Vivere attraverso la musica è un’arte che pochi sanno praticare. È questione di attitudine, di sensibilità, di condivisione. Joe Barbieri, musicista napoletano, è uno di questi rari esseri umani. Lo seguo da anni, mi ha incuriosito fin dai suoi primi lavori per la sua “integrità musicale”. Che non significa attaccamento a un genere, anzi! Semmai, pura creatività messa in note con criteri rigidissimi.
Artista attento alla musica del mondo con una predilezione per il jazz, la bossanova e lo choro, la sua Cosmonauta d’appartamento suonata con Hamilton de Hollanda, incredibile mandolinista brasiliano, dall’omonimo album uscito nel 2015, è uno dei brani che resta custodito nella mia playlist del cuore, tra Desde Que o Samba é Samba di Caetano Veloso e Gilberto Gil, e País Tropical cantato da Veloso, Gil e dalla grande Gal Costa (che se n’è andata a 77 anni la scorsa settimana)… Insomma, tornando a Barbieri, alla sua creatività, uno può avere tutta la fantasia del mondo, ma poi, per trasformarla in musica e fare un buon pezzo ha bisogno di tanta arte e studio.
Pino Daniele, che lo scoprì quando aveva appena 18 anni, da musicista raffinato qual era, ci aveva visto giusto. Lo spinse sul palco a Castrocaro, festival delle nuove proposte, poi passò l’anno successivo per Sanremo. Erano il 1992 e il ‘93. Da allora, di anni ne sono passati 30. Quanti bastano per scrivere un bilancio della propria vita artistica. E Barbieri lo ha fatto raccogliendo 20 brani della sua bella carriera (gli ultimi tre sono una novità 2022, un regalo per i suoi fedeli seguaci) eseguiti dal vivo in quartetto con Pietro Lussu al pianoforte, Bruno Marcozzi alle percussioni e batteria e Daniele Sorrentino al contrabbasso, e quindi raccolti in un album che fa il verso al suo disco pubblicato lo scorso anno, Tratto da una notte vera (live 2022).
Bravura e rigore, passione e condivisione sono parole che fanno parte del vocabolario di Joe. E probabilmente è questo mix di colori e terra il seme da cui nascono i suoi quadri musicali. «Io sono un po’ marinaio, la musica è il mio passaporto», canta il Cosmonauta dal suo appartamento. Eh già: perché il Nostro è uno che viaggia per il mondo intero e anche oltre, ma per lo più dalla sua Napoli. Viaggi che si traducono in collaborazioni importanti, Hamilton de Hollanda, appunto, ma anche Ivan Lins con cui ha cantato e suonato Todos Iguais Nesta Noite con Tosca (splendido il sodalizio tra i due artisti!) e Giovanni Ceccarelli. Oppure Omara Portuondo nella commovente Malegría dall’album Maison Maravilha del 2009, le spagnole Elsa Rovayo (La Shica) e Luz Casal, e ancora, Peppe Servillo, Fabrizio Bosso, Jaques Morelenbaum, l’istrione Mauro Ottolini, Luca Bulgarelli…
E poi c’è il capitolo “pubblico”, a cui Joe dedica da sempre un lavoro “sartoriale”. Il “suo” pubblico, a cui deve tutto (questione di rispetto), diventa il cultore, il custode e la ragione della musica dell’artista. Barbieri ha i suoi seguaci, i Maravilhosi, come si sono battezzati, a cui ha dedicato un brano, Maravilhosa Avventura, un samba che richiama la vellutata ritmica di Paulinho da Viola.
Joe, trent’anni di musica racchiuso in un disco dove hai rivestito le tue canzoni di preziosi interventi…
«È la risposta al mio bisogno di fare una foto d’insieme al mio repertorio, riletto alla luce di ciò che mi ha formato artisticamente, il jazz e il Brasile, e anche una foto ricordo che potesse includere il mio pubblico».
Parli spesso del tuo pubblico…
«L’elemento umano è fondamentale, angolare. Mi ha indicato la strada. Con molti ascoltatori sono diventato amico, sono nati rapporti umani, scambi, valore».
Infatti hai dedicato loro Maravilhosa Avventura!
«Quello con i Maravilhosi, le persone che mi seguono da anni, è un rapporto vitale…».
Siete praticamente cresciuti insieme.
«Non vivo di folle oceaniche ma di relazioni nate nei club. Sono un musicista di nicchia. Sai, penso che la mia proposta musicale sia peculiare. Le persone che vengono ad ascoltarmi si ritrovano in questo tipo di musica, hanno fatto una scelta, è un riconoscersi».
La bossanova, lo choro e il jazz, le tue grandi passioni, sono molto simili, lo choro è un antesignano del jazz, e comunque è sempre musica di matrice popolare…
«La distanza tra jazz e musica brasiliana è stata annullata quando João Gilberto e Stan Getz si sono trovati, le loro musiche si sono contaminate. In entrambi i casi c’è il gusto dell’improvvisazione portato all’estremo, della collaborazione».
Sei andato spesse volte in Brasile, immagino.
«Veramente non ci ho mai messo piede! Le mie collaborazioni con musicisti brasiliani le ho fatte tutte qui in Italia. È da un po’ che ci sto pensando, ma devo decidermi ad andarci!».
Che cosa ti attrae della loro musica?
«Questa perenne volontà di essere globale e locale allo stesso tempo. Questo è il fondamento del jazz. Il Pop si autocelebra e basta, mentre la musica popolare cerca continuamente lo scambio».
Ne sai qualcosa, visto che anche la musica napoletana è così.
«Esatto, Napoli è una città di porto, città di dominazioni, città che ha assorbito ed elaborato molto e per questo, a differenza dei brasiliani, noi napoletani ci sentiamo una comunità a sé stante. Il concetto di viaggio è fisiologico, l’essere terra di approdi e di ripartenza incoraggia il mash-up».
La contaminazione per un artista è importante!
«I flussi migratori hanno aiutato molto a unire musicalmente. Prendi il Brasile, le migrazioni italiane hanno inevitabilmente avvicinato i due Paesi. Da napoletano penso al comune senso della melodia che ci unisce».
Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
«Presto, a 13, 14 anni. Mi piace molto scrivere. Sono iscritto alla Siae da quando avevo 16 anni».
Trent’anni dopo sono cambiate le tue aspettative? Quando hai iniziato come ti vedevi?
«A parte i sogni sfrenati da ragazzino di riempire gli stadi, tipo San Siro, quando sono entrato in atmosfera di ragionevolezza ho sempre pensato a un percorso alla Gianmaria Testa, cantautore che rispetto e ammiro, di grande rigore musicale e professionale. Essere così mi fa sentire bene».
Come vivi il tuo essere musicista e artista?
«Tranquillamente. So che non voglio sacrificare la mia vita privata sull’altare del successo. Ci vuole il giusto equilibrio per rimanere ancorato a una versione integralista del mio lavoro, non mi preoccupo di dover alimentare un mercato con cui non mi sento di dover fare i conti».
Joe, ma sei così rigoroso anche nella tua vita privata?
«Vorrei esserlo, me lo chiedo sempre, ma non ho lo specchio della musica».