
Da sinistra, Toni Boselli, batteria, Federica Cerizza, pianoforte, Giancarlo Oggionni, contrabbasso
Ho conosciuto Federica Cerizza e Toni Boselli un mesetto fa a casa di un amico comune appassionato di jazz, contrabbassista per passione. Ebbene, in questo suo “posto dei balocchi”, un piccolo santuario aperto ad amici e musicisti, ciascuno, oltre al proprio strumento, porta qualcosa da bere e da mangiare e, tra racconti, un buon bicchiere di vino e jam session si passa la domenica. Federica, pianista, e Toni, batterista, assieme a Giancarlo Oggionni, contrabbassista di grande versatilità, un paio d’anni fa hanno dato vita al Faith Trio. Il loro incontro s’è concretizzato in un album di nove tracce dal titolo Libra, uscito per Filibusta Records il 21 marzo scorso.
Libra intesa come bilancia: a un primo ascolto infatti quello che salta all’evidenza è il perfetto interplay fra i tre musicisti. Un dialogo fluido, schietto, strutturato. Un lavoro “bilanciato” alla perfezione, dove interventi di musica classica, si sommano a un jazz solido, che ricorda tanto trio leggendari, da quello di Jarrett-Haden-Motian all’altro di Evans-LaFaro-Motian. Qui non c’è traccia di ethnojazz e nemmeno di jazz sperimentale, anche se Federica e Giancarlo con la musica sperimentale e improvvisativa lavorano da anni.
Il disco apre con Libra, brano che a sua volta inizia con una citazione dichiaratamente bachiana riproposta in un crescendo d’improvvisazione che coinvolge i tre musicisti. La Libra però ha un altro paio di significati per il trio: innanzitutto, nel Faith non esiste un solista, tutti sono allo stesso livello, come mi fa notare giustamente Federica. Dall’equilibrio all’equilibrismo il passo è breve. Mostrare la la fatica che fa un musicista costretto a barcamenarsi tra mille altri saperi, come contattare e contrattare con i locali per i live, divulgare il lavoro, gestire il booking, diventare il social media manager di se stesso. Tutti lavori che un musicista bravo ma poco conosciuto deve accollarsi per poter ricavarsi da vivere. Comporre è l’aspetto minore e, se ci pensate bene, tutto ciò suona come un’aberrazione.
Di questo e di molto altro ho parlato con Federica Cerizza alcuni giorni fa.
Come ti sei avvicinata alla musica e al jazz?
«Sono nata e abito nella provincia di Milano. Ho iniziato a studiare musica da bambina: ho avuto la fortuna di avere un padre collezionista di dischi in vinile, e in casa avevo a disposizione un’intera discoteca composta da migliaia di album. Mio papà mi ha fatto ascoltare tantissima musica, principalmente rock, progressive americano e inglese. C’erano anche dischi di jazz, a partire da George Gershwin, che jazz propriamente non è, anche se il linguaggio è quello, fino a Keith Emerson e Keith Jarrett. Ho studiato pianoforte al Conservatorio di Novara, un repertorio completamente classico. Il mio maestro che era Alessandro Commellato, che in effetti è stato abbastanza intuitivo da capire che mi piaceva la musica del Novecento e che volevo dedicarmi al jazz. Mi ha fatto studiare tantissimo un repertorio dei primi del secolo, da Paul Hindemith a Igor Stravinskij, a Béla Bartók, oltre, chiaramente, ai classici, Bach, Mozart, Schumann».
Come hai conosciuto i tuoi compagni del Faith Trio, Giancarlo Oggionni e Toni Boselli?
«Tutte le estati frequentavo in Toscana un piccolo borgo in provincia di Lucca, Monteggiori, famoso per essere il punto di riferimento italiano per la musica improvvisata e sperimentale. Lì c’è una piccola comunità di musicisti che era capitanata dal sassofonista Bruno Romani con lui abbiamo fatto anche un disco insieme (è morto il 14 marzo scorso, ndr). Tra questi musicisti c’era Giancarlo Oggionni. Chiacchierando abbiamo scoperto di abitare a due chilometri di distanza. A volte penso che gli intrecci del destino facciano il loro lavoro: Giancarlo conosceva Toni Boselli perché ci suonava già insieme. La prima volta che ci siamo riuniti, un paio d’anni fa, abbiamo sentito che c’era un buon feeling, così abbiamo deciso di creare il trioa».
Si sente che siete belli rodati insieme. Libra, brano che apre il disco, manifesta l’interplay che avete tra voi?
«Quello che abbiamo cercato di creare è stato un gruppo coeso, non un lavoro in cui deve emergere un solista. La nostra volontà è creare l’equilibrio, che, tradotto, significa ascoltarsi e saper stare insieme. Il nostro trio di riferimento, anche se non vogliamo certo imitare i grandi del genere, è proprio quello di Keith Jarrett, Charlie Haden e Paul Motian, dove si colgono le tre distinte personalità dei musicisti».
Quindi ognuno di voi ha composto e partecipato a tutti i brani?
«Un po’ tutte e due le cose, a volte uno portava un’idea già scritta, un tema che poi si sviluppava insieme, oppure dei brani già scritti su cui si facevano nuovi arrangiamenti o, ancora, brani che nascevano durante le prove. Face, per esempio, è un mio brano – tendenzialmente le mie composizioni partono da armonie classiche, Libra è esplicitamente l’omaggio a un preludio di Bach. Anche Faith parte da qualcosa di beethoveniano, proprio un incipit, magari l’ispirazione iniziale. Blue Purple boots, invece, è un brano di Toni, molto onirico e complesso, anche se all’ascolto non sembra, ma ha un insieme di battute che si alternano tra quattro quarti e tre quarti, difficile improvvisarci sopra. Abbiamo cercato di renderlo il più spontaneo e melodico possibile».
Green light dive e La faccia sudata cosa significano?
«Il primo è un altro pezzo scritto da Toni. Letteralmente in italiano sarebbe tuffo nel profondo verde. Questo profondo verde sono gli occhi di una donna. Invece La faccia sudata è un pezzo scritto da Giancarlo, ha questo titolo perché c’è un richiamo al Blues. Un blues tutto storto, nel senso che rimangono solo le 12 battute, la forma, ma gli accordi sono tutti diversi e la faccia sudata è appunto il senso di questa fatica del vivere. Il senso del brano è molto scanzonato, c’è un certo umorismo».
E Stralisco?
«È un brano che ho dedicato a un libro che porta questo titolo, scritto da Roberto Piumini, autore di testi per l’infanzia. È la storia di un bambino che ha una malattia stranissima, non può esporsi alla luce del sole perché profondamente allergico. È un racconto di fantasia, suo padre, che vive in un castello, dipinge le stanze del maniero in modo tale da renderlo il mondo del figlio. Quindi c’è una stanza dedicata al mare, una al cielo e così via per permettergli di vivere la vita che non può vivere. Lo stralisco è una pianta di fantasia, che si illumina di notte, assumendo tutta una serie di significati, di speranze, che mi avevano suggestionato tantissimo».
Intraprendere l’attività di autore, compositore, artista e avere la giusta visibilità è sempre più difficile, il rischio è di affogare in questo enorme oceano di brani e note che sono i vari Spotify, Apple, Amazon Music e via discorrendo. Tu cosa fai?
«Potrei parlare per ore di questo argomento, ne sto discutendo tanto con persone che fanno il mio stesso lavoro… È complicatissimo perché, come dici tu, nuotiamo in un oceano talmente vasto dove tutti alzano la mano per dire “Io ci sono!”, ed è difficile farsi vedere. Il titolo Libra, oltre a parlare dell’equilibrio che serve nella vita di un’artista, racconta l’equilibrismo che serve a un artista occupato a creare nuova musica, a promuoversi, a studiare come funziona il mondo del booking per trovare i concerti, a fare il mestiere del social media manager e via elencando. C’è una quantità di lavori correlati, lavori ombra, che la gente nemmeno s’immagina. Per cui questo senso di equilibrio è necessario visto che quello del musicista al giorno d’oggi è un mestiere che richiede altri 10 o 15 lavori complementari, soprattutto per chi fa musica originale e non vive del nome di qualcun altro. Un conto è fare un tributo a Charlie Parker un altro proporre la propria musica».
Le soluzioni quali sarebbero secondo te?
«Secondo me i musicisti emergenti o comunque i piccoli nomi come me, dovrebbero fare comunità. Da alcuni anni c’è Midj (Associazione Musicisti Italiani di Jazz, nata nel 2014, ndr) l’unica associazione di settore che comunque fa molto, però tendenzialmente bisognerebbe unire le forze. La mia visione della musica ma anche del lavoro del musicista è assolutamente sociale, una professione che ha bisogno di una serie di tutele e di aiuti. Invece tendiamo a combattere da soli, se fossimo veramente una squadra, allora potremmo avere una voce. È molto utopistico ma… Nel mio piccolo, ho una casa qui a Pessano dove ogni mese facciamo dei concerti: ho un pianoforte, come gli house concert che si facevano secoli fa e che si ripetono tutt’ora in maniera sempre più diffusa, eventi sul filo del rasoio perché sono un po’ una festa privata e un po’ un concerto. Sono realtà di resistenza. Nella mia casa ospito i musicisti che arrivano da altre parti d’Italia anche per dormire. Lo faccio perché so che poi tendenzialmente questi colleghi mi aiuteranno quando sarò io ad andare nelle loro città. Con cachet così bassi, non ci possiamo permettere l’hotel. In questo modo si costruisce veramente una rete di relazioni, essenziale per fare questo lavoro».
Sarebbe una soluzione per gli artisti ma anche per quel pubblico che vuole ascoltare qualcosa di diverso…
«Il pubblico esiste per questa musica, ed è anche numeroso, solo che molte volte non riesce a raggiungere ciò che gli interessa. Mancano locali di riferimento, quelli esistenti sono troppo pochi. Per esempio, a Milano c’è n’è solo uno che ragiona così, ed è La Corte dei miracoli. Se vai lì sai che trovi sempre musica di qualità; col tempo si è formato attorno alla Corte un pubblico che scopre di essersi appassionato a una musica diversa frequentando un luogo che la propone. E poi è bello, accogliente, alla buona perché costa poco, tranquillo. Servirebbero veramente un sacco di posti così».
Dopo queste riflessioni, riuscirete a portare il vostro progetto in alcuni festival jazz quest’estate?
«Abbiamo dei concerti, per ora uno a Roma, in un piccolo festival organizzato da un’associazione di giovani musicisti (Musica del vivo), poi abbiamo alcuni concerti in Liguria e, in forse, un concerto a giugno per un’associazione alla Filanda di Martinengo, un posto bellissimo in provincia di Bergamo».