Disturbat! Altr! Spoken word tra ricordo e testimonianza

La sua musica e la sua poesia sono forse uno dei pochi esempi che io conosca in cui l’arte ha avuto un peso rilevante, se non nel mutamento della realtà, certamente nel far sì che dei giovani avessero di nuovo il coraggio di sognare, di immaginare una città e una vita diversa. E di agire di conseguenza

Così scriveva nel settembre del 2013 il poeta Lello Voce, alla prima edizione del premio Dubito, dedicato a un giovanissimo artista che scelse di non vivere più buttandosi nel vuoto ad appena vent’anni il 25 aprile del 2012. Alberto “Dubito” Feltrin il suo nome. Assieme a Davide “Sospè” Tantulli aveva fondato i Disturbati dalla CUiete, pubblicando un album (lui lo incise ma non arrivò a vederlo) dal titolo La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite). Alberto, i Disturbati e quel disco sono oggi i protagonisti al Django di Treviso (città dove Dubito viveva e operava) di una serata dal titolo Rivendicazioni altre ancora.

Dubito, alterego che la diceva lunga sul pensiero del giovane poeta, praticava l’arte dello spoken word, quella tanto celebrata negli anni Settanta grazie a Gil Scott-Heron. A proposito, sabato prossimo pubblicherò un’intervista alla contrabbassista Silvia Bolognesi che, insieme a Eric Mingus, figlio del mitico Charles, si esibiranno il 28 aprile a Firenze con Is That Jazz?, un omaggio al musicista e poeta Heron.

Ritorno a Treviso: nella serata ricordo verrà presentato un nuovo disco realizzato da 20 artisti provenienti da tutta Italia, riuniti in un collettivo che si rifà al lavoro di Dubito e dei Disturbati, partendo dal nome, Disturbat! Altr! Il passaggio “fisico” di un testimone sono gli 11 brani riarrangiati, alcuni con testi riscritti, adeguati all’oggi, che potete ascoltare su Bandcamp.

«Stasera presenteremo il disco, ci saranno vari ospiti, ci sarà un Poetry Slam, il concerto del vincitore dello scorso anno e tanto altro», mi racconta Toi Giordani, classe 1992, bolognese, una laurea in filosofia, membro del collettivo e vincitore dell’edizione 2018 del Premio Dubito di Poesia con Musica con i Mezzopalco, trio che due anni fa ha pubblicato un album da ascoltare, Impre, per la ZPL – Zoopalco, etichetta che lui stesso ha contribuito a fondare. 

Toi Giordani – Foto Francesca Burrani

Gil Scott-Heron, Alberto Dubito, i Disturbati e i Disturbat! Altr! È tutto collegato?
«Distrubat! Altr! è un progetto che nasce più di un anno fa con questo nome e con questa idea. Dopo la breve ascesa dei Disturbati dalla CUiete, e a pochi mesi dalla morte di Abe, si è stretta sempre di più una piccola comunità che poi ha fondato il premio Dubito, oggi il più importante premio di poesia con musica in Italia. Alberto, in tempi e misure completamente diversi, utilizzando il rap, l’hip-hop, lo spoken word, scrivendo testi, libri e dedicandosi a produzioni musicali ha seguito un po’ il solco di Gil Scott-Heron, musica, parola e poesia come strumento di denuncia, di lotta e di ricerca. La commistione tra poesia e musica, il mettere insieme due linguaggi in un unico medium, si rifà a quella poesia orale che è la genesi della poesia stessa. Personalmente sono arrivato al premio Dubito con un interesse nei confronti di Alberto, la sua figura in modi completamente diversi, grazie anche al lavoro di Agenzia X, ha avvicinato un sacco di persone alle pratiche della poesia orale, al rap e alla musica. Insieme abbiamo scoperto che intorno a quel premio non c’era solo lo volontà di portare avanti un ricordo di Alberto ma una specie di comunità interessata a prendere il testimone di quello che era stato fatto dai Disturbati dalla CUiete e a rilanciare, tenendo insieme l’espressione musicale, la poetica, la politica e la volontà di modificare la realtà».

Perché secondo te un ragazzo di 20 anni è stato così incisivo ed è riuscito a fare da catalizzatore in una maniera così potente?
«Credo che quello che ha lasciato Alberto e anche i Disturbati, come ricerca musicale, tipo di prosodia, di rapporto tra parola e musica, sia un figlio del suo tempo, ma che parla ancora. L’arte di Alberto, a livello tecnico, è un connubio di strumenti cesellati alla perfezione: una grande mente, una voce molto consapevole e molto caratterizzata, una capacità narrativa nel connubio con un equilibrio fortissimo tra rabbia e dolcezza, una capacità di visualizzare i problemi del nostro tempo senza paura di esprimere delle fragilità dal punto di vista del contenuto. I testi di Alberto sono estremamente potenti ma anche altrettanto – e lo dimostra il suo nome d’arte – interrogativi della realtà, e questa è una cosa molto rara, perciò brilla tantissimo nel panorama della musica degli ultimi 15 anni, perché spesso la musica è molto assertiva, lo è soprattutto il rap. Invece Alberto riusciva nella sua scrittura a essere molto riferito al suo tempo, era un momento preciso, si percepisce una potenza e un’urgenza che non è andata affievolendosi. Parla di un tempo, ma continua a parlare. E da qui anche l’idea di rifare questo disco, non solo prendendolo in mano come sonorità e come “tributo” ma anche come temi. Per questo i testi sono stati reinterpretati, qualcuno proprio riscritto completamente come se fosse una specie di dialogo con l’Alberto autore dei testi originali. E anche questo travestimento, secondo me, si può fare solo con qualcosa di vivo. Se fosse in un certo senso stato estinto il potere delle sue parole probabilmente sarebbe stata un’operazione discografica che aveva senso fino a un certo punto. Invece quei testi continuano a parlare e ti fanno venire voglia di rispondere!».

