Oragravity, la musica di Caravaggio

Gli Oragravity, Federica Luna Vincenti e Umberto Iervolino – Foto Azzurra Primavera

La musica come pennellate, i brani come tanti piccoli preziosi particolari di un quadro. Chiaroscuri, fisicità e pensiero. Ascoltare la colonna sonora di un film disgiunta dalle immagini è un interessante percorso mentale. Soprattutto per L’Ombra di Caravaggio, ottimo lavoro di Michele Placido. Gli autori della soundtrack sono gli Oragravity, due musicisti che si sono trovati compatibili per gusti e creatività in un’avventura per nulla scontata. Sono Federica Luna Vincenti, che è anche la produttrice della pellicola nonché la moglie di Placido, e Umberto Iervolino, compositore napoletano con sede a Milano, che nella sua gioventù ha suonato anche con i mitici Napoli Centrale di James Senese. 

Musica ed elettronica. Strumenti fisici (archi) e colori virtuali, dai synth analogici agli strumenti digitali, uniti a una buona dose di spiritualità alla Sigur Ross e alle atmosfere di scuola nordeuropea, costituiscono nella versione disco, 13 brani per 35 minuti, un ascolto denso e profondo. Con una certezza, che la musica (ma anche il film) sono stati pensati, realizzati e diffusi con una logica rigorosa, dove prevale la parte artistica a quella commerciale. 

L’interessante di tutta questa operazione è che L’Ombra di Caravaggio traslata in musica è un disco a sé, che non segue l’incedere classico delle colonne sonore con crescendo preparatori a scene d’ansia, dolore o azione; piuttosto, è un’operazione mentale dove la composizione moderna calza alla perfezione in un film che richiama, per evidente collocazione storica, momenti prebarocchi o barocchi, qui volutamente trascurati.

Più che una soundtrack tradizionale sembra, come scrivevo all’inizio, un quadro, questo sì tipico di Michelangelo Merisi, quella fedeltà maniacale nell’uso delle forme e della luce, un verismo portato all’eccesso. Le note diventano giochi di luci e ombre, momenti di grande fisicità con il canto acuto e dolce di Federica e gli archi coinvolti in loop digitali che ne esaltano la finezza e il colore. 

Ho chiamato gli Oragravity per farmi raccontare il loro lavoro e ne è uscita una bella chiacchierata…

Mi sembra che abbiate adottato uno schema molto rigoroso nella composizione. Uso della tecnologia ma molto ben amalgamato…
Federica: «La tecnologia contamina un po’ tutto il nostro vivere, non solo il fare musica. Quello che mi sono posta, anche nella produzione del film, è una valorizzazione del prodotto, che si può tradurre in una resistenza autentica: il film lo teniamo nelle sale e non lo mettiamo sulle piattaforme streaming, la musica la componiamo con un lavoro “analogico” arricchito dalla tecnologia. Un metodo che non opacizzi il nostro lavoro e non lo omologhi. Non fraintendermi, ma il lavoro noi lo concepiamo in modo religioso, lo facciamo con devozione, senza seguire questa o quella moda…».
Umberto: «Oscar Wilde diceva che La moda è una forma di bruttezza così intollerabile che siamo costretti a cambiarla ogni sei mesi. Dobbiamo sempre separare gli aspetti commerciali da quegli artistici».

Tutt’altra direzione rispetto ai Måneskin. Cito loro perché in questo momento sono l’estrema sintesi di come il marketing (e la fama) superino la creatività…
Federica: «Sono un prodotto commerciale, l’arte è altro. E sono piani diversi. Noi non facciamo questo lavoro per piacere a tutti».

Come Oragravity state lavorando ad altri progetti?
Umberto: «Sì, ci stiamo dedicando a lavori teatrali dove c’è anche molta prosa».

Tornando al disco: ho apprezzato molto gli interventi canori di Federica!
Umberto:
«Lei lo dice poco perché siamo due “ragazzi” semplici, ma Federica è una rarissima cantante. Arriviamo entrambi dalla musica suonata. Amiamo la tecnologia ma la utilizziamo come uno strumento, un mezzo. La sua voce è filtrata ma non è corretta digitalmente».
Federica: «Una cosa importantissima: tutte le sonorità in presa diretta del film (dalle gocce d’acqua al rumore delle catene) sono state usate come base per la colonna sonora. Amalgamare il mondo sonoro reale del film alla musica è stato un lunghissimo lavoro».

Come vi siete conosciuti?
Federica: «Tramite il nostro comune manager. Poi abbiamo scoperto che amiamo la stessa musica, la pensiamo allo stesso modo su molte cose… a volte ci facciamo un po’ paura!»

Qual è la musica che vi piace, dunque?
Federica: «Entrambi ascoltiamo i Sigur Ross, il loro mondo visivo, fortissimo, è puro cinema, gli M83, Thom Yorke…»
Umberto: «Sono cresciuto con i Deep Purple, i Genesis, Peter Gabriel, i Led Zeppelin. Confermo la musica nordica, ascolto molto anche Eumir Deodato».

Una curiosità: Michele Placido cosa diceva del vostro lavoro?
Umberto: «Entrava, si metteva dietro di noi e ascoltava. Non ha mai detto nulla. Taceva e ascoltava. Ha avuto la capacità di aprirsi a proposte un po’ ardite, come la nostra. Con la montatrice, invece, ci siamo scambiati molti spunti».
Federica: «È vero, ha ascoltato e apprezzato. Michele non è certo una persona che sta zitta quando c’è qualcosa che non va».

Quando una colonna sonora è perfetta per “quel” film?
Federica: «Quando non prevale sul film. Deve essere supporto, colore, scintilla».