In nemmeno un mese sono usciti tre album blues che hanno catturato la mia attenzione. Un bel modo per dire che ce li ho praticamente sempre in cuffia! Soprattutto uno, il primo, firmato da Oliver Wood: capirete il perché una volta ascoltato. Prevale il roots, la musica densa di pathos. Poi c’è un gradito ritorno, quello dei The Black Keys, fulminati sulla via del Delta. Infine un disco giocoso dove, oltre al blues nelle sue varie forme c’è anche una buona dose di Rock punteggiato da rockabilly, hard rock, surfy, firmato da Billy F. Gibbons, chitarra e voce dei mitici ZZ Top…
1 – Always Smilin’ – Oliver Wood
Come successo anche per Gibbons, Woods, bloccato dal Covid con la sua band i The Wood Brothers, s’è chiuso in casa e ha tirato fuori brani che aveva riscritto o rielaborato nel tempo, dandogli forma e sostanza per un album, divertendosi a suonare con i suoi amici. Potrei definirlo un lavoro solare, grazie anche all’intervento di musicisti del calibro del tastierista Phil Madeira, delle voci di Susan Tedeschi e Freda McCrary, di John Medeski all’Hammond, del polistrumentista Phil Cook. Il titolo del disco, Always Smilin’, Wood lo ha ricavato dal primo verso della prima canzone, Kindness: I know a man and he’s always smilin’… Tra i brani che ascolto di più, oltre al lento tutto chitarre slide Came from Nothing, c’è The Battle is Over (But the War Goes On), con un’armonica a bocca che ricama sopra un basso essenziale, una chitarra sincopata, batteria e voci. Wood ha cercato di mantenere l’essenza di quello che era il brano originale, una canzone di protesta uscita nel 1973 composta dal formidabile duo Sonny Terry & Brownie McGhee. E così si snocciola una narrazione che passa dalla spensierata Face of Reason a Soul of This Town, tipico sound di New Orleans, al gospel-blues Climbing High Mountains (Tryin’ to Get Home) – c’è una versione soul-gospel strepitosa di Aretha Franklin – con una chitarra elettrica che scandisce il gospel, diciamo una versione “laica” rispetto a quella di Aretha… Proprio un bel gran disco!
2 – Delta Kream – The Black Keys
Un omaggio alla musica che amano e dalla quale provengono. Dan Auerbach e Patrick Carney, i The Black Keys, hanno deciso di rivedere pezzi storici del Blues, brani di mostri sacri del genere, come il sommo R. L. Burnside (a proposito, il 25 giugno uscirà un disco che si preannuncia molto interessante del nipote del bluesman, Cedric Burnside, I Be Trying, ci ritorneremo…), di Junior Kimbrough o di Fred “Mississippi” McDowell, trasformandole in brani con chiare tendenze rock. Il risultato è un disco da ascoltare, non certo un capolavoro, ma un onesto omaggio ai loro autori e brani preferiti, impreziosito dalla chitarra slide (onnipresente) di Kenny Brown e dal basso di Eric Deaton. Molti si sono domandati se fare un disco con brani capisaldi del Blues non fosse un po’ troppo pretenzioso, visto che, ad esempio, per Poor Boy a Long Way From Home di Burnside, ci sono versioni strepitose, una per tutte quella di Howlin’ Wolf, come ha fatto notare Rolling Stone Usa. I due – diventati per l’occasione quattro – ci sanno fare. È il loro punto di vista, la loro interpretazione, il loro omaggio. Ed è per questo che vanno presi e ascoltati. Anche perché, ripeto, il lavoro “di fino” che fa Kenny Brown merita da solo l’acquisto dell’album: basti ascoltare Going Down South: il chitarrista con bottleneck all’anulare viaggia in perfetta sintonia con la voce sottile di Dan Auerbach. Musica da strada, sotto il sole, dovunque voi siate…
3 – Hardware – Billy F Gibbons
E andiamo al gran finale per un disco uscito il 4 giugno. Billy F Gibbons, frontman, chitarra e voce dei ZZ Top, nell’anno del Covid, privo delle tournée con i suoi sodali, s’è dedicato alla composizione di un disco che rasenta il blues, ma che sviluppa tutto il rock possibile, quello a cui il chitarrista con doppio cappello è abituato a fare con gli ZZ Top. Molti si son chiesti del perché Gibbons non abbia coinvolto il resto della band, visto che è un disco tagliato per gli ZZ Top. Dopo un percorso solista che negli ultimi anni lo ha visto pubblicare altri due album, Perfectamundo (2015) con un “indirizzo” latino e The Big Bad Blues (2018) tutto girato sulle blue note, con Hardware, ha voluto continuare le sue escursioni musicali. Assieme al batterista, Matt Sorum, e al chitarrista e bassista Austin Hanks, ha deciso di giocare sporco, nella miglior accezione. Un rock ruvido, distorto, urlato con la sua voce roca. Brani ripetitivi, potreste osservare. Lo condivido. Però l’anima e la forza che Mr. Gibbons ci ha messo equivale a una ricarica veloce di un powerbank per chi si sente privo di energia. Via, dunque, con My Lucky Card, per proseguire con un’accelerata She’s On Fire. Un crescendo di bassi martellanti, tamburi accelerati e assoli ringhiosi, fino a Stackin’ Bones, quest’ultima con il contributo delle sorelle blues Rebecca e Megan Lovell dei Larkin Poe, e S-G-L-M-B-B-R (coerente!)… Energia pura, nessun volo pindarico, ma passate le 70 primavere il buon Billy, oltre a collezionare vecchie auto che customizza, si può permettere questo e altro!