Conoscete i Luf? Sono un collettivo Combat Folk che da 25 anni fa ballare e riflettere. Il Folk è un’altra delle mie passioni musicali, ne parlo spesso su Musicabile. Anche perché il genere si presta ad armonizzarsi e contaminarsi con molti altri generi musicali. Il Blues e il Rock negli anni hanno attinto a piene mani, così come il Pop.
In dialetto camuno i Luf sono i lupi, i re delle foreste e delle montagne, un animale straordinario resistente, intelligente, estremamente furbo. Alla stregua dei lupi che sfidano gli inverni e gli stenti, la band in un quarto di secolo si è fatta conoscere attraverso i tanti dischi che ha pubblicato con la propria etichetta indipendente, Per spartito preso, e soprattutto gli oltre 1500 concerti tenuti in Italia e in Europa, dove hanno portato la forza espressiva del ballo unito alla qualità della scrittura dei testi, mai banali, dedicati all’attualità, alle difficoltà e ai problemi della vita.
La band ha pubblicato un disco, Jüsto25, il titolo è la sintesi di Üsto in camuno “appena”, che con l’aggiunta della “J” diventa Just, appena in inglese. Racchiude 16 brani storici scelti dalla loro estesa produzione più uno, quello che apre il disco, Sotto la neve il fuoco, scritto apposta per questa celebrazione, dedicato alla donna come figura/perno della società, m per un’ora e due minuti di ascolto.
Il motore e fondatore della band è Dario Canossi, classe 1959, cantautore, insegnante, uomo impegnato nell’associazionismo, assessore e quindi vicesindaco per due mandati di un paese della Brianza, nato a Lozio, comune di poco più di 300 abitanti in val Canonica, dove ha vissuto fino all’adolescenza. «Ci sono ricorrenze che ti obbligano a fare il riassunto delle puntate precedenti. Con questo disco ho voluto evidenziare tutti gli spigoli della costruzione musicale dei Luf in questi 25 anni. Mi sono divertito ad andare oltre, verso un altro altrove, arrampicarmi e divertirmi su sentieri mai percorsi. Da qui la scelta di rivestire i brani con abiti e colori musicali diversi. Collaborare con musicisti africani, con dj o portare al minimo l’arrangiamento folk mi ha dato allegria e felicità. In fondo quando le primavere cominciano a essere tante una bella estate spensierata è quello che ci vuole», leggo dal comunicato stampa.
Ho chiamato Dario e ci siamo fatti una lunga chiacchierata, di quelle che di solito si fanno con due bicchieri e un fiasco di vino nel mezzo, tra ricordi, storie, bilanci e amare constatazioni su questo mondo sempre più follemente lanciato verso la distruzione. Dario il Lupo ritorna alla montagna, dove è nato, seguendo una vecchia canzone che ha scritto alcuni anni fa, Phiní, vestita con un nuovo arrangiamento, e acquistando un cascinale che sta ristrutturando proprio a Lozio. «Mio padre lavorava nella cava di marmo velato, sono figlio di un minatore e scalpellino», dice orgoglioso.
Riflettevo su un disco che avete pubblicato nel 2016, Delalter, dedicato ai migranti. Sono nove anni e non è cambiato nulla…
«Hai perfettamente ragione. Se poi fai conto che avevamo scritto Ballata per Vik (pubblicata nell’album Mat e Famat, 2013, qui rivisitata in Jüsto25, ndr) brano dedicato a Vittorio “Vik” Arrigoni, l’attivista e giornalista brianzolo ucciso a Gaza nell’aprile del 2011, scritto con sua mamma, ti rendi conto che non è proprio cambiato niente».
Dall’album Delalter sono stati scelti più pezzi da inserire nel disco celebrativo…
«È un lavoro a cui abbiamo tenuto molto e infatti ne abbiamo fatto anche una doppia versione, una acustica e un’altra full band. C’erano alcuni brani a cui tenevamo parecchio, in particolare quelli fatti con dei musicisti del Malawi ci sembra va giusto racchiuderli in questo scrigno».
A proposito, come li hai ingaggiati i ragazzi del Malawi?
