«Un obiettivo più che una sfida: creare un punto di riferimento dove si respiri, gusti, ascolti arte, sorseggiando un buon vino, assaggiando piatti creati con passione, ascoltando buona musica». Andrea Sabatino, 41 anni, salentino, trombettista, non ha dubbi: «Vino, cibo e note sono una sintesi perfetta d’arte e cultura, soprattutto in Italia dove vige il culto del “gustare” fisicamente ed emozionalmente». Una formula sperimentata positivamente da anni, basti pensare al Blue Note e ai tanti jazz club presenti anche nel nostro Paese, che vede in questi giorni all’opera anche il bravo Sabatino e uno chef, Stefano Seviroli, in quel di San Pietro in Bevagna.
In questo caso con un doppio obiettivo: far conoscere ai turisti che in questi giorni affollano il Salento i talenti jazzistici della Puglia e spiegare, attraverso gusti e sapori, una terra che oltre al mare (ormai noto) ha una storia profonda. Non un locale con la musica giusta dove deliziarsi sotto le stelle, ma un’esperienza immersiva, dove, come mi racconta Sabatino, si spieghi «l’importanza dell’ascolto e la valorizzazione dei musicisti che suonano sul palco», non così scontata vista l’atmosfera vacanziera.
Il Don Pedro, un’ex discoteca trasformata in ristorante, tutti i venerdì di agosto e fino al primo di settembre si trasforma in un jazz club, una casa della musica d’autore. Cinque concerti, il primo, venerdì scorso, ha avuto come protagonisti Francesca Leone e Guido Di Leone, voce e chitarra per un viaggio nel Samba riassunto in un album, Historia do Samba, pubblicato dalla Abeat Records di quel geniaccio di Mario Caccia, che ho intervistato su questo blog l’anno scorso – qui se volete rileggerla.
Venerdì 4 agosto saliranno sul piccolo palco del Don Pedro Andrea Sabatino con il pianista Mario Rosini… Consiglio vivamente chi si trovasse in acque salentine di andarlo ad ascoltare.
Ho chiamato Andrea per farmi raccontare l’avventura. Ne è uscita una chiacchierata a tutto campo, tra jazz artisti, progetti, desideri.
Com’è nata l’idea di trasformare un locale turistico in jazz club?
«Il Don Pedro è una felice intuizione del mio caro amico Stefano Seviroli, che tra l’altro studia tromba con me, chef e persona meravigliosa. Ha preso un’ex discoteca e l’ha trasformata in un ristorante dove si mangia “da paura”, curato sotto tutti i punti di vista. Ci siamo detti: perché non portare il jazz anche qui, nonostante sia un punto di passaggio turistico? Abbiamo deciso di provarci, un esperimento. Quindi, ogni venerdì alle 21:30, il locale diventa un jazz club sotto le stelle e a lume di candela. Il primo concerto ha fatto parlare molto, tanto che la gente sta già prenotando di venerdì in venerdì».
Il 4 agosto salirai sul palco con Mario Rosini al pianoforte…
«Mario è un amico fraterno, un musicista poliedrico. Ha partecipato a Sanremo nel 2004 con Sei la vita mia, è stato il pianista storico di Pino Daniele (Pino nel 1992 produsse il disco di Rosini Mediterraneo Centrale, per la Freeland Records, ndr), collabora con Gino Vannelli, e quando ha bisogno di un trombettista, spesso chiama me…».
Cosa suonerete?
«È sempre una bella domanda con Mario! Ogni volta che ci impegniamo a fare una scaletta per un concerto non ci riusciamo mai. Lo definisco un jukebox, inizia a cantare e suonare, è un’enciclopedia musicale viventei. Così si finisce che lui si siede al pianoforte e incomincia a suonare e io gli vado dietro. Mario spazia dal jazz standard al pop raffinato alla Stevie Wonder. Stare sul palco con lui è veramente intrigante. Vediamo venerdì cos’ha voglia di interpretare!».
Bella cosa! Significa che avete un buon interplay, e non è di poco conto!
«Sì, ad aprile abbiamo fatto un tour di concerti in Campania. L’appuntamento di Napoli è stato straordinario, il pubblico era in delirio».
Veniamo al tuo ruolo di direttore artistico per quesa serie di concerti al Dom Pedro: come hai costruito gli incontri musicali? Vedo che c’è molta musica latina, soprattutto brasiliana…
«Ho cercato di coinvolgere le realtà più belle e importanti che abbiamo in Puglia, come Francesca Leone, Guido Di Leone, Paola Arnesano, Giampaolo Laurentaci, Luciana Negroponte, Vito Di Modugno, Marco Giuliani. Essendo musicisti super attivi stanno tutti portando avanti progetti nuovi. Spesso e volentieri il tema è quello del Samba e della Bossanova…»
Come ti spieghi la rinnovata passione del sound brasileiro che non vedo attualmente in Brasile?
