C’era da aspettarselo: gli 80 anni di vita di Bob Dylan, o meglio, di Robert Allen Zimmerman, che cadono proprio oggi, il 24 maggio, fanno discutere e non poco.
Se vi fate un giro nella grande rete, vedrete come, dagli Stati Uniti all’Australia, dalla Gran Bretagna all’Italia, fino al Sudafrica e al Brasile giornali, siti, radio e televisioni hanno iniziato da giorni a ricordare questa data. Lo fanno in modo celebrativo, reverenziale, con i migliori successi di Bob, le cose che non sapevate di Bob, il significato religioso di Bob, le crisi esistenziali di Bob. Alcuni – pochi a dire il vero – se ne escono con un Dylan sopravvalutato, altri puntano sul significato letterario della sua notevole produzione.
Tutto lecito, ovviamente, Bob Dylan è Bob Dylan. La sua inconfondibile voce nasale ha scandito generazioni di ascolti. Può piacere o meno ma sta di fatto che tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo imbattuti in una sua canzone.
Dal secondo semestre del 2016, nello stesso anno in cui l’artista è stato insignito del Nobel per la Letteratura, l’Università di Tulsa in Oklahoma ha avviato un corso di laurea in lingua inglese con lezioni mirate su Bob Dylan, sui testi delle sue canzoni. L’università ha ereditato anche un grande archivio sul musicista che diventerà, il prossimo anno, un museo. Il 21 aprile scorso è apparso in libreria The World of Bob Dylan, curato da Sean Latham, il professore che dirige il corso a Tulsa, e pubblicato dall’università di Cambridge: si tratta di una raccolta di 28 saggi di docenti della più diversa estrazione, esperti di filologia, musica, arte, storia, libro che è andato bruciato in due settimane.
Ciò che nessuno può obiettare, osservando i tanti periodi dylaniani e predylaniani, è che l’artista e l’uomo si sono sempre messi in gioco. I cambiamenti, le trasformazioni nella vita di Dylan sono stati tanti, da quelli spirituali a quelli musicali. Di fatto, che piaccia o meno, il menestrello del Minnesota ha perfezionato un genere di musica “Americana” che ha fatto scuola e indirizzato centinaia di musicisti o aspiranti tali.
Molti suoi brani sono stati reinterpretati, moltiplicandone la fama e il successo, altrettanti artisti, a partire dai Beatles (Macca ha dichiarato che fosse stato proprio Bob ha i iniziare i Fab Four all’uso di marijuana) a Bono degli U2, a Bruce Springsteen, lo considerano un faro. Dylan assieme a George Harrison, Tom Petty, Jeff Lynne, Roy Orbison, negli anni Ottanta ha dato vita a uno dei primi supergruppi, i The Traveling Wilburys, dove ognuno dei componenti aveva lasciato il proprio ego e nome per assumerne un altro. Lui era diventato Lucky Wilbury.
Ottant’anni sono un grande traguardo, fa notare Mark Bannerman dell’australiana ABC News. E come dargli torto. Un musicista che ha venduto oltre 120milioni di dischi, che ha una parallela e fortunata vita di pittore e scultore, che ha ceduto i diritti delle sue canzoni, 600 brani, alla casa discografica Universal per 300 milioni di dollari, cosa può volere di più? E qui sta la forza dell’uomo. Con gli 80 non si chiude una fase della vita ma se ne apre un’altra. Chissà cosa tirerà fuori ancora, ma statene certi, che lo farà.
Delle più vite in cui si è reincarnato Robert Zimmerman, quella di Bob Dylan è la più longeva. Zimmerman lo ha alimentato e lo alimenta ancora. Dylan è un personaggio che s’è creato agli inizi dei Sessanta, Zimmerman è diventato legalmente Dylan, ed è quello che gli ha dato più soddisfazioni. Sa benissimo – e anche noi ne siamo consapevoli – però, che Bob Dylan a un certo punto finirà quando se ne andrà Robert Zimmerman (con tutti i debiti scongiuri e un augurio di lunga vita!).
Considerazioni che inevitabilmente si legano all’ultimo disco che l’artista ha pubblicato lo scorso anno, Rough and Roudy Ways, con quella lunghissima e ipnotica – 16 minuti e 44 secondi – Murder Most Foul, rilettura della storia americana attraverso l’assassinio di John F. Kennedy, o con False Prophet: «I ain’t no false prophet/No, I’m nobody’s bride/Can’t remember, when I was born/And I forgot when I died…», o Crossing The Rubicon: «I cannot redeem the time/The time so idly spent/How much longer can it last?/How long can it go on?/I embrace my love, put down my hair/And I crossed the Rubicon…».
Considerazioni sulla vita, su ciò che si è – e non si è – diventati. Prendere o lasciare. Robert Allen Zimmerman/Bob Dylan è così. Ed è per questo che lo ascoltiamo ancora…