché quel giorno era all’occasione della vita, suonare al The Fest in Florida) I’ll Be Your Host. Si passa dagli stilemi hardcore a rallentamenti improvvisi, attimi di pause scanditi da chitarre tranquille, fino a Limelight, suonata con la Manchester Orchestra. Tutto torna nella musica…

15 – Serpentine PrisonMatt Berninger (uscito il 16 ottobre)
L’aspettavano in tanti il primo disco da solista del frontman dei The National. Il musicista di Cincinnati non ha deluso le aspettative. Un disco dove Matt s’è sentito libero di uscire dai canoni della band – ma poi nemmeno tanto almeno nelle prime due canzoni – per poi volare da solo tra archi, assoli d’organo, atmosfere calde e sicure. Merito probabilmente del produttore che si è scelto, quel Booker T. Jones che suonò con Willie Nelson in Stardust, l’album preferito dal padre e che lui, a forza d’ascoltarlo, lo fece diventare il suo punto di riferimento… Ma questa è storia nota, lo ha dichiarato in tutte le interviste. Il brano più interessante del disco è One More Second, con preziosi interventi di pianoforte e un assolo d’organo di rara eleganza. Poi è sempre il tenebroso Berninger, la voce baritonale, le atmosfere calde e tristi. Infonde tranquillità Silver Springs cantata con Gail Ann Dorsey, un buon rum d’annata a scaldarlo tra le mani, un soffice divano e la musica che gira…

Che bella domenica con Paul Weller e il suo “On Sunset”!

Guardo i titoli dei giornali in questa domenica d’agosto. Bollino nero sulle autostrade, il giallo dell’estate servito con il tragico ritrovamento del corpo della donna scomparsa con il figlio piccolo a Messina, Napoli perde tre a uno con il Barça, il Brasile supera i 100mila morti nella pandemia coronavirus e il presidente Bolsonaro non ne parla (politica dello struzzo, quello di cui non si parla non esiste), i nuovi decreti emergenza del governo… Confesso che mi sale un preoccupante stato di impotenza.

Una tranquilla domenica d’agosto con i suoi nuovi contagiati, le solite polemiche di governo, le solite partite/non partite a porte chiuse, gli aridi bollettini giornalieri, senza alcun senso apparente… Tutto normale, mi dico, e meno male che c’è il sole e un vento accondiscendente rende piacevole il caldo di stagione.

Sto ascoltando – ed è questo il motivo di questo post domenicale – l’ultimo lavoro di Paul Weller. Il sessantaduenne artista inglese fa musica da quasi 50 anni: figlio di un tassista e di una “cleaner”, folgorato dai Beatles, dagli Who e Status Quo, è passato nei decenni del rock surfando, sempre sulla cresta dell’onda, dal punk alla new wave al mod revival con i The Jam al blues synth dei The Style Council per poi iniziare una proficua carriera solista. Weller ha un dono: compone con estrema facilità, gioca con i generi, li fa propri, li elabora, li fonde.

On Sunset, uscito a inizio estate, è un lavoro da ascoltare con attenzione, perché lì dentro c’è tutto il Weller pensiero, insomma un filo conduttore della sua vita artistica, fusione di generi, brillantezza, gioia, romanticismo, ricordi. Bellissimo in alcuni brani l’inserimento dell’organo Hammond (più che uno strumento un mito per la mia generazione) suonato dal suo amico Mick Talbot, tastierista anche negli Style Council, come in Baptiste, piccolo capolavoro: “I never used to pray I never been to church, But when I hear that sound, It goes to my heart, Straight to my soul…”. On Sunset, il brano che dà il titolo al disco, porta ad atmosfere che conducono in un mondo fatto di ritmo, sole, riff anni Settanta: “I was gonna say hi, But no one there, There’s me forgetting, Just how long it’s been/ And the palm trees sway, As a warm breeze blew, And the sun was high, On Sunset”…

Poche righe, ma un caldo invito, se non lo avete già fatto, ad ascoltare questo disco. Godetevelo, e la vostra domenica sarà sicuramente diversa!