I Disturbati dalla CUiete, Alberto “Dubito” Feltrin e Davide “Sospè” Tantulli

Dubito descriveva una Treviso governata dalla Lega con la politica cinematografica dello “sceriffo” Gentilini, sindaco al comando…
«Una situazione che si è estremizzata ancora di più oggi!».

Non solo la politica, anche il rap mainstream s’è ripiegato sulla spettacolarizzazione del singolo, manca il concetto di  partecipazione che cantava Gaber…
«A livello di massimi sistemi il rap è diventato uno strumento di espressione di massa, è entrato in processi che esulano dai motivi che mi immagino potessero avere per scrivere i Disturbati. E sono anche molto lontani dai motivi per cui noi facciamo musica. Noi siamo in continuità con i Disturbati. Oggi ciò che è mainstream, con tantissime e bellissime eccezioni, tende a inserirsi in categorie che sono più orientate all’intrattenimento, se vuoi all’estremizzazione, al consumismo. Il mondo in cui si muovevano Abe e i Disturbati, era in un certo senso “di mezzo”, tra il sotto e il sopra, cominciavano ad avere un po’ di successo, però la dinamica era sempre tesa ad attivare una collettività. Il momento del concerto era l’attivazione della collettività. Posso anche raccontare un fatto privato ma lo faccio per condividere e attivare una comunità, per generare anche solo una sensazione collettiva, se non effettivamente una reazione collettiva. La potenza che c’è in quei dischi e testi ha risuonato fino a oggi. Per cui noi ora quando parliamo di spoken word con il premio Dubito, dei Disturbati, ci siamo trovati quasi naturalmente a costruire un disco collettivo. Perché era questo il richiamo non solo di quel singolo lavoro (La frustrazione del lunedì, e altre storie delle periferie arrugginite, ndr) quanto di tutta la loro ricerca, ed è  questo che abbiamo preso in carico, non tanto la possibilità di mettere insieme bravi artisti dal basso, per lo più poco conosciuti se non nelle nicchie e fare un discorso musicale coerente per quanto eterogeneo. Che comunque era uno degli obiettivi, ma il movimento principale è stato quello di metterci insieme e ragionare su come riattualizzare quel disco, su che cosa dire, come rispondere, come prolungare un discorso, in parte una ricerca musicale, in parte una posizione politica attraverso la musica».

È un disco bello, denso, pregno di pensieri, porta nelle intenzioni a un ascolto più generale possibile. Ma avrà presa sui ragazzi delle periferie delle nostre grandi città o dei piccoli paesi di campagna?
«Con il collettivo Zoopalco, i cui artisti, ne faccio parte anch’io, partecipano ai Disturbat! Altr!, facciamo un lavoro continuativo di laboratori di poesia, di hip-hop, di spoken word nelle scuole superiori, licei, istituti tecnici, scuole medie, strutture pubbliche o private periferiche che si preoccupano di cercare di limitare la dispersione scolastica creando opportunità per i ragazzi. Spesso apriamo i laboratori facendo ascoltare, per catturare l’attenzione già molto bombardata dei ragazzi, brani dei Disturbati dalla CUiete. Quello che si nota sempre è che per quanto i ritmi non siano quelli della drill, della trap attuale ma un immaginario differente da quello che sono abituati a percepire, è comunque un ascolto che in qualche modo riesce ad arrivare, diventando un motore di creatività per i ragazzi che si mettono a scrivere avendo presente anche quel tipo di immaginario e di funzione». 

Monosportiva, duo composto da Eugenia Galli, performer del collettivo Zoopalco, e lllo, propongono “Storie Precarie”

Su questa scia si incanala il vostro nuovo lavoro?
«Uno degli obiettivi è di aprire il mondo del premio Dubito e della spoken word italiana con queste caratteristiche. Nel disco è stato complesso riuscire a dare una coerenza musicale di fondo per riunire coerentemente tutte le creatività. Questo per spiegare che fare musica non significa semplicemente tendere a un successo o a una realizzazione personale, ma costruire delle piattaforme di confronto, delle collettività attive con cui scambiare idee, spazi o banalmente fissare delle date per lavorare insieme a dei dischi. Tutto questo universo è il premio Dubito dal cui cui ventre sono nati i Disturbat! Altr! Lo scopo, oltre alla diffusione è quello, per esempio, di vedere la prossima edizione del premio Dubito con tante iscrizioni di giovanissimi, non solo di trentenni come me. Intercettare quelle urgenze che dalle periferie o dai buchi delle grandi città o dalle zone rurali cercano un modo per emergere, laddove ormai pare che emergere nel mondo della musica significhi solo trovare il canale per “svoltare” la propria vita. E invece si svolta anche costruendo una collettività, cercando la sostenibilità collettiva, entrando a far parte di un gruppo coeso che fa ricerca e si interroga». 

Processo molto più costruttivo e creativo!
«Certo! Dico sempre questa battuta che sentii una volta dal mio professore di filosofia: Il successo per me non è un sostantivo ma un participio passato».

Il premio è un motore potente!
«La grande fortuna è che non si tratta solo di un discorso artistico e politico ma c’è anche un grande impegno da parte della famiglia di Alberto, che tutti gli anni si fa parte attiva. Oltre alla serata del Django, da un paio d’anni a questa parte organizziamo una residenza artistica sulle Alpi, a Forno di Zoldo, insieme alla famiglia Feltrin, e discutiamo di tutto. È come se si fosse creata una specie di intelligenza collettiva per cercare di sviluppare questa idea. L’arte in questo modo prende senso».

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