Oggi, primo giorno d’estate, dovremmo essere tutti felici, giù per le strade a celebrare la Festa della Musica. Da quando è nata in Francia, nel 1982, legata al solstizio d’estate, sotto l’egida di Jack Lang, allora Ministro della Cultura, nel corso degli anni s’è diffusa in tutto il mondo. Nell’intento degli organizzatori c’è l’idea di sempre: portare la musica, qualunque essa sia, gratuitamente per le strade, per regalare e condividere le gioie del pentagramma.
Dove c’è musica, c’è vita, ci sono emozioni. E fino a qui ci siamo. E non sarò certo io a rovinare nel mio piccolo questo bell’appuntamento. Anche perché quest’anno la Fête de la Musique ha un’altra valenza, è una sorta di 25 aprile, una liberazione da un inverno/primavera d’oppressione, duro da dimenticare. Le abbiamo vissute tutte, i flash mob, gli applausi (meritati) ai medici e infermieri, le session di musica e canto dai balconi, piccoli palchi monouso, gli streaming di artisti più o meno famosi. Ora che proprio liberi non siamo, visto che l’invisibile tiranno ancora incombe anche se con molta meno furia, avere a disposizione una giornata dove divertirsi è un imperativo assoluto.
Paolo Fresu stasera dalle 20 sarà in diretta streaming dal sito della Festa della Musica e su quello della Rappresentanza Italiana della Commissione europea dal parco Valle dei Templi di Agrigento per una notte di festa e di ricordo, in onore di Ezio Bosso, dal titolo Altissima Luce – Laudario da Cortona, concerto jazz con incursioni classiche insieme con il bandeonista Daniele Bonaventura. Con loro, il contrabbassista Marco Bardoscia, il batterista Michele Rabbia e l’Orchestra da Camera di Perugia. Il mitico trombettista dice parole sante: «In un periodo in cui eravamo tutti confinati nelle nostre case per via di un nemico invisibile, la musica ci ha permesso di affacciarci alla finestra e di sentirci per un po’ liberati. Oggi più che mai la musica è di tutti. La musica dovrebbe essere nelle nostre case, nei nostri cuori, nelle nostre vite. Tutti i giorni. Tutti dovrebbero essere in grado di leggere una partitura perché la musica è condivisione, è capacità di tendere la mano verso il prossimo».
Sarà l’ultimo disco in cuffia – Rough and Rowdy Ways, di Bob Dylan uscito un paio di giorni fa – con le sue ballate blues intrise di ricordi ed emozioni, sarà che non ho ancora digerito questo 2020 bisestile (pizzico necessario di superstizione), ma io vorrei che questa giornata di gioia, canto e note si trasformasse anche in un impegno: festeggiamola pure la musica ma senza dimenticarci di chi la musica la fa e con la musica ci vive.
Mi sono preso a cuore una piccola, grande battaglia. Grazie a questa, ho conosciuto persone splendide, tutte maestranze dello spettacolo. Figure necessarie per diffondere la musica, dalla festa di paese al mega concerto nello stadio San Siro, per intenderci. Per mesi non hanno visto un euro, tutti “tengono” famiglia. Invece di aspettare passivamente gli eventi stanno lavorando per loro stessi, cercando di far conoscere l’altra faccia dello spettacolo, quella invisibile ai più, ma preziosa tanto quanto il frontman idolatrato che suona davanti a migliaia di spettatori.
Lo spettacolo deve continuare, e continuerà. Il problema sarà: come? Come si entrerà in un teatro o in un’arena al di là delle disposizioni dei decreti governativi, come verranno fatti i contratti per turnisti, star, fonici di palco, fonici di sala, addetti alle luci, mediaserver, scaff, rigger… e l’elenco è ancora lungo. Rolling Stone, edizione americana, un paio di giorni fa ha sganciato una piccola bomba: in poche parole, Live Nation, la più grossa azienda organizzatrice di eventi dal vivo in Usa, complice la pandemia e la crisi economica conseguente, vorrebbe trasferire il rischio d’impresa sugli artisti. Qualche esempio? Se un concerto viene cancellato per la scarsa vendita di biglietti, l’azienda rifonderà gli artisti, a titolo di garanzia, il 25% del cachet concordato (invece del 100 per cento che i promotori sono tenuti a pagare). E ancora: se un artista annulla un’esibizione in violazione dell’accordo, questi dovrà rifondere il promotore con una somma pari al doppio del suo compenso, penalità, come ha fatto notare la rivista musicale Billboard, senza precedenti nel settore della musica dal vivo. Così potremo dire addio a una bella fetta di concerti e, tornando alle maestranze dello spettacolo, assisteremo a una falciata trasversale…
Sarà il caso che tutti, dalle rockstar che protestano con l’hashtag #iolavoroconlamusica, ai tecnici che chiedono solidarietà e lavoro, agli organizzatori che cercano in tutti i modi – e come negarlo! – di fare profitto, si uniscano per pensare a un imminente futuro di rilancio della musica in tutti i suoi aspetti. Se quel giorno arriverà avremo una speranza. E anche una ricorrenza da celebrare: un evviva alla festa della musica…