Rock, mostri sacri e il tempo che passa

La notizia l’ho letta ieri sera su Rolling Stone America: Rod Stewart, Kenney Jones e Ron Wood incideranno ancora come Faces, band che nacque nel 1969 e che vide, nel corso degli anni, anche la partecipazione di Mick Hucknall, il rosso dei Simply Red. Qualcuno ricorderà di sicuro l’album e l’omonima canzone Ooh La La del 1973. In quest’occasione Ron Wood ha annunciato anche nuove uscite con i Rolling Stones: con Jagger sta lavorando a tracce inedite per il quarantesimo dell’album Tattoo You che uscirà prossimamente in un cofanetto celebrativo.

Sempre sulla home del sito del magazine americano questa mattina si parla del concerto in streaming di Bob Dylan di domenica scorsa, Shadow Kingdom. Primo show del menestrello ottantenne via etere, fatto che ha destato non pochi dubbi se sia stato davvero stato suonato dal vivo o in playback, sui brani, molti di questi, riproposti dall’artista dopo anni che non li eseguiva più dal vivo ad esempio, What Was It You Wanted?, suonato l’ultima volta nel 1995, e anche sul perché non si sia esibito con la sua classica band e non abbia messo in scaletta alcun brano tratto da Rough and Rowdy Way, suo ultimo lavoro.

Stiamo parlando, come avrete capito, di mostri sacri, del Rock, tutta gente che ormai ha superato i settanta. Gente che continua a fare musica e a prendersi, giustamente, le copertine e le prime pagine dei giornali.

Ciò impone una riflessione, una domanda che ha del misterioso e del cabalistico, che riaffiora di tanto in tanto, quando le “vecchie glorie” ancora in arnese salgono di nuovo sul palco o si chiudono in sala d’incisione: ma il Rock resisterà ed esisterà fino a quando suoneranno i vari  Rolling Stones, Deep Purple, Queen (a tratti), Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones, Ozzy Osbourne e via elencando?

È una annosa questione questa, che ritorna ciclicamente: il Rock, quel grande Rock, finirà con chi lo ha suonato? Neil Young cantava Rock and Roll can never die… non può finire, eppure… Vabbè, discorsi estivi, chiacchiere da fare sotto l’ombrellone o mentre ti arrampichi su per qualche sentiero in montagna. Io che ho avuto la fortuna di vivere quel grande rock continuo ad ascoltarlo con lo stesso gusto e passione di quando l’ho messo in cuffia la prima volta. Gli artisti di cui sopra sono diventati dei “classici”, siamo abituati ad averli con noi, come se il tempo non passasse mai. Esistono perché “immortali”.

Quel Rock è destinato ad andarsene con loro. Sotto il cappello Rock continuiamo ad aggiungere nuovi artisti e nuovi gruppi. Ma non si tratta di “quel rock”, non lo sarà mai. È un’altra musica, certo nata da quelle radici, interessante ma diversa. E per fortuna, visto che la musica evolve con gli impulsi sociali, la vita che cambia, il mondo che viviamo e quello che stiamo progettando. I vecchi leoni ruggiscono ancora. Approfittiamone!

Buoni ascolti a tutti…

Ingannare la quarantena/ I lavori delle rockstar

Non mi faccio vivo da alcuni giorni. Chiedo venia. Ahimè sono caduto anch’io nella rete della febbre. Non so se sia “il maledetto” o qualche altra forma virale più banale. So che respiro bene ma la febbre mi arriva improvvisa e poi come arriva se ne va… In quest’altalena non proprio salubre mi hanno fatto visita un po’ di idee per aiutarvi ad alleggerire la quarantena. Come Francesco (Guccini) nella sua Opera Buffa, vale la pena che la riscoltiate perché è sempre fantastica, me ne stavo disteso nel mio candido lettino a riflettere quando ho sentito una voce (la febbre gioca brutti scherzi)… Non mi è apparso nessuno, premetto, ma mi è venuto in mente Ozzy Osbourne e con lui  le battute che stanno circolando a questo proposito sul coronavirus e la proverbiale resistenza a qualsiasi forma patogena dell’ex Black Sabbath. Così, sempre nell’ottica di passare alcuni minuti sereni, oggi vi voglio divertire con un breve post. Vi siete mai domandati che mestiere facessero le rockstar prima di diventare… rockstar? Cosa faceva Ozzy?

Tra le star della musica c’è di tutto. Il parterre è ampio, nella storia della musica, prima di sfondare e diventare famosi i nostri eroi hanno dovuto stringere la cinghia e adattarsi a fare i lavori più umili. Con qualche eccezione: Il maestro Vinicius De Morães per esempio cantava, componeva, scriveva versi, poesie, e romanzi per passione ma la sua vera attività era quella diplomatica. Qui con Toquinho in Canto de Ossanha. Dall’altra parte dell’Oceano, in Scozia, Rod Stewart, anni più tardi, era una promettente stella del calcio dei Celtic (ancora oggi a 75 anni il terribile Rod the Mod fa parte di un team seniores). Vale la pena riascoltarlo nella splendida  You’re in My Heart (The Final Acclaim). Insomma, personcine a modo, come si diceva un tempo, forse un po’ troppo “agitate”, ma a modo, anche se si favoleggia che Rod abbia lavorato per un certo periodo in un camposanto come becchino…

Dunque, vediamone alcuni. E iniziamo proprio da zio Ozzy, il quale non ha mai fatto mistero di aver lavorato anche in un macello: era l’addetto a svuotare gli stomaci degli animali macellati e lui, come ha più volte ricordato, continuava a vomitare, come dargli torto. Non so se gli sia venuto in mente di azzannare il naso di una mucca, non credo… intanto ascoltiamolo in Under The Graveyard. Ma anche Johnatan Davis 49enne leader dei Korn, non aveva scelto una professione facile. Lui proprio ha studiato e s’è laureato in tecniche di imbalsamazione. Ha lavorato per alcuni anni nel settore, è stato pure assistente del dipartimento del coroner della contea di Kern in California. Fino a quando non ce l’ha fatta più e si è ammalato di Distrubo da Stress Post Traumatico. Ascoltiamo i Korn in You’ll Never Find Me, dall’album The Nothing del 2019.

Anche il frontman dei Clash il grande Joe Strummer, ha avuto un passato da “gravedigger”, insomma, becchino, al St. Woolos Cemetery di Newport, Galles per pagarsi gli studi artistici. Ecco la mitica band in Rock In The Casbah. E chi l’avrebbe mai detto che il settantenne Gene Simmons la lingua più lunga del rock, avesse insegnato in un college e fosse stato anche aiuto editor di Vogue? Qui in God Of Thunder  dall’album Destroyer uno dei grandi classici della band. E chiudiamo con la settantatreenne poetessa del rock, Patti Smith. Da ragazza ha lavorato in un’azienda di giocattoli e lei ricorderà quell’esperienza come una delle più brutte della sua vita per come la giovane Patti fu martirizzata dai suoi colleghi. Qui in Redondo Beach, dal mitico album Horses del 1975.