Treetops, nuova band, primo disco e tanta buona musica…

Inizio questa settimana con un’interessante novità. C’è acqua fresca sul pianeta della Musica! Una cascata di note pulsante e limpida. Scende a scrosci ed è un refrigerio tuffarsi. Una band nuova nuova al suo primo disco. Una band giovanissima, età media 22 anni. Una band che ha scelto di non fare musica alla solita maniera, tutti infilati in canoni estetici fabbricati per il gradimento di una platea uniformata (ripeto sempre: salvo rare eccezioni), ma facendo ricerca, ascoltando di tutto, aperta al mondo e alle melodie. 

Si chiamano Treetops, sono sette musicisti romani che frequentano ancora i conservatori e scuole di musica. Ve li presento in rigoroso ordine alfabetico: Anna Bielli (alla chitarra), Luca Libonati (alla batteria), Eric Stefan Miele (al sax soprano), Simone Ndiaye (al basso elettrico), Andrea Spiridigliozzi (alla chitarra elettrica), Marcello Tirelli (alle tastiere) e Daniel Ventura (al sax tenore).

Il loro album d’esordio è intitolato Demetra, pubblicato dalla Vagabundos Records e prodotto da Pino Pecorelli (cofondatore dell’Orchestra Piazza Vittorio). Potete ascoltarne un assaggio su Spotify. Divinità greca, secondo Esiodo, figlia di Crono e di Rea, sorella di Estia, Era, Zeus, Posidone e Ade. Una dea importante, da gotha dell’Olimpo: era la protettrice delle messi e, in senso più ampio della Natura. Ebbene, la creatività dei Treetops ha dato vita a una storia fantasy dove a raccontare sono le note: Demetra si risveglia  dopo millenni e trova un mondo cambiato, inquinato, decisamente poco vivibile. 

Il disco, composto da 11 brani per una durata di 47 minuti, concettualmente lo si può dividere in quattro parti: il risveglio della dea, lo sconforto davanti a un mondo massacrato dagli uomini, la presa di coscienza e la speranza proveniente dalla dea stessa, e cioè la Natura, di dare un’altra chance a questi abitanti sciamannati. La vicenda mitologico/sci-fi è raccontata con una intensità e una maturità molto concreta.

Finalmente, grazie ad Apollo!, è arrivato sugli scaffali digitali e presto lo sarà anche su quelli fisici, un lavoro di ampio respiro, interessante che ricorda la freschezza degli anni di sperimentazione, della fusion, della ricerca di una musica colta ma allo stesso tempo accessibile a tutti, che alza l’asticella della qualità musicale in questo Paese. Una band che molto probabilmente ha un destino oltre confine, boccone ghiotto per il Nord Europa e per gli Stati Uniti…

Prima di dare la parola ad Anna Bielli, 24 anni, la “portavoce”, come si definisce, dei Treetops (le cime degli alberi, perché solo da lassù puoi vedere com’è realmente il mondo), un’ultima annotazione musicale. Il livello dei singoli musicisti è notevole, come la capacità di creare, scrivere, arrangiare brani che non hanno nulla da invidiare, per esempio agli Snarky Puppy, uno dei miti di questi giovani artisti, capaci di praterie sonore alla Bob James, di colore alla Pino Daniele, e di costruzioni sonore alla Weather Report. 

Anna, raccontami, di voi so poco o nulla…
«Siamo tutti romani. Io e Marcello, il tastierista, frequentiamo il Saint Louis College of Music. Ci siamo conosciuti lì, suonavamo insieme in un laboratorio musicale. Abbiamo scoperto che avevamo gusti simili e abbiamo legato. nel frattempo io avevo dato vita a una  band che si è sciolta subito. Ho convinto Marcello a formare una band. Lui è un genio, davvero imbarazzante da quanto è bravo! Cercavo un gruppo che fosse affiatato, che avesse delle affinità…, che volesse suonare sull’onda degli Snarky Puppy, della fusion e del jazz. Così sono nati i Treetops».

Ho capito: sei l’anima del gruppo…
«No no. Sono solo la portavoce. Sono stata quella che ha messo insieme tutti».

Da ragazzina cosa ascoltavi, jazz?
«Ma no! Ero una rockettara… poi mi è capitato sotto mano un disco degli Snarky Puppy che mi hanno folgorata! Per “colpa” loro ho deviato verso il jazz rock…».

