Ribaltavapori, il ritorno al disco come opera unica: intervista ad Antonio Uras

Acqua Distillata (Lucia Gatto) e Ribaltavapori (Antonio Uras) – Foto Marcello Della Puppa -Colibree

Come si fa a scendere da un treno ad alta velocità che attraversa inesorabile e senza mai fermarsi città, campi, ancora città e altri campi appiattendo tutto il panorama in un’unica scia monocromatica? Antonio Uras, giovane musicista triestino, una risposta se l’ha data, pubblicando un album “d’altri tempi” che affronta i temi dell’oggi. «In un mondo in cui tutti urlano, ho pensato che per trasmettere un messaggio disperato come non mai, ci fosse bisogno di dolcezza. Così affidare queste canzoni alla voce unica di Acqua Distillata è stata una scelta naturale, quasi inevitabile».

Uras è un giovane cantautore con origini catalane e sarde, nato a Pordenone e con vita a Trieste. Ha pubblicato nel novembre scorso un vinile (è anche sulle piattaforme digitali) dal titolo Acqua Distillata canta Rivaltavapori Volume 1+2. Un lavoro che va a pescare l’impianto sinfonico delle musiche ottocentesche, con arrangiamenti che le richiamano, come atto provocatorio e necessario per riuscire a scendere da quel treno di cui scrivevo poche righe più su e ritornare ad andare a piedi. 

Acqua Distillata è una giovane artista trevigiana, Lucia Gatto, dotata di una voce molto intensa che trasmette pace e tranquillità. Un’intuizione, come leggerete tra poco, che Antonio ha avuto dopo aver ascoltato il disco cantato da lui. «Mancava di qualche cosa!, mi dice. E quel qualche cosa era una voce che ribadisse la volontà di eseguire una serie di canzoni non gridate né tantomeno messe alla rinfusa come si usa oggi, tanti singoli che poi finiscono in un album che è più un collettore che un progetto.

Qui siamo esattamente agli antipodi: un lavoro sartoriale, costruito con estrema cura e pensato, scansione dopo scansione, tanti mattoncini che insieme sono andati a costruire una bella casa.

Bel lavoro, curato nei minimi particolari…
«Grazie! Ho deciso di pubblicarlo solo in vinile e non in Cd come formato fisico, perché il vinile ti permette un ascolto più autentico. E poi è più vicino al mio progetto».

Le orchestrazioni, gli arrangiamenti li scritti tu?
«Sì, senza senza saper né leggere né scrivere la musica, però ci sono riuscito».

Come?
È stato un po’ macchinoso, però per fortuna c’è la tecnologia dalla nostra parte: ho scritto le canzoni con chitarra, voce e testo e poi ho iniziato ad arrangiare usando una tastierina midi da 50 tasti collegata a un pc con il programma Ableton. Ho registrato, fatto tutti i suoni, e dal programma stesso ho scaricato gli spartiti che ho fatto correggere da un amico che sa leggerli. Quindi li ho dati ai musicisti. Potevo fermarmi alla tastiera e al programma visto che la qualità era alta… ma vuoi mettere registrare e ascoltare violini, viole, violoncelli, trombe, tromboni, il suono vero, senti una differenza incredibile».

Chi è Antonio Uras prima di Ribaltavapori? Hai origini catalane, sarde, sei nato in Friuli dove vivi…
«Sono nato a Pordenone, poi attorno ai vent’anni mi sono innamorato di Trieste dove ho deciso di trasferirmi quando sono riuscito a farlo. Questa città mi piace perché è tutto e il contrario di tutto, esteticamente è bellissima, il mare i palazzi, le viste dai posti più alti, tutti i saliscendi, le diversità culturali. Tornando alle mie origini, siccome ho così tante “provenienze”, e non mi sento di appartenere a nessun luogo in particolare, ho pensato dentro di me che Trieste fosse il posto migliore per una persona quale sono: una città che ha un’identità fortissima creata da tantissime identità».

Perché è nato Ribaltavapori?
«A 24 anni ho smesso di suonare e di scrivere deluso dagli “ingranaggi” complessi della musica in Italia. Avevo rinunciato, nonostante quello fosse il mio percorso, di far parte di qualsiasi progetto. Vicino ai 30 mi è tornato il desiderio di ricominciare a suonare dopo aver comprato una chitarra classica. Ho iniziato dunque con questo progetto a cui ho dato il nome “Ribaltavapori”. A Trieste sarebbero i pesciolini quelli da frittura di paranza, il nome mi ha subito fatto sorridere».