«In Brasile sono talmente “Samba e Bossa” che sono alla ricerca di qualcosa di nuovo. La loro tradizione si è quindi spostata verso l’Europa, soprattutto in Italia. È una musica fresca, affascina anche i non cultori del genere, dove i capostipiti, da Gilberto a Jobim, hanno scritto tanta di quella bella musica che è difficile non innamorarsi».
In Puglia c’è una nutrita enclave di jazzisti, come in Sardegna e in Sicilia, perché?
«Ho iniziato a suonare jazz nel 1999/2000 quando avevo 18/19 anni e già allora c’erano i capostipiti del jazz pugliese, su tutti Guido Di Leone e Roberto Ottaviano. Ricordiamoci i concerti di Chet Baker nel basso Salento, tutti i festival organizzati negli anni dalla Regione… è così che tanti giovani si sono appassionati e hanno intrapreso gli studi musicali. Sono docente di tromba in Calabria e anche lì c’è una bella realtà. I giovani che fanno jazz adesso sono fortissimi, c’è fermento, ed è questa la cosa importante».
Stai portando avanti due progetti interessanti, il primo con Vince Abbracciante, uno dei miei fisarmonicisti prediletti, e l’altro con un quartetto di solido impatto…
«Il disco con Vince uscirà a dicembre, edito da Dodicilune. Questo lavoro sembra un parto. Abbiamo cercato di realizzarlo più volte, ci ha bloccato prima la pandemia, poi gli impegni di ciascuno, adesso ci siamo riusciti e lo abbiamo finalmente registrato e da gennaio 2024 inizieremo a portarlo in giro per l’Italia. È nato da una mia idea di “cantare” con la tromba. Sono un amante della musica italiana, quella degli anni Cinquanta e Sessanta (Trovajoli, Mina, Bruno Martino…), sulla qualità musicale di oggi non mi esprimo. Volevo suonare alcuni brani che hanno fatto la storia della musica nazionale e volevo farlo accompagnato solo da un fisarmonicista. La scelta è stata inevitabile, un bravo musicista pugliese e un amico: con Vince abbiamo un’intesa perfetta. Le note di copertina le ha scritte Enrico Rava, giovanotto di 85 anni con ancora la voglia e la forza di portare in giro i suoi progetti. Con Enrico c’è un rapporto di amicizia e di grande stima. Ha scritto delle cose meravigliose su di me e lo vorrei sul palco per la presentazione del disco!».
E il quartetto?
«L’altra mia gioia più grande in cantiere è Quarantesimo, il regalo che mi son fatto dopo un periodo di fermo per un problema di salute, mesi in cui ho scritto nuova musica. Al rientro mi sono attivato subito e ho chiamato un trio di musicisti di grande caratura, Pietro Lussu al pianoforte, Aldo Vigorito al contrabbasso, bassista straordinario, e Giovanni Scasciamacchia, lucano di Bernalda, incredibile batterista. Presto saremo in studio a registrare per far uscire il disco nel 2024».
Vieni dal Bebop poi ti sei spostato verso altre sonorità. Come definiresti il tuo jazz oggi?
«Sicuramente più maturo: spesso faccio considerazioni sui miei ascolti odierni e mi chiedo: “Ma se avessi ascoltato questa corrente jazz 15 anni fa cosa avrei detto? Sarei riuscito ad ascoltarlo più di due minuti?”. La risposta è no! Oggi mi sento più riflessivo. Probabilmente mi hanno fatto crescere i problemi fisici che ho avuto ma anche il mio modo di suonare che mi ha portato in un’altra direzione. Sono a un punto di svolta come musicista. Ultimamente ho concentrato il mio studio sul suono attraverso un flicorno incredibile, quello dell’azienda di Hub Van Laar, un artigiano olandese morto qualche mese fa, vero genio perché è riuscito a costruire, secondo me, il migliore strumento attualmente in circolazione».
Chiudo: preferisci la tromba o il flicorno?
«D’istinto di più il flicorno, però sono importanti entrambi in egual misura. Ci sono cose che non si possono suonare con il flicorno e altre con la tromba. Un esempio: una Bossanova richiede tutta la vita il flicorno. Invece un superfast ha bisogno della tromba, questo è il mio pensiero, ovviamente!».