Quindi, tornando alla band…
«Marcello suona anche nella Piccola Orchestra di Tor Pignattara, con lui ci sono anche Luca Libonati, il batterista, e Simone Ndiaje, il bassista. Questo è il nucleo base. La mia idea iniziale non era, però, una band a formazione standard, ma una piccola orchestra con fiati, percussioni. A Roma è difficile trovare tutti ‘sti musicisti, che, per di più, volevamo della nostra età. Un musicista più “vecchio”, avrebbe potuto rompere gli schemi, diventare un catalizzatore. Mi sono messa a cercare mettendo annunci sui social. Un secondo dopo la pubblicazione ha risposto Andrea Spiridigliozzi. Sempre sui social circolavano i nomi di due giovani sassofonisti. Eric Steffan Miele lo conosceva Luca e Daniel Ventura è arrivato via social. Sette è un numero giusto per riuscire a muoverci senza troppe spese…».

Così siete partiti con le prove…
«Apri un capitolo importante: le prove sono un impegno inderogabile, come andare al lavoro o a scuola. Abbiamo iniziato a suonare nel febbraio del 2017. Il nostro giorno consacrato alle prove è la domenica, giornata libera per tutti…».

Come avete deciso il genere musicale?
«Con due fiati nella formazione era scontato che si andasse sulla fusion. All’inizio componevamo brani che erano quasi prog, davvero sconclusionati. Per il disco zero ci ha dato una mano Pino Pecorelli. Con lui abbiamo stretto un legame forte durante il lockdown. È un grande!».

Perché vi siete chiamati Treetops?
«Sono sempre stata una fissata per la Natura. Mi piacciono gli alberi, li abbraccio spesso. Li sento come noi, ci sono molti parallelismi tra uomo e albero. Come noi, sono di varie “razze”, vivono generalmente in comunità, sono convinta che possano provare dei sentimenti. Ci sono alberi più “cattivi”, come le betulle che spingono, arrivano a farsi la guerra, per farsi strada verso il sole e ci sono alberi pacifici che si organizzano in comunità per vivere. E poi, gli alberi tendono tutti verso l’alto, la luce. Mi piace pensare che anche noi umani dovremmo puntare in alto, vedere la nostra luce».

Come sei/siete diventati musicisti?
«Penso che, di base, fin da piccoli avevamo questa propensione. Siamo tutti cresciuti tra gli strumenti musicali, quindi è stato naturale continuare a studiare musica, chi al Conservatorio e chi, come me e Marcello al Saint Louis. Ascoltiamo tanto, non ci mettiamo paletti, classica, jazz, rock, elettronica, sperimentale, funk, punk, anche rap e trap».

Perché avete deciso di dedicarvi alla musica strumentale?
«Il non avere una voce è stata una scelta ben precisa. La musica strumentale permette all’ascoltatore di fantasticare, immaginare senza essere influenzato da un testo. Ciascuno decide come “sentire” quel brano. Nella musica pop e cantautorale la gente si rivede in quello che l’artista canta, in quella strumentale, invece, ci puoi vedere molte cose. È il fascino dell’immaginazione. E poi perché, a livello tecnico, suonare una chitarra o una batteria è più semplice, la voce, invece, è uno strumento chiuso dentro di te. Ora la pensiamo così. Poi vedremo, magari potremo cambiare idea».

Torniamo ai Treetops: posso chiamarti frontwoman della band?
«No, non facciamo musica solipsistica. Io mi vedo come… una guida. Siamo tutti protagonisti allo stesso modo, non c’è una “voce” che vada più alta di un altro, nessuno prevarica. È questa la nostra forza, non c’è egocentrismo. Anche sul palco abbiamo cercato di sistemarci in modo che, visivamente, risultino tutti ugualmente visibili».

Veniamo alla cover: molto bella l’immagine di Demetra che racchiude in sé tuta la purezza della Natura e gli errori dell’uomo in nome della modernità e della tecnologia…
«È stata disegnata da Marco Brancato, lo stesso giovane illustratore che ci aveva creato il logo della band. Rispecchia esattamente quello che volevamo dire. A Marco abbiamo inviato i brani e lui, dopo averli ascoltati, ha realizzato quest’immagine incredibile! Sulla storia di Demetra ci siamo fatti un trip gigantesco. Abbiamo talmente fantasticato che alla fine, grazie a Marco, Demetra è diventata reale. La dea che si sveglia dal letargo, che vede gli scempi compiuti dall’uomo e che decide di ritornare in letargo per lasciare all’uomo, ancora una volta, la speranza e il potere di cambiare le cose. Il finale è aperto…».

Quali sono le vostre aspettative sul disco?
«Lo apprezziamo molto, è un nostro figlio abbiamo impiegato ore e ore per crearlo, un duro lavoro, ci abbiamo messo l’anima. Certo che abbiamo aspettative, speriamo che possa colpire, coinvolgere. Ora puntiamo sui live, è qui che ci esprimiamo al meglio, perché ci ritagliamo un pizzico di libertà. Suoniamo dal vivo veramente, non abbiamo musica campionata. Solo così, sul palco possiamo mostrare tutti i colori della nostra tavolozza».