Ribaltavapori perché ti sentivi un pesciolino fuor d’acqua?
«No, quello non l’ho mai pensato. Questi pescetti vanno in giro a flotte grandi, sono tantissimi per allontanare i pesci più grossi. Narra la leggenda che andavano a mangiare la mucillagine sulle carene delle imbarcazioni a vapore, e la gente che stava a bordo aveva paura perché sembrava che potessero ribaltarle». 

Come sei arrivato alla scansione dei brani? Inizi con Passerà, e finisci con Rimani, un piccolo gioiello messo lì alla fine come un punto.
«Il disco è studiato per avere un inizio e una fine. Anche la musica l’ho pensata perché fosse il più possibile un continuo, infatti le canzoni terminano quando incominciano le altre, concettualmente, come testi, è una sorta di viaggio. Passerà è nata dalla rabbia verso tante cose di questa società che non mi piacciono e finisce con Rimani che invece parla di quello che alla fine poi ti resta, nel mio caso in quella canzone ci sono i ricordi delle piccole cose delle persone che non ci sono più ma che rimangono. Ho pensato di comporre una sorta di sinfonia più pop, più cantautorale. Seguendo questo concetto ho deciso di inserire anche la terza canzone di ogni lato, quella un po’ più allegra, che una volta chiamavano minuetto».

Dunque, non puntare su una canzone ma sull’intero disco come unicum…
«Esatto. Voglio far capire che ogni tanto va bene anche rallentare, fermarsi, ascoltare in un’altro modo».

A proposito di ascolti, che musica ascolti?
«Un po’ di tutto, ora sto ascoltando i Geese, una band una band di New York (mescolano indie-rock, post punk, sperimentazione, ndr); mi piace molto la musica tradizionale di ogni nazione, sono attratto dalle composizioni corali, ora sto ascoltando anche elettronica bella pesante… e poi, vabbè, tutti gli amori classici che non passano mai, vedi i Beatles, i Nirvana, i Pink Floyd e poi tanto jazz con mio nonno».

I tuoi sono appassionati di musica?
«Non ha mai suonato nessuno in casa ma, soprattutto mio papà e mio nonno, hanno sempre ascoltato tanta musica».

Parlami del tuo incontro con Lucia Gatto, ovvero Acqua Distillata…
«Nel 2023 ho fatto il primo disco, come Rivaltavapori, cantato da me.  Non mi soddisfaceva… una delle pecche più grandi era proprio la mia voce che ritenevo non adatta alle canzoni. Stavo pensando a come sistemare la questione. Ascoltando musica con Sesto (Alessandro Giorgiutti), il mio amico produttore ho scoperto Lucia che aveva fatto un pezzo con lui. Mi ha colpito la sua voce, l’ho seguita sui social, ci siamo conosciuti e le ho proposto di vederci per fare una chiacchiera. Le canzoni le sono piaciute molto, si è innamorata del progetto e ora Lucia sente il disco suo quanto lo sento io».

Siete voi due che andate in giro a cantare e a suonare?
«Esattamente, poi, quando riusciamo, chiamiamo un violoncellista, un flautista, e un violinista. Nei progetti futuri stiamo cercando di proporre la nostra musica invece che nei soliti locali e club per musica leggera nei teatri. Così potremmo magari montare un vero e proprio concerto come è stato registrato sul disco».

Tu e Lucia avete in progetto di continuare questa collaborazione?
«Intanto vogliamo portare il disco in giro per il prossimo anno senza nessuna fretta, è un lavoro che non ha scadenza, vogliamo cercare di farlo conoscere il più possibile. Abbiamo fatto per ora una decina di concerti, tutti andati bene, snobbo state belle soddisfazioni. Al giorno d’oggi suonare senza un booking grande che ti porta in giro non è così facile, a maggior ragione se fai una musica che non è commerciale… ed è sempre più difficile, visto che stanno chiudendo metà posti in Italia, la situazione è piuttosto drammatica. Poi, per i progetti futuri sì, spero di continuare a lavorare con Lucia».