Libertà. Se dovessi riassumere in una sola parola il nuovo lavoro di Laura Fedele, pianista e cantante genovese, docente di canto jazz alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano, questa sarebbe la più corretta. Libertà di dire quello che si pensa, di essere critica verso questo modo di procedere e organizzare la vita che l’umanità s’è data, di gridare la propria visione di un mondo possibile, di chiamarsi fuori dal comune sentire su guerre, violenze, confini. Mood Swings uscito un paio di mesi fa è un disco che già dal nome invoca ad alta voce questa aspirazione vitale.
Mood Swings in inglese è il cambiamento d’umore, in questo caso la libertà di aspirare a essere un qualcosa d’altro rispetto alla “normalità”. Swing, poi, è una parola che racchiude più significati, il genere musicale nato negli anni Venti del secolo scorso, ma anche quell’oscillazione che diventa mutamento, voglia di imprimere un “nuovo ritmo”. Nella vita come nella musica.
Su tutti e dieci i brani che compongono il disco aleggia un filo conduttore che è il Blues, genere amato da Laura. C’è un brano che ho ascoltato e riascoltato e che ho eletto a significato etimologico del disco, Moonlight Girl, ballad blues di notevole fattura. L’ansia di raccontare un Pianeta abusato viene vissuto dall’artista nei due brani finali, Mother Earth e Global Warming: A gloomy wind brings the smell of burning trees/ I hear you cry Mother Earth, I cry with you/ What have they done to you Mother Earth? canta nella prima. I crawl leaning on the walls looking for some shadows, and I’m afraid the worst is yet to come/ And the drops of sweat are falling, how many drops of sweat on me/ Yes I’m dripping with sweat, help me ribadisce nella seconda, con un pianoforte ritmato che gronda note e sudore.
Mood Swings è un album di denuncia e di disagio, dove tutto sembra andare irreversibilmente male. Ma tra le pieghe della musica e l’incalzare del ritmo, a cavallo tra cantautorato e denuncia, Roots Blues e malinconia, si avverte la speranza, a cui Laura anela, di poter vivere in un mondo migliore, dove il rispetto per l’altro, sia uomo, sia animale, sia vegetale è la base per una pacifica convivenza.
Laura come nasce Mood Swings?
«È un album variegato. La mia caratteristica è sempre stata quella di essere onnivora. In questo lavoro ho voluto esserlo al cento per cento. Ci sono brani che tra di loro sono molto diversi, ho voluto curare particolarmente i testi. Dentro ci sono tante cose, i disagi del Covid, la condanna dell’inquinamento e dei danni al pianeta, le guerre, la solitudine. Per contro c’è la leggerezza e il diritto alla leggerezza: tutti noi oggi, da uno a cento, dobbiamo dare 110, così però il tempo libero non esiste più e io sono totalmente contro. Sei sempre in ballo con il pensiero rivolto al lavoro, al fatto che devi rispondere in ogni momento, non esiste più lo stacco. Questo modo di vivere lo soffro. Non sono di questa generazione, non mi ritrovo con gli ideali dominanti, con il consumismo. Nel disco c’è l’affermazione del diritto alla libertà».
Voi artisti vedete sempre molto più lontano. Cos’è quello che ti disturba?
«La tecnologia, da cui la nostra vita dipende, ti dà modo di sapere e vedere qualsiasi cosa in ogni momento. Sono sopraffatta dalle cose che vedo e che leggo, non puoi più dire “non sapevo”. Secondo me stiamo andando a male, è un punto di vista pessimistico ma in realtà è quello che penso».
Nel disco porti il tuo senso di disagio, ma comunque lasci sempre una speranza di cambiamento…
«L’album l’ho intitolato Mood Swings anche per sottolineare gli stati d’animo diversi che proviamo nella nostra vita, che da una parte è una cosa molta bella, dall’altra, però, è piena di disagi. Ho cercato di essere meno pessimista. Comunque, ripeto, non la vedo bene, ci facciamo e causiamo solo danni. Preferisco gli animali!».
Su questo mi trovi d’accordo!
«Ho un cane che ho preso in canile e che ora ha dieci anni. Lui ha cambiato molti aspetti della mia vita. Per esempio, sono diventata vegetariana, cosa che desideravo fare ma non riuscivo. Lui mi ha convertito. L’amore inaspettato così profondo che provo per lui è stato trasferito al genere animale. Ed è solo una delle tante cose che lui, senza saperlo, ha cambiato di me. Ho scritto anche un libro su questa esperienza, Sola «con» un cane (La Vita Felice, 2022, 14 euro, ndr)…».
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Cosa pensi della musica italiana, rispetta quello che siamo e viviamo in questo momento?
«Sono sempre stata tendenzialmente anglofila. Se guardo alla musica italiana degli anni Settanta vedo comunque gente che scriveva delle cose di un certo livello, a partire da Battisti, che per me era un genio. La mia passione è la musica americana con influenze blues. Possono sembrare luoghi comuni ciò che sto dicendo, però è la televisione generalista che ha consacrato questo modello di artista tutto concentrato sull’apparire. C’è poco spessore e devi andartelo a cercare nelle pieghe, nelle nicchie. Esistono i musicisti di qualità, ma quello che viene propinato in modo massivo non è certo di qualità. Di gente brava ce n’è eccome, ma non è questo che interessa»·
Insegni canto Jazz alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano. Che cultura musicale hanno i tuoi allievi?
«Dovendo affrontare un triennio, la cultura musicale devono comunque farsela! Quello che manca a queste generazioni è la curiosità di andare ad ascoltare dei concerti, spesso sono attratte solo dal fatto di prendere un diploma. A volte c’è l’amore vero per la musica altre il modo per prendersi una laurea…».
Ritorno al disco: è catalogato jazz. Ti riconosci?
«Se proprio devo inquadrarlo, lo definisco un lavoro crossover. Il mio nome è sicuramente legato al jazz, quella matrice è sempre presente nei miei lavori dal punto di vista improvvisativo. In tutto quello che faccio c’è spazio per l’improvvisazione, l’interplay e questa è l’anima del jazz, non suonare bene il tema di Body and Soul! Per esempio, la mia rilettura di The Dark Side Of The Moon non è per niente jazz, ma è trattata in un determinato modo, cioè con un grande spazio improvvisativo, molta libertà. Al di là degli standard, secondo me quel disco è anche jazz. Vedi che torniamo sempre a parlare di libertà con me!».
La libertà di fare al di fuori degli schemi quello che ti senti!
«Esatto!»
Ti sei formata con il Blues, che cosa ti ha affascinato di questo genere musicale?
«La sonorità, senza ancora averne una cognizione. La mia cultura musicale è iniziata relativamente tardi, perché in casa mia la musica era molto random. Non c’è stata una guida. Quando ho cominciato a essere più grandicella, ho scoperto che le cose che sentivo da bambina e che mi piacevano avevano tutte un riferimento al Blues. Allora ho capito che era sempre stato amore a cui però non riuscivo a dare un nome. Che ne sapevo io che Fever era costruito su una pentatonica minore! Il Blues ha dentro mille sentimenti, la sessualità, la disperazione, l’autoironia. Tutta questa commistione di sensazioni, al di là dei testi che riflettono comunque questi argomenti, si riversa nella visceralità, nella passionalità che ha la musica Blues».
Ti sei appassionata prima al canto o alla musica?
«Al piano. Ho sempre cantato ma per gioco. Poi a un certo punto della vita ho pensato che potevo tentare di farne una professione. Ho cantato per la prima volta un brano di Billie Holiday, è andata bene e ho proseguito».
Perché il pianoforte?
«Perché me l’hanno portato a casa quando avevo quattro anni! Era destinato a mia sorella maggiore, io non sapevo cosa fosse un pianoforte. La sorpresa è stata che sapevo suonarlo».
Avevi orecchio!
«Ho costruito la mia vita sull’orecchio più che sullo studio! Poi vabbè sembra che uno voglia farsi bello dicendo così, però è la verità. Poi, ovviamente, mi sono messa a studiare per capire cosa stessi facendo».
Ma è orecchio assoluto?
«No, l’assoluto è riconoscere qualsiasi nota. Io ho l’orecchio relativo che è molto più utile perché è quello che ti permette di mettere in relazione gli accordi di un brano. Senti una melodia e la riproduci».
Tra tutti i brani che sto ascoltando di Mood Swing mi sono fissato su Moonligt Girl!
«Ecco, vedi… è anche la mia preferita! Quel brano lo facevo già, ho voluto inserirlo nel disco. Sto preparando uno spettacolo che include sia brani dell’album, sia brani celebri con le stesse tematiche come, per esempio, Auschwitz di Francesco Guccini, Where The Streets Have No Name degli U2, Angelitos Negros. Stiamo montando questo spettacolo in trio, con Stefano Dall’Ora al contrabbasso, e Maxx Furian alla batteria».
Dove lo porterete?
«Abbiamo un paio di appuntamenti a settembre. Poi ne stiamo organizzando altri… Siamo sempre appesi a un filo con la musica live».