«Come si suol dire, il mondo è piccolo: in quel disco era contenuto un brano, l’Ave Maria Migrante, una preghiera laica. Questi ragazzi musicisti del Malawi fanno parte di un gruppo che si chiama Alleluja Band, collettivo che viene tutti gli anni in Italia – ora sono qui – per tenere una serie di concerti. In tre mesi fanno una cinquantina di date e il ricavato va a una missione tenuta da padre Mario, un prete bergamasco piuttosto strano! Quando hanno dei day out spesso vengono su a Lozio, ospiti della Casa degli amici della natura. Lì ho conosciuto padre Mario e gli ho regalato il disco: quando ha sentito l’Ave Maria, è impazzito. Doveva celebrare il cinquantesimo di messa, una roba di quel tipo lì, e ha voluto un centinaio di dischi che poi ha regalato a tutti quelli che sono andati alla sua celebrazione. Ha voluto addirittura che la cantassi in chiesa. Gli ho detto: “Guarda che dopo ti vien giù tutto!”. I ragazzi sono nostri fans, ci avevano visti suonare più volte, il loro sogno era diventare come i Luf! Così l’anno scorso, quando sono stati qui, ho detto a Kos, il loro capo, che mi sarebbe piaciuto averli nel disco. Detto fatto, ci ha riarrangiato sei brani, di questi ne abbiamo pubblicati cinque. Avevo voglia di dare un vestito completamente diverso ai nostri lavori, fare una cosa un po’ strana anche perché siamo un gruppo folk dialettale, Combat Folk, chiamalo come vuoi tu, non avevamo mai fatto cose del genere».

Il collettivo de I Luf al completo: Dario Canossi, Sergio“Jeio” Pontoriero (banjo, mandolino, chitarra, basso, batteria e voce), Pier Zuin (cornamusa e fiati popolari), Ranieri ”Ragno” Fumagalli (baghet e fiati popolari), Lorenzo “Puffo” Marra (fisarmonica e voce), Mattia Ducoli (fisarmonica e voce), Alberto “Albino” Freddi (violino, mandolino e voce), Milo Molteni (violino e voce), Fabio Biale (violino, mandolino e voce), Cesare Comito (chitarra e voce), Alberto “Albi” Boffelli (contrabbasso), Alessandro Rigamonti (basso e contrabbasso), Alessandro Conti (basso e contrabbasso), Andrea Cattaneo (batteria)
Ho visto che avete inserito in Jüsto25 la cover di Camminando e cantando (dal’album Dealter), portata in Italia da Sergio Endrigo nel 1968, brano composto dal brasiliano Geraldo Vandré, sotto la dittatura militare… Seguite un percorso folk alla Pogues…
«Il riferimento è corretto. I Louf nascono dalla mia esigenza di unire un po’ di elementi: da un lato il folk – prima facevo rock d’autore, musica cantautorale; ho iniziato nei Settanta e quest’anno oltre a essere il venticinquesimo dei Luf, è anche il mio cinquantesimo di musica – dall’altro, l’impegno sociale. Sono sempre stato una persona impegnata nell’associazionismo, e dunque è stato naturale mettere tutto questo “materiale” nelle canzoni. Abbiamo scritto canzoni per Libera composto un brano per Peppino Impastato, quindi quello già citato assieme alla mamma di Vik Arrigoni… E ancora, un paio di brani sull’acqua ai tempi del referendum, un disco intero dedicato al problema delle migrazioni …. È sempre stato un mischiare le cose. Il nostro motto è colpire alle gambe passando dal cervello e dal cuore, quindi la gente viene, balla, ma si porta a casa anche dei contenuti. Questa è la mia cifra stilistica nella scrittura. Sotto la neve il fuoco è un brano dedicato alla figura femminile, il ritornello dice “donna, vita e libertà” che è lo slogan delle donne iraniane. Alla fine non mi piace fare comizi, quando suono, suono, però sono felice se alla gente oltre alla musica arrivano anche messaggi di un certo tipo».
Sei stato anche vicesindaco…
«Quattro anni come semplice assessore, gli altri dieci li ho fatti come assessore e vicesindaco, a Monticello Brianza, un gran bel posto!».
Cos’è che ti lega così profondamente alla cultura camuna?
«I primi 15 anni della mia vita li ho passati a Lozio. Lì ho imparato a parlare, respirare, camminare. Mi è rimasta dentro la montagna. Mio fratello diceva sempre: “invecchiando la capra torna al monte”, e aveva ragione! Da qui il lavoro precedente, Pihiní – Tornando al Monte. Il mio è stato un percorso di ritorno, sette anni fa sono riuscito a comprarmi una baita a 1300 metri d’altezza e la sto rimettendo a posto, compreso un vecchio fienile, il nido della vecchiaia».
Hai un’altra grande passione, Francesco Guccini: voi Luf ci avete fatto anche un disco (i Luf cantano Guccini, 2012)…
«Diciamo che in Italia esistono due dischi di canzoni di Guccini, quello dei Luf e l’altro dei Nomadi che cantano Guccini».
Conosci bene il mitico Francesco?
«No, bene, no, non millantiamo credito! L’ho conosciuto, sono andato a non so quanti suoi concerti. Poi, però, per me era diventato un incubo, perché, avendolo ascoltato così tanto, le prime cose che scrivevo chi mi ascoltava mi diceva: “Però mica male, come Guccini funzioni bene!”. Per uno che cerca di essere originale non è il massimo dei complimenti. Ho tenuto più volte a scuola lezioni concerto su Guccini e su De Andrè, prima che De Andrè morisse, giusto precisarlo, visto che poi sono arrivati tutti gli avvoltoi. Quando finivo le lezioni molti mi dicevano: “Sai che è fantastico sentir cantare De Andrè con la voce di Guccini…». Peggio di così… Arrivato a un certo punto ho detto, vabbè come si suol dire se non lo puoi vincere compralo, allora ho deciso che gli andava fatto un tributo. Mi è piaciuto rifare i suoi brani con un arrangiamento diverso, dandogli una vitalità differente. Quel disco ci ha portato molto fortuna, adesso abbiamo il nostro percorso. Quello era un debito di riconoscenza che avevo verso di lui».
Il Folk in Italia è davvero così seguito?
«Ti parlo della mia esperienza: rispetto all’esposizione mediatica che questa musica ha, vanta un pubblico cento volte superiore. Fatto dieci l’investimento che i media fanno sul Folk, il risultato è mille, nel senso che se parliamo dei Modena City Ramblers in questo momento sono in giro con addirittura tre o quattro formazioni. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo un sacco di gente che ci segue, l’anno scorso abbiamo fatto 45 date, da dopolavoristi, chiaro? Mica lo facciamo di mestiere! Per cui il pubblico c’è. Purtroppo il Folk non è mai diventato mainstream, la discografia non ci ha mai creduto né investito».
Quanti sono i Luf?
«Essendo dei dopolavoristi in questi anni magari qualcuno ha lasciato il gruppo per fare un lavoro diverso, però ai Luf è sempre rimasto legato, per cui quest’anno siamo 12 o 13 che girano attorno al progetto. Quando facciamo i concerti siamo solitamente in otto e in formazione acustica in cinque».
Attualmente siete per concerti?
«Ne abbiamo già fatti parecchi in Valcamonica, in Valtellina, nel milanese. Ritorneremo in Francia, ad Orléans al Festival de Loire, a fine settembre, dove faremo due mega concerti. È un evento che si tiene ogni due anni e che fa girare 500mila persone, una cosa enorme! Siamo già stati altre volte e continuano a invitarci».
Cosa ascolti oltre al folk?
«Mi è sempre piaciuto scoprire cose nuove. Adesso sto sentendo questo cantautore bresciano, Alessandro Sipolo: è mostruosamente bravo, per me è il nuovo De André. Sono andato a vederlo una sera in un circolo Arci del bresciano, eravamo una quindicina di persone e vien naturale domandarsi perché ad ascoltare un artista così bravo c’era pochissima gente. Quel ragazzo ha tutto, una voce stupenda, dei brani meravigliosi, tiene il palco che non ti dico, è empatico da morire, però…».