Tre dischi per gite fuoriporta

Ed eccoci già a venerdì, la Pasqua è stata archiviata e il tempo sembra essersi messo “in buona”. Quindi, come si diceva nei vecchi magazine di viaggio, approfittatene per dedicarvi a un weekend di sole, il primo assaggio di primavera calda e rilassante! Vi propongo tre nuove uscite, che mi sono piaciute, un disco fresco fresco di giornata, uscito proprio oggi, un bravo cantautore brasiliano e una riedizione di un grande classico jazz firmato Joe Henderson. Tre dischi per tre momenti della giornata da ascoltare in auto, durante una siesta nel pomeriggio o la sera guardano il mare e le stelle…

1 – Only God Was Above Us – Vampire Weekend – uscita: 5 aprile
Ezra Koenig, 40 anni fra tre giorni, cantante, chitarrista, bandleader e i due Chris, Baio, al basso e Tomson alla batteria, sono tornati in gran forma con un disco per molti aspetti innovativo rispetto all’indie rock a cui ci avevano abituati. Il quinto lavoro in studio della band è ben confezionato, e non potrebbe essere altrimenti vista la risaputa pignoleria del trio a cui si aggiunge da esterno, dopo l’uscita dal gruppo otto anni fa, Rostam Batmanglij, creativo musicista, polistrumentista e produttore. Only God Was Above Us è un lavoro di introspezione per la band newyorkese nata alla Columbia University nei primi anni Novantacon sede a Los Angeles, una riflessione su loro stessi e sulla loro città natale. Un guardarsi indietro senza rimpianti ma con la maturità di “giovani” quarantenni, come bene spiega lo stesso Koenig a Jon Pareles, critico musicale del New York Times in una recente intervista. Scrive Pareles: «Koenig ha descritto la sequenza di canzoni del nuovo album come “un viaggio dalla domanda all’accettazione, forse alla resa. Da una visione del mondo negativa a qualcosa di più profondo”. In definitiva l’LP è ottimista. “Non è un disco di malinconia… Fa parte della storia, non è la tesi dell’album che il mondo sia diventato oscuro e orribile”». Da Ice Cream Piano, canzone che apre il disco, con un inizio lento che si trasforma in un overdose di pianoforti e tastiere acidule sovraincisi, violini orchestrali, cambi di ritmo e di stili, bruschi arresti e lente ripartenze, passando per Prep-School Gangster o Mary Boone dove i Vampire escono prepotenti con il loro inconfondibile stile, per finire a Hope, l’ultimo e lunghissimo brano (quasi otto minuti) che segna un cambio di stile radicale rispetto ai precedenti, una sorta di avviso ai naviganti sulle produzioni future, è un lavoro da ascoltare, divertente, ricco di sonorità, di intuiti musicali, complesso nei repentini cambi ritmici con Koenig che fa da mattatore. 

2 – Canções em Chamas – Leo Cavalcanti – uscita: 28 marzo
«Canções em Chamas è il fuoco musicale che voglio e ho bisogno di accendere. È una brace che alimento da tempo nel desiderio e nei sogni. È una necessità dell’anima, rito di rinascita. Le canzoni di quest’album evocano le diverse qualità del fuoco, sia come forza vitale sia come motore di distruzione e di trasmutazione. Parlo di amore, di dolore, di Salvador, del Brasile, degli abissi del desiderio, di potenza, di movimento, di mistero. Di tutto quello che brucia». Così Leo Cavalcanti, artista riflessivo e per nulla mainstream (in 18 anni ha pubblicato tre album in studio, incluso questo) parlava del suo disco quando aveva lanciato un crowdfunding per la sua realizzazione. Seguendo il fuoco e i ritmi di Salvador da Bahia, dove Leo si è trasferito sei anni fa lasciando São Paulo, il disco si avventura tra interventi elettronici, percussioni afro, chitarre sincopate, riferimenti voluti a quella scuola bahiana che vede in Gilberto Gil e Caetano Veloso, i suoi più raffinati rappresentanti. Caetano canta con Leo in Nós Nus, uno dei brani più affascinanti del disco. Interessanti anche le altre partecipazioni, Josyara (Abraça a Brasa, Brasil) e il rapper Hiran, musicista indipendente che si sta affermando nel Paese Sudamericano. La fiamma di Cavalcanti crepita a Salvador. «Il disco si alimenta grazie all’infinita ricchezza musicale di Bahia», spiega l’artista. Credetemi, vale la pena ascoltarlo!

3 – Power to the People (Remastered 2024) – Joe Henderson – uscita: 15 marzo
Sono passati praticamente 55 anni (era il 23 maggio del 1969) da quando il grande sassofonista tenore Joe Henderson pubblicò Power to the People. Un lavoro che fotografava il mondo del jazz alla fine degli anni Sessanta tra le pulsioni conservatrici che si rifacevano al Be Bop, il freejazz che era nato da una decina d’anni e la rivoluzione che Miles Davis si apprestava a portare nel mondo del jazz con la sua fusion tentacolare e invitante. Il lavoro di Henderson contiene tutto questo e di più, è una summa di un generi che che ne fanno un disco filologico. Il 15 marzo scorso, grazie a un’importante operazione di ristampa da parte della Craft Recordings, l’album ha rivisto la luce rimasterizzato. Un’occasione ghiotta per gli amanti del jazz ma soprattutto per chi ha voglia di capire cosa stesse succedendo in quei fecondi anni di cambiamenti totali nella musica e nei costumi. Con Joe Henderson c’erano alcuni musicisti diventati dei dell’Olimpo jazzistico, il tastierista Herbie Hancock, il bassista Ron Carter (entrambi suonavano già con Miles), il batterista Jack DeJohnette (che proprio in quell’anno iniziò la collaborazione con Davis), il trombettista Mike Lawrence. Il lavoro è tutto un alternarsi di stili e strumenti: Hancock suona il pianoforte e il Fender Rhodes, Carter il contrabbasso e il basso elettrico, uno scorrere fluido di stili e note che confluiscono tutti nel sax-calamita di Henderson. Ascoltate Black Narcissus, primo dei sette brani che compongono l’LP, e uno dei più famosi del sassofonista dell’Ohio, la stessa Power to the People o Afro-Centric e capirete tutto. 

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