Romina Falconi, regina delle ombre

Romina Falconi. Le foto sono di Ilario Botti

Romina Falconi, classe 1985, romana, bionda platino. È un’artista che, sui dischi, naviga tra le onde rassicuranti del pop e, dal vivo, in quelle del rock bello elettrico, usando le stesse canzoni. È la donna degli ossimori: musica sbarluccicante/testi da rapper incazzato, ironica e tagliente/dolce e sorridente. «Nel mondo del pop quando ho cominciato a bussare alle porte delle case discografiche e delle radio mi vedevano come un mix tra una macchietta e la saponificatrice di Correggio», racconta con una risata. Entra nel magico mondo positivo del pop come un rinoceronte determinato a incornare la jeep dei turisti che lo stanno fotografando.

Il motivo che ha destato il mio interesse è il modo di presentare la sua musica attraverso un progetto, Rottocalco, e un tour, Rottincuore Recital, che definisce i perimetri del suo lavoro artistico. Ve lo spiego in maniera sommaria, il resto lo leggete nell’intervista: l’uscita programmata di un singolo che, come sta facendo Mirco Mariani con il Parcheggiatore di Sommergibili di cui vi ho raccontato qui, andrà a comporre un album, e in più un libro vero e proprio che spiega i tre minuti della canzone e li fa rivivere con interventi suoi e di esperti tra psicologi, scrittori, antropologi, sociologi, disegnatori. Finora ne ha scritti tre, La Suora, Lupo Mannaro, Maria Gasolina, il quarto tratto da La solitudine di una regina, brano uscito il 17 maggio scorso, una ballad che racconta la storia di una regina prigioniera dell’assenza, è in fase di preparazione.

Romina racconta le ombre, quelle che, sostiene, teniamo nascoste un po’ tutti. Per lei le ombre sono fatte di colori, gli stessi che definiscono la persona. Romina canta le sue, senza paura dei giudizi dei benpensanti e senza pregiudizi, in un mondo dove «va di moda la positività tossica». Questo suo profilo artistico così strutturato e non negoziabile l’ha portata a costituire una propria casa discografia in compagnia di altri tre soci, il cantante Immanuel Casto, Stefano Maggiore e Jacopo Levantaci, la Freak&Chic. E ora vive di… libertà, con tutti gli annessi e connessi! Questo suo modo di lavorare l’ha portata ad avere uno zoccolo duro di seguaci di un pop, altro ossimoro, che potremmo definire underground.

Mi piace come scrivi, lo fai con ironia. Un paio a caso: In Vuoi l’amante? canti: A lui cosa frega se muoio gattara, in Maria Gasolina: Poveretto mica è colpa sua se è così ricco!
«Siamo degli scommettitori, quando lavori nella comunicazione che sia in metrica o tramite articoli siamo sempre, come direbbe mia nonna, in mano a Cristo! Ho scommesso sul fatto di tirar fuori la mia natura, perché quando sei indipendente ti devi avvalere di libertà. Vai in una direzione che è netta, non sai mai se quello che fai può piacere, soprattutto nel mondo pop, dove tutto deve essere per forza “leggero”. Io invece vado giù dura con i testi. Incontrare persone che apprezzano l’ironia è una soddisfazione perché non sono la rassicurante vicina della porta accanto richiesta dal Pop, non boicotto i miei pensieri cattivi».

Allora perché hai scelto come genere il Pop?
«Ho sempre avuto una predisposizione per le cose belle. Da bambina i miei miti erano Terence Trent d’Arby, Aretha Franklin, Chaka Khan, sono figlia illegittima degli Abba, cresciuta col feticismo delle voci, con il mito di Céline Dion e di Whitney Houston, le ho studiate come una pazza. Non sono figlia d’arte, vengo da una realtà cruda, difficile, dove c’è un un senso di concretezza molto forte. Così ho provato a prendere l’essenza dei miei miti e magari cantare con una voce impostata “Ti rigo la macchina”…».

Perché dove sei nata?
«Vengo dalla piccola Parigi di Roma che è Torpignattara, dove volano speranze e coltellate. Ci torno spesso lì c’è la mia famiglia. In quartieri così nessuno si deve sentire solo: quel senso di fratellanza mi è mancato fuori. Torpignattara è un quartiere “colorato”, noto spesso alle cronache più per fatti brutti che belli, però lì c’è un senso della concretezza incredibile e le fatine buone ti portano in dono il rancore. Già da subito impari che non bisogna boicottare la cattiveria, il bello e il brutto coesistono, è così. Un pochino impari l’Arte della guerra. Tzu Sun però non c’è mai passato per Torpignattara altrimenti il libro l’avrebbe fatto alto così! Sono convinta che, dal momento in cui vuoi muovere dei passi nella musica e sai di fare una cosa diversa rispetto al generalista, devi scommettere su te stessa ancora di più e lo devi fare con i mezzi che conosci, rimando soprattutto fedele alle tue radici. Mi piace l’idea di presentarmi come una Madonna del Petrolio e poi definirmi Suor Cornina (da La Suora, ndr)».

Raccontami del Rottocalco
«Adoro le sfide. Il pezzo che è andato di più tra quelli che ho scritto è Magari Muori (un ironico reggaeton, ndr). Mi piace parlare di cose difficili in un contesto che sembri il più popolare possibile, perché è da lì che vengo, mi diverto a rompere i cliché: fuori bionda platino, dentro la Sora Lella. Il Rottocalco nasce con l’idea di fissare il più possibile ciò che faccio in un’epoca dove tutto corre veloce: se una volta una canzone era virale per una stagione ora devi accendere un cero alla Madonna se oltrepassa le ventiquattr’ore. E poi, visto che ogni brano corrisponde a un’ombra, volevo approfondire il tema della canzone. Sono cresciuta con i film di Mario Monicelli e Lina Wertmüller, mi piaceva l’idea di estrarre il grottesco dai brani. Così mi son detta: siccome sei un’appassionata di psicologia per mia cultura personale e in tre minuti di canzone non puoi descrivere un’ombra, allora fai un libro dove ci sono le viscere e i nerd (gli esperti), amici psicologi, antropologi, sociologi, scrittori, illustratori. Dal sacro al profano parlare di quell’ombra e solo di quella. La suora è stata la vendetta, il tradimento il passaggio dalla ragione al torto. Il Lupo Mannaro parla del senso di vuoto che si prova anche in mezzo alla gente, delle maschere che ci mettiamo (Chi sopravvive impara a mentire/ Rido da matti e voglio morire)… Il Rottocalco è un modo per far vivere il più possibile le canzoni, anche se, lo dice il mio socio, sei passata da un mercato in crisi a uno ancora più in crisi come quello editoriale! Secondo me vale la pena quando le regole del gioco non possono adattarsi a tutti quanti, osare a costo di passare per pazzi o per persone frou-frou».

Quindi questo tuo progetto andrà avanti?
«Sì, non mi piace pormi limiti. Anche se delle volte mi dico: “Ma cosa hai fatto!?”, testi, musica, un libro corale a più voci da organizzare… Tempo fa Tiziano Ferro – per me una specie di divinità – mi ha detto: “Romina quello che apprezzo di te è che hai la libertà”. Gli ho risposto, “A Tizià, c’ho solo la libertà”. Quando hai solo una cosa ti devi avvolgere di quell’armatura. Ho uno zoccolo duro di persone che capiscono il mio lavoro, con le quali posso sperimentare cose folli, tipo il tour; vedere che si comprano il biglietto e arrivano, in un periodo che sappiamo tutti essere molto difficile, fa ben sperare…».

A quanti libri vuoi arrivare?
«Almeno a un altro, poi dovrò far uscire questo disco, altrimenti mi metto a fare Talkien con la saga del Signore degli Anelli!».

Nel Rottocalco Lupo Mannaro vuoi portare a processo Dio. Nei tuoi brani lo nomini spesso…
«Ultimamente mi capita spesso! Vengo da una famiglia molto credente che però mi ha sempre lasciata libera. Voglio credere che ci sia qualcosa, non sono una brava cattolica, non vado in chiesa. Ho il mio senso della spiritualità che rispetto e per questo non mi va di ometterlo. E poi, mi stuzzicava l’idea di litigare pubblicamente con il mio Dio. A volte penso che Lui mi abbia sopravvalutato – la mia vita in più di un caso è stata simile a una sequenza di Super Mario Bros  – per dire “Mo’ la metto in sta situazione qua, vedemo che fa questa”. Mi piace umanizzare domande retoriche, per qualcuno banali, e proporle in un contesto “infiocchettato” come il Pop. È il contrasto che fa la differenza».

Veniamo alla musica: tu componi?
«Sì musica e testi. Poi mi piace curare gli scheletri degli arrangiamenti e da qui affidarmi ai professionisti, in modo che diventi un lavoro corale. Per Rottincuore ho avuto l’onore di conoscere e poi diventare amica di Roberto Casalino che ha sposato in toto il mio progetto. Mi confronto molto con lui».

Una curiosità: il titolo dell’Ep Perdonami padre perché ho cantato, a chi/cosa ti riferisci?
«È una frase molto usata in confessionale, ma è riferito anche al rapporto con mio padre. Abbiamo avuto grandi conflitti, sono più gli anni in cui non ci siamo parlati di quelli che abbiamo discusso, adesso abbiamo un rapporto decente. È un uomo estremamente concreto, perciò non era assolutamente d’accordo che facessi questa vita fatta più di semine che di raccolti».

In Maria Gasolina hai toccato uno dei tanti punti dolenti nel rapporto tra uomo e donna…
«Mi piaceva l’idea di affrontare un argomento “chiacchierato”. Vedere per strada un signore anziano che bacia una donna giovane fa pensare automaticamente che lei stia cercando di estorcergli qualcosa, un po’ come la storia dell’ostrica di Verga nei Malavoglia. Le intenzioni sembrano losche solo da parte della persona meno stabile di una coppia. Non è solo una questione di età, ma anche di status sociale e di canoni estetici. Ho avuto una relazione con un uomo più grande di me durata due anni. Avevamo quasi vent’anni di differenza. Dovevi vedere gli occhi addosso che avevo in quartiere, sembrava la camminata di Malena di Tornatore. Ci siamo lasciati ed è l’unico dei miei ex con cui ho un rapporto di amicizia e rispetto».

Adesso inizia la stagione dei concerti…
«Il palco è il mio posto perfetto, ho una sicurezza che nella vita non riesco ad avere. Sono un’ansiosa il mio livello d’ansia da uno a 10 è Margherita Buy».

Chi sono i “tuoi metallari”, come li definisci, che ti accompagnano?
«I fratelli Nikk e Nello Savinelli, Phil Colombari e, al mix, Leonardo Caminati con cui condivido lo stesso disagio, un po’ di disturbo ossessivo. Loro sono metallari e rockettari. In Rottincuore Recital faccio tante canzoni e tanti monologhi».

Ti sei creata una casa disografica?
«Quattordici anni anni fa ho conosciuto Immanuel Casto. Abbiamo registrato un duetto insieme. Credevamo di aver preparato una cosa carina, invece abbiamo fatto il botto di visualizzazioni, una pioggia d’amore. Casto fa cose ancora più estreme di me. Ci siam detti: “Stiamo ad aspettare il discografico azzurro sul cavallo bianco?”. Ovviamente no! In quattro soci – oltre a noi due musicisti ci sono Stefano Maggiore e Jacopo Levantaci – abbiamo creato la Freak&Chic. Siamo amici, studiamo tutto insieme. Casto crea anche giochi da tavolo, non ci siamo voluti dare limiti, siamo multifunzionali».

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