Riviera, meu amor! Ecco le magie di Toco

Toco, Tomaz Di Cunto – Foto Luan Cardoso

Tenho saudade do mar,
Tenho vontade de olhar
A nuvem cinza na céu da manhã
O teu sorriso no bar
Uma cadeira quebrada, uma flor
A vida em mil pedaços
Nesse espaço temporal

Ho nostalgia del mare/Ho voglia di osservare/ La nuvola grigia nel cielo mattutino/ Il tuo sorriso al bar/ Una sedia rotta, un fiore/ La vita in mille pezzi/ In questo spazio temporale. Il testo di Clube, brano che apre Riviera, il nuovo disco del brasiliano Toco, al secolo, Tomaz Di Cunto, uscito per Schema Records il 19 aprile scorso, racchiude tutto l’universo del compositore paulistano: un mondo gentile e scanzonato, dove c’è posto per l’amore e l’amicizia, per la vita delle piccole cose e la nostalgia, per quello che è stato e per quello che sarà. Quella punta bohémienne, come un peperoncino sapientemente dosato, presente nel samba e in quella “grande scatola”, che nel suo modo di vedere la musica brasiliana, racchiude la Música Popular Brasileira.

Toco è cresciuto sulle rive della represa di Guarapiranga, zona Sud di São Paulo. L’enorme lago artificiale è uno dei cinque bacini che garantiscono l’acqua potabile alla megalopoli, con ben 18 spiagge artificiali, un centro nautico e una foresta nativa dove negli anni Settanta, artisti, musicisti, registi, fotografi, giornalisti, amanti della natura hanno trovato rifugio stabilendo la residenza, creando di fatto un nuovo quartiere battezzato Riviera. «Ho avuto la fortuna di crescere in quel luogo, i miei genitori hanno ancora casa lì, anche se l’accesso negli anni è diventato sempre più complicato perché la periferia s’è allargata», mi spiega. E continua: «Ho avuto l’opportunità di crescere circondato da persone stimolanti, musicisti famosi, miei amici d’infanzia. Il mio amore per la musica è nato sulle sponde di Guarapiranga». Tomaz ha all’attivo quattro album,  Instalação do Samba (2004), Outro Lugar (2007), Memoria (2014) e Riviera. Il suo è un genere post bossa, che sconfina piacevolmente nel pop con forti radici nel samba.

Tomaz, sei di origine italiana, giusto?
«Il mio cognome, Di Cunto, è salernitano. Mio nonno è nato in Italia ed è venuto in Brasile, faceva il medico. Mio padre è nato a São Paulo… Sono campano, che ti devo dire, ho la melodia nel sangue!».

Cresciuto con l’Italia in testa…
«Sì, infatti qui non ho fatto fatica a integrarmi. In Brasile c’erano delle feste comandate dove si radunavano tutti i parenti della nostra grande famiglia, un centinaio di persone nell’azienda alimentare nel quartiere Mooca (il primo Di Cunto, Donato, arrivò diciassettenne in Brasile nel 1878, portando intraprendenza e ricette italiane; per inciso, fu il primo a introdurre il panettone in Brasile, ndr). Queste feste erano belle, c’era musica italiana, si mangiavano fusilli, braciole, si sentiva parlare il portoghese con l’accento napoletano. La mia prima memoria italiana è quella lì… a parte il 3 a 2 di Paolo Rossi!».

Parlando di immigrati italiani, mi viene in mente Giovanni Rubinato, figlio di due emigranti veneziani di Cavarzere. Con il nome d’arte di Adoniran Barbosa è diventato il re dei sambisti di São Paulo…
«Vero! Un paio di mesi fa è uscito un film che parla della sua vita. Si intitola Saudosa Maloca, devi vederlo!».

Adoniran rimarcava la sua italianità nel modo di cantare, storpiando, come facevano gli italiani a seconda della provenienza, il portoghese. Di quella strana lingua ha fatto il suo marchio di fabbrica!
«Assolutamente, lui ha creato un personaggio, ha fatto anche l’attore, ed è diventato un mito a São Paulo. Mi ispiro molto ai sambisti di Rio de Janeiro, alla loro estetica, al loro immaginario, però se sposto questo immaginario a São Paulo, i primi artisti che mi vengono in mente sono Barbosa e un altro “italiano”, Paulo Vanzolini, sambista eccellente e professore universitario. Entrambi erano i riferimenti della boemìa paulista negli anni Cinquanta e Sessanta. Erano pari ai mostri sacri del samba carioca».

Veniamo a Riviera! Il titolo è un omaggio al tuo quartiere di nascita?
«Non solo, anche alla Riviera Ligure, dove ho vissuto i primi anni in cui sono arrivato in Italia. La Liguria è stata il mio primo porto. Ho vissuto i primi mesi a Levanto. Ancora oggi ho tanti amici nelle Cinque Terre. Tutte le volte che ritorno in Italia vado a trovarli. E poi perché riviera è un nome pressoché internazionale, usato in molte lingue».

Un’altra cosa che ti accomuna nella tua vita Brasil-italiana è il tuo lavoro in televisione e in radio, a São Paulo e in Liguria…
«Sì, negli anni Novanta, a 21 anni, ho lavorato in una trasmissione storica prodotta da TV Cultura, MPB Ensaio. Il regista, Fernando Faro, è stato un riferimento per la produzione televisiva musicale brasiliana. Sono stato il suo assistente tuttofare per tre anni, quando lui era già a fine carriera. Fernando era amico personale di tanti artisti importanti. Grazie a lui ho conosciuto per esempio Chico Buarque, ho giocato a calcio con lui, sono entrato nella sua squadra di futebole, dove oltre a Chico stesso “militavano” Carlinhos Vergueiro, gli MPB4…».

È stato lì che hai deciso di diventare un musicista?
«Senza dubbio! Guardavo questi artisti e pensavo: “Voglio essere così, voglio vivere come loro”. Mi hanno trasmesso il senso di libertà, quel modo di guardare la vita, un approccio più leggero, spensierato…».

Non eri fatto per diventare avvocato!
«No, per niente, i miei genitori anche se non sono musicisti, mia mamma è avvocata, mi hanno capito e incentivato nella mia scelta di vita. La nostra casa a Guarapiranga era sempre piena di musica e amici…».

Poi in Italia hai incontrato Stefano Tirone, aka S-Tone Inc., ed è iniziato un lungo sodalizio…
«Davvero! C’è un collegamento molto bello che parte dal Brasile e arriva fino a Stefano. L’ultima sera prima di partire per l’Italia ero a cena con Fernando Faro per salutarlo. È stata l’ultima volta che l’ho visto, sarebbe morto poco tempo dopo. Fernando mi disse: “Visto che vai in Italia chiamo Toquinho per chiedergli un aggancio, lui conosce bene il Paese”. Toquinho ci diede il numero di Adi Souza (con le sorelle Lina, Bel e Dina aveva costituito un gruppo molto famoso in Brasile, As Moendas, che collaborò per anni con Vinicius e Toquinho. Adi è la moglie del fotografo Roberto Cifarelli, di cui vi ho parlato recentemente in questa intervista, ndr). La chiamai e, grazie a lei, feci incontri molto belli, con Monica Pães di Radio Popolare, con i ragazzi di Buscemi dischi, Mauro e Roberto. Un giorno Adi mi invitò a Milano per conoscermi. L’appuntamento era in uno studio di registrazione, quello di Stefano Tirone. Ricordo che Stefano mi chiese un parere su una versione di Eu Vim da Bahia, un classico brasiliano su cui stava lavorando. Ci lasciammo con l’invito da parte sua a rivederci per ascoltare la mia musica. Dopo un mese mi presentai da lui con il primo pezzo che poi ha dato il titolo al mio primo album, Instalação do Samba. Rimase piacevolmente sorpreso, lo portò alla casa discografica e… da lì sono partito. Adi è la mia “mamma” italiana, una donna dolcissima».

Toco – Foto Luan Cardoso

Veniamo a Riviera: hai usato il flauto, il piano elettronico, la chitarra, il pandeiro, il surdo, insomma tutti gli “arnesi” del mestiere per fare samba e bossa. Sono 15 brani che scorrono belli, autentici, sereni…
«Questa era l’intenzione. I pezzi li ho scritti quasi tutti io, alcuni assieme a Stefano, un altro, Alma de Turista, con Ramiro Levy dei Selton, un secondo, Coragem, con Dario Bracaloni, amico, producer e musicista fiorentino. L’ultima canzone del disco, Canção dos Pescadores, è una cover di José Kleber, poeta di Paraty (splendida città coloniale nello stato di Rio de Janeiro, ndr). Tutto il lavoro prodotto in questi anni l’ho fatto con Stefano e con la casa discografica Schema Records. Con Stefano ci siamo trovati bene fin da subito perché abbiamo la stessa “estetica” musicale: lui conosce tanti generi, jazz, soul, funk, New Wave, un bagaglio che, mescolato al mio, ha dato forma e sostanza ai questo lavoro morbido con sonorità senza spigoli». 

Sono passati dieci anni giusti da Memoria, il tuo terzo album, molto interessante. Qui hai fatto un ulteriore passo avanti.
«Me lo stanno dicendo in molti.È come se fossi arrivato a una sorta di sintesi nella scrittura, ho avuto questa sensazione già con i pezzi suonati a chitarra e voce. C’è qualcosa di più diretto nel mio modo di scrivere e comporre».

Quali musicisti hanno partecipato all’album?
«La cozinha, come la chiamiamo in Brasile, cioè la sezione ritmica, batteria, basso e percussioni, è quella di Memoria: Marquinho Baboo alle percussioni, Edu Hebling, grandissimo bassista che ha suonato per anni con Ornella Vanoni, e Mauro Martins, batterista brasiliano che vive in Germania. C’è ancora Eduardo Taufic alle tastiere, un genio, presente nel precedente album. Stavolta anziché chiamare Roberto Taufic alla chitarra classica, presente in Memoria, ho deciso di coinvolgere Ramiro Levy perché, essendo i brani più virati al pop, sentivo il bisogno di una mano diversa, un approccio meno classico. Poi ci sono i colori, e cioè, i fiati di Gianluca Petrella, gli arrangiamenti d’archi di Felipe Pacheco Ventura, un artista con una cultura musicale incredibile presenti in Clube, Mar e Golpe Fatal. Quindi, il flauto di Barbara Piperno (lei, italiana, suona Choro, straordinaria!) in Clube, Alma de Turista e Vento Doce, la voce di Priscilla Ribas presente in quasi tutti i pezzi. Arriviamo agli ospiti: Danilo Morães su Coragem suona la viola caipira (la viola brasiliana, chitarra a dieci corde, ndr), Luzia Dvorek, cantante di São Paulo oltre che mia compagna!, in Luz da Bahia Nell’ultimo pezzo, la cover di José Kleber, ho chiamato il flautista Edu Moreno, un musicista che ho conosciuto a Paraty, durante una una vacanza. Lui fa parte dell’Orchestra popolare di Paraty. Lea prima volta che ho ascoltato il brano è stato nella piazza della città nel 2016 suonato dall’Orchestra, e mi è rimasto in testa fino a quando ho deciso di pubblicarlo».

Canção dos Pescadores ha un arrangiamento molto bello, con echi nordestini…
«La sera successiva al concerto in piazza ho ritrovato Edu che suonava in un ristorante italiano con un altro musicista, facevano piano bar. Dopo cena sono andato da lui a presentarmi. Gli ho chiesto chi fosse l’autore di quel pezzo che mi aveva colpito, e lui mi raccontò la storia di Kleber, poeta, politico, uomo di sinistra tutto d’un pezzo, in contrasto con l’allora dittatura militare. Paraty, ai tempi era diventata un approdo “sicuro” per i dissidenti, soprattutto registi e autori. Grazie a Kleber, Paraty è diventata un centro di produzione cinematografica. Una gran bella storia».

Tomaz dove vivi?
«Con Luzia nell’inverno europeo stiamo a São Paulo, abitiamo in un quartiere, Pompeia e Vila Romana, molto divertente perché è caratterizzato da nomi prettamente ispirati all’antica Roma, rua Claudio, Tito, Vespasiano, Aurelia… quindi, l’Italia è sempre con me! In questo periodo vivo a Firenze da un caro mio amico. Vengo spesso a Milano perché c’è lo studio di Stefano anche la casa discografica…».

Qual è il tuo rapporto con la musica brasiliana odierna, dominata dal funk carioca e dal pop leggero di Anitta?
«È difficile spiegare con poche parole il mondo della musica brasiliana, che è estremamente vario. Per capire questo mondo bisogna immaginarsi tante scatole, o, se vuoi, tanti binari paralleli. Da un lato abbiamo una super industria, un mercato che viaggia da sé, che è il Sertanejo, un giro miliardario di investimenti provenienti anche dell’agrobusiness, il cui centro è lo stato di Goias, con un pubblico spesso legato al bolsonarismo… la politica è entrata anche qui! Poi c’è il Funk carioca che ha una sua importanza, anche lì c’è un super pubblico, è più mainstream, vedi il concerto di Madonna a Rio, improntato su quel genere. In un’altra scatola/binario metto la Música Popular Brasileira (MPB), filone che prosegue vivissimo con le sue sfumature che vanno dal samba classico alla bossa, dallo Choro al jazz, alla musica strumentale, all’Indie e via elencando. Ogni scatola ha il suo mercato e quello della Musica Popolare Brasiliana è fertile, vivo più che mai. São Paolo è diventata il centro di artisti medio-grandi, che potremmo chiamare midstream, musicisti non sono mainstream ma che vivono bene della loro musica. Ecco, questa è la mia scatola